Crediti postergati non compensabili nel fallimento

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La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1865, depositata ieri, ha stabilito che esiste una situazione di incompatibilità tra la disciplina della postergazione, di cui all’art. 2476 c.c., e quella della compensazione in sede di fallimento, di cui all’art. 56 del RD 267/42, che rende impossibile, se non infrangendo lo scopo oggettivo dell’art. 2467 c.c., la compensazione in favore del creditore postergato con un controcredito vantato nei suoi confronti dalla società fallita.

L’art. 56 comma 1 del RD 267/42 dispone che i creditori hanno diritto di compensare con i loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Il comma 2, poi, esclude la compensazione “se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore” (tale disciplina è oggi contenuta, con riguardo alla liquidazione giudiziale, nell’art. 155 del DLgs. 14/2019).

L’art. 2467 c.c., invece, nella versione applicabile al caso di specie, prevede che il diritto dei soci al rimborso di un finanziamento concesso alla società in una situazione di squilibrio economico-finanziario che avrebbe richiesto un aumento di capitale è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, “se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito” (quest’ultima parte virgolettata è oggi collocata, con riguardo alla liquidazione giudiziale, nell’art. 164 comma 2 del DLgs. 14/2019).

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L’art. 2467 c.c. è dettato in tema di srl ma trova applicazione anche al finanziamento del socio di una spa quando la sua posizione sia sostanzialmente equivalente a quella del socio di una srl.
Tale postergazione opera non solo nel momento in cui si apre un concorso formale con gli altri creditori sociali, ma anche durante la vita della società, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto alla restituzione del “finanziamento” fino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma stessa. La società, in pratica, deve rifiutare al socio il rimborso del “finanziamento” ove la situazione di difficoltà economico-finanziaria indicata dalla legge risulti esistente sia al momento della concessione del finanziamento che in quello della richiesta di rimborso; circostanze che l’organo gestorio deve riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società.

Tra le due discipline esiste una situazione di incompatibilità che rende il credito postergato non “comparabile” ai fini dell’applicazione della compensazione ex art. 56 del RD 267/42 con altro controcredito vantato nei suoi confronti dalla società fallita.
Infatti, ragionando diversamente dovrebbe ammettersi una sostanziale neutralizzazione del precetto contenuto nell’art. 2467 c.c. proprio nell’ambito temporale del manifestarsi degli effetti della crisi d’impresa, che costituisce, invece, secondo le parole della Cassazione, il suo “terreno di elezione” e di “applicazione prevalente”.

Se è vero che la compensazione fallimentare, estinguendo reciprocamente le obbligazioni gravanti sulle parti del rapporto, consente al creditore in bonis di evitare il pregiudizio che gli deriverebbe dal fatto di dover adempiere regolarmente la propria prestazione nei confronti del fallito a fronte della controprestazione di quest’ultimo in moneta fallimentare (vale a dire in modo quanto meno parziale), è altrettanto vero che ammettere la compensazione del credito postergato significherebbe vanificare la tutela dei creditori sociali che l’art. 2467 c.c. intende assicurare. La compensazione di un credito postergato ex art. 2467 c.c. nei confronti del debitore dichiarato fallito, o che abbia presentato domanda di concordato, con un controcredito vantato da quest’ultimo, comporterebbe, infatti, una evidente riduzione dell’attivo destinato alla soddisfazione degli altri creditori, che è proprio l’effetto che la disciplina della postergazione intende scongiurare.

La postergazione, cioè, tende ad una tutela preventiva dei creditori sociali che trascende l’interesse dei soci, i quali non possono disporne. Questi, infatti, godono di un punto di osservazione privilegiato rispetto a quello degli altri creditori, disponendo di una potenziale conoscenza più approfondita delle dinamiche societarie, che agli altri creditori manca.
Di conseguenza, a fronte della disciplina sulla postergazione dei finanziamenti dei soci, non può ravvisarsi alcun affidamento “incolpevole”, circa l’operatività della compensazione, del socio creditore-debitore in bonis, che sia degno di tutela.

Se l’art. 56 del RD 267/42 dovesse applicarsi anche in ipotesi di controcrediti ex art. 2467 c.c. nell’ambito delle procedure concorsuali si verificherebbe l’effetto paradossale di una mancanza di operatività di quest’ultima disposizione nel momento topico, ossia dinanzi a un “socio finanziatore” debitore della società la cui crisi sia stata accentuata da lui stesso, mediante quel finanziamento eseguito in luogo di un conferimento nonostante la situazione di squilibrio economico-finanziario poi sfociata nel fallimento.

In conclusione, afferma la Suprema Corte, la compensazione in favore del creditore postergato non è possibile se non a pena di infrangere lo scopo oggettivo dell’art. 2467 c.c.



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