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«Non sono bravo abbastanza». Forse per descrivere la finale vinta da Jannik Sinner per il suo secondo Australian Open, il primo da campione in carica, basterebbero le parole di un affranto Alexander Zverev a fine partita. Il tedesco ha lasciato andare le lacrime durante la premiazione, consolato dal numero uno del mondo. Che un tennista ammetta la propria inferiorità in maniera così lampante durante una premiazione è una cosa rarissima, ma con un po’ di cinismo si può dire che ha ragione. Per spiegare il dominio di Sinner in finale basta una statistica: l’italiano è il quarto giocatore nell’era Open a vincere una finale senza affrontare palla break. Se allarghiamo il quadro, il suo dominio è più generale: non perde da ventuno partite, quattordici negli Slam di cui ne ha vinti due in fila.

C’è già qualcuno che inizia a parlare di un dominio “noioso” di Sinner, un po’ come successo in F1 in era Mercedes o con Verstappen. Per dire: con questa vittoria in finale contro Alexander Zverev all’Australian Open Sinner sale a 3695 punti di vantaggio sul secondo nel ranking, lo stesso Zverev, e quasi 5000 sul terzo, Carlos Alcaraz. È verosimile credere che anche se venisse squalificato ad aprile potrebbe restare numero uno del mondo fino a Wimbledon.

Tra il 2006 e il 2007 soltanto due giocatori furono capaci di vincere un torneo del grande Slam: Roger Federer e Rafael Nadal, con un bilancio di sei vittorie per lo svizzero e due dello spagnolo (entrambe al Roland Garros). Siamo all’inizio del 2025 e il tennis è uno sport imprevedibile, ma la legge fisica che sembra guidare questo sport per ora pende verso una sola conclusione, ormai scientifica, Jannik Sinner non è battibile su cemento e molto poco sulle altre superfici. L’anno scorso lui e Carlos Alcaraz si sono divisi equamente gli Slam, e le probabilità che ci avviamo verso un biennio molto simile a quello del 2006/07 è estremamente alta.

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È stata una finale senza storia? È stata una finale in cui i margini superiori di un tennista rispetto all’altro hanno fatto sembrare il risultato finale più scontato di quanto non sia stato davvero.

Il piano partita di Sinner è apparso chiaro fin dall’inizio: il dritto di Zverev era marchiato con un mirino, con la maggior parte dei cambi tesi a spostare il gioco su quella diagonale. Senza neanche assumersi particolari rischi Sinner riusciva a girare lo scambio dalla sua parte, semplicemente mettendo pressione sul dritto o addirittura dando palle neutre al tedesco in posizioni in cui era necessario prendersi delle responsabilità offensive. Le aperture ampissime del tedesco sono un suo problema storico sul dritto e già nel primo set ha sforato la doppia cifra di errori non forzati da quel lato.

In generale la prestazione del tedesco, per quanto non drammatica, è stata sicuramente insufficiente. Fin dall’inizio Zverev non è sembrato avere un piano tattico chiaro. Molti si aspettavano che provasse ad allungare più possibile gli scambi e in generale la partita, visto che se il tennis diventa una maratona il suo scarto con Sinner si riduce molto. Quindi rispondere da dietro, tenere ritmi bassi. Il problema è che il suo dritto, e si torna sempre qui, è una macchina di errori, e in più questo atteggiamento si è tradotto in una passività, piuttosto che in una difesa in grado di stancare Sinner.

Il break che decide il primo set è il risultato di questa confusione. Zverev è in sofferenza costante sul proprio servizio quando non si prende il punto diretto, e decide allora di accorciare lo scambio. Coprire male la rete è una sentenza di morte con Sinner, e il tedesco non solo ha una mano maleducata ma è pure lentissimo nel salire, lasciando così campo libero ai passanti di Sinner ed al break decisivo del primo set.

Nel secondo set Zverev decide di prendersi più rischi e trova un minimo di ordine. Deve comunque incassare i colpi per tutto il set, salvando anche due palle break, ma iniziando a prendersi più responsabilità nello scambio sembra entrare in partita, aiutato anche da un leggero calo d’intensità di Sinner.

Forse il punto più alto della partita.

Un modo di giocare che però ha pochi margini, specialmente con un dritto che resta falloso, ma che sembrava aver pagato i suoi dividendi nel tie-break. Zverev passa infatti avanti di un mini break grazie ad un punto giocato sulle righe ma non basta. Un tie-break simbolico del rapporto di Zverev con le finali Slam: anche quando gioca bene gli manca sempre quel centesimo per fare il dollaro. Prima torna passivo e si fa recuperare il break di vantaggio e poi lo perde, di fatto, per un nastro sfortunato. Una citazione ironica del destino della stecca che lo aveva completamente spezzato nella sfida degli Australian Open dell’anno scorso contro Medvedev, nel quarto set.

Il terzo set ha l’epilogo più scontato e Sinner diventa il primo tennista da Rafael Nadal a difendere il suo primo titolo Slam nella stessa sede. Una vittoria in fin dei conti anticipata, con solo due set persi in tutto il torneo, ma non così scontata, tra polemiche extracampo tra Kyrgios, Djokovic e la spada di Damocle della sentenza della WADA. Neanche un dominio del genere contro Zverev era così scontato a livello di matchup. In passato Sinner soffriva particolarmente il tedesco per motivi tecnici e fisici. A livello tecnico non riusciva a creare costantemente superiorità sulla diagonale di rovescio, un po’ come con Medvedev nelle prime sfide, e non aveva in generale la costanza offensiva per poter “aprire” le difese di un grande contrattaccante come il tedesco. In partite come quella dello US Open 2023, forse l’ultima sconfitta prima dell’inizio del suo peak, Sinner non riusciva a gestire lo sforzo fisico di partite in condizioni ambientali pesanti e con una grande durezza negli scambi.

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Aspetti ora completamente ribaltati, con Zverev che oltre all’emblematica dichiarazione di inizio articolo si è lasciato andare anche in conferenza stampa. «Ho servito meglio io, ma Jannik fa tutto il resto meglio di me: si muove meglio, colpisce meglio di me di dritto, di rovescio, risponde meglio, fa meglio le volée». Un’ammissione di inferiorità piuttosto netta per il numero due del mondo, e che alla sua terza finale Slam ha dimostrato di sentire l’ansia del punteggio anche quando in teoria dovrebbe essere più sciolto, come quando è sotto nel punteggio. Una triste ironia per un baby prodigio del tennis, uscito fuori quando Djokovic, Nadal e Federer erano ancora in grande forma, che si è trovato prima schiacciato dai Big3 e ora da un tennista che lui stesso ha paragonato alla versione migliore di Djokovic.

Molto spesso nel tennis si ripete la massima del “c’è tempo, si farà”, e sicuramente il fatto che gli Slam siano quattro aiuta questa percezione ottimistica del tennis. Volendo essere un po’ cinici il tennis è anche lo sport dell’occasione che ti sfugge via, delle rose non colte di Guido Gozzano. Soltanto i fenomeni sembrano in grado di far sembrare facile vincere più Slam in fila. Gli unici due vincitori Slam nati negli anni ‘90 ne sono la dimostrazione più plastica. Quanti nel 2020 avrebbero detto che quello sarebbe stato l’unico Slam di Dominic Thiem? Quanti avrebbero detto che Zverev non sarebbe mai andato più così vicino, letteralmente a due punti dal match, dal vincere uno Slam? Quanti avrebbero detto che dopo il 2021 Medvedev sarebbe rimasto fermo a quota uno Slam vinto?

Le prospettive di Zverev quando si è rivelato al mondo erano superiori a quelle di Jannik Sinner, forse un hype anche superiore a quello di Alcaraz. Ad aprile però il tennista tedesco farà 28 anni, e l’orologio biologico del tennis scorre inesorabile. Solo cinque tennisti nell’era Open hanno vinto il loro primo Slam dopo i 28 anni, soltanto tre dopo i 30 anni. L’unico a vincerne più di uno è stato Stan Wawrinka, condizionato nel conto Slam dall’essere capitato in un’epoca di talento forse irripetibile. Per Zverev questa è la terza finale persa, e qui la cabala è più benevola: di tutti quelli che hanno perso le prime tre finali Slam solo Casper Ruud (finora) non ne ha mai vinto uno.

E anche qui bisogna essere un po’ cinici. Per il potenziale mostrato da Zverev in carriera forse uno Slam, ma anche due, sono un po’ poco. Il tedesco è stato uno dei migliori teenager della storia del tennis, giocava un tennis ancora un po’ episodico ma con momenti di vera brillantezza. La fusione tra quelle capacità fisiche e tecniche non si era mai vista prima di lui su un campo da tennis, rappresentava proprio l’inizio di una nuova specie di tennista, alto come i grandi battitori ma mobile come uno più basso. A fine 2021 si era addirittura definito membro del “nuovo Big3” formato da lui, Daniil Medvedev e Novak Djokovic. Siamo nel 2025 però e il tennista falloso ma anche molto più offensivo che era stato capace nel 2018 di mettere a dura prova Rafael Nadal a Roma è diventato un fortissimo contrattaccante.

Lo Zverev di oggi è un top player con una costanza di rendimento che quando era giovane mancava, un servizio molto più affidabile e comunque un miglioramento sul dritto. L’indole però non è mai migliorata completamente, così come la varietà dei suoi colpi, tra un gioco di volo deficitario e pochissime variazioni. Diventando un big serving counterpuncher il tedesco si è anche mentalmente adagiato sulla passività nei momenti importanti, una cosa rimproverata in maniera diretta anche dal suo ex padrino, non certo poco diplomatico, Roger Federer. Zverev in certi momenti sembra avere paura di essere in una finale Slam, come se fosse lui stesso il primo a non poterci credere di stare in un evento del genere ad un livello del genere.

E come nel gioco del sasso, forbice, carta per ora l’impressione è che Sinner sia il sasso e la forbice l’intero circuito ATP. Il ruolo della carta per ora sembra in grado di occuparlo sporadicamente solo Carlos Alcaraz, che in questo torneo ha mostrato dei limiti tattici non da poco contro uno Djokovic con tanta testa ma poca benzina. L’attesa finale tra l’italiano e lo spagnolo non è ancora arrivata, ma comunque solo Alcaraz sembra essere in grado di impensierire seriamente il dominio di Sinner. Anche se nelle sconfitte subite l’anno scorso la differenza è stata veramente minima e non è detto che sia un pattern ripetibile.

A 23 anni compiuti da poco Jannik Sinner è già saldamente nel gotha degli sportivi italiani e tra i migliori tennisti di tutti i tempi, e tanto lontani sembrano i tempi in cui perdeva senza colpo ferire con Stefanos Tsitsipas (un altro deluso-Slam della Next Gen) proprio all’Australian Open. Sul veloce è chiaramente il migliore, sul rosso e sull’erba può partire verosimilmente dietro solo ad Alcaraz in particolare forma. Sembra assurdo ma l’italiano può davvero puntare allo “Djokovic Slam”, quattro Slam consecutivi senza però realizzare il Grande Slam. Un obiettivo complicato ma l’aura che si porta per il campo Sinner è quella dei cannibali. Sempre in attesa che la sentenza del TAS sul caso Clostebol permetta di concentrarsi sull’unica cosa che conta, le righe che racchiudono il campo da tennis.

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