L’orgoglio della Colombia ha dovuto lasciare spazio alla cruda realtà. Per mezza giornata il presidente colombiano Gustavo Petro ha resistito a Donald Trump, ha sfoderato una risposta social intrisa di retorica e di fierezza nazionale, ma ha presto capito che il braccio di ferro era impari.
Motivo dello scontro, i rimpatri forzati dei migranti decisi da Washington e respinti da Bogotà perché lesivi della dignità umana. Così due aerei militari carichi di decine di migranti colombiani hanno fatto marcia indietro, atterrando in California e in Texas. Un rifiuto inaccettabile per Donald Trump che ha cambiato subito registro: “Non permetteremo al governo colombiano di violare i suoi obblighi legali nell’accettare il ritorno di criminali imposto dagli Stati Uniti”, ha scritto il presidente americano su Truth annunciando “urgenti e decise misure di rappresaglia”. In concreto, oltre alla chiusura alla Colombia di nuovi arrivi e nuovi visti, Trump prevede dazi tra il 25% e il 50% sulle merci colombiane. “Il vostro blocco non mi spaventa”, tuona Petro, ma poi è costretto a cedere. Basta la minaccia, la Colombia deve cedere alla richiesta americana.
Per la Casa Bianca è un successo pieno di Donald Trump. Con la sua intransigenza ha reso “chiaro al mondo che l’America è di nuovo rispettata” e continuerà a “proteggere strenuamente la sovranità nazionale”. Un trionfo diplomatico che, sebbene ottenuto con le maniere forti, sembra funzionare. E che dunque può sarà replicato.
Per esempio con il Brasile che, sempre domenica, ha denunciato un trattamento “degradante” riservato ai suoi cittadini, ammanettati mani e piedi e imbarcati a forza su un aereo dell’Ice, l’agenzia statunitense responsabile del controllo delle frontiere e dell’immigrazione. Una palese violazione dell’accordo firmato nel 2018, con cui il governo di Brasilia aveva accettato i rimpatri per ridurre i tempi di permanenza dei migranti nei centri di detenzione americani. Giovedì era stato il Messico a opporsi all’arrivo di un jet militare statunitense, ma l’impasse è stato superato poco dopo senza troppe spiegazioni. L’Honduras ha invece avvertito Trump che i suoi rimpatri forzati hanno come conseguenza un avvicinamento alla Cina.
Alzare la testa è un pericolo eccessivo. Il presidente Gustavo Petro ha provato a sfidare Donald Trump con il suo stesso linguaggio. Dazi contro dazi. Ma è chiaro che il peso è diverso. Agli oltre 15mila statunitensi che vivono illegalmente in Colombia ha ordinato di “regolarizzare la loro situazione”; su quanti siano i colombiani irregolari negli Usa, invece, non c’è grande accordo: 15mila secondo Bogotà, 190mila secondo Washington. Lo scontro si consuma via social, il mezzo preferito da entrambi i leader. A Trump che promette la vendetta economica (“Queste misure sono solo l’inizio”), il socialista Petro risponde con l’orgoglio colombiano – ““La Colombia è il cuore del mondo, non ci dominerai mai” – in una lunga invettiva. Alla fine si rivelano solo parole di consolazione rivolte al popolo colombiano, che però deve cedere alle pressioni di Washington.
I dazi americani sarebbero stati esiziali per l’economia colombiana, visto che gli Stati Uniti rappresentano il principale partner commerciale – due anni fa rappresentava il 26% del suo commercio. A oltrepassare il confine sono per lo più petrolio greggio, caffè, minerali e fiori, mettendo in pericolo il sostentamento di centinaia di migliaia di famiglie (500mila solo quelle che dipendono dal settore del caffè, mentre migliaia di donne single perderebbero il lavoro in quello floreale). Le importazioni americane riguardano invece i prodotti agricoli, di cui la Colombia è il più grande mercato in Sud America. Washington è poi un alleato determinante nella lotta alla criminalità organizzata. Da inizio secolo, sono 14mila i miliardi di dollari inviati per contrastare le bande di narcotrafficanti, destinati per la maggior parte al potenziamento delle forze dell’ordine. In parte minore, anche gli Usa avrebbero avuto conseguenze per una eventuale guerra commerciale: a cominciare dall’innalzamento dei prezzi, dovuto alla mancanza di beni colombiani.
Gli effetti negativi del nuovo paradigma americano sull’immigrazione sono però rimandati a tempo debito. Trump ha avuto la dimostrazione pratica che fare la voce grossa porta risultati. La alzerà ancora per farsi sentire meglio ovunque, dalla Groenlandia a Panama passando per il Canada fino in Cina.
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