Nelle ultime settimane sulle spiagge della regione russa di Krasnodar, affacciata sul Mar Nero, si alternano migliaia di persone che, indossando tute bianche o da lavoro, raccolgono sabbia con delle pale e la mettono dentro a dei sacchi neri: sono volontari che stanno cercando di rimuovere del carburante che arriva dal mare e si deposita sulla spiaggia. Proviene da due petroliere che da un mese e mezzo lo riversano in acqua, dopo essere state gravemente danneggiate da una tempesta.
È una situazione che anche il presidente russo Vladimir Putin ha definito un «disastro ecologico» e che le autorità russe non sono ancora riuscite a risolvere, sia per via delle dimensioni della fuoriuscita, sia per la lentezza con cui si sono mosse: lo stato di emergenza a livello federale è stato dichiarato solo 11 giorni dopo l’incidente. Parlando con l’emittente russa RBC, lo scienziato Viktor Danilov-Danilyan, responsabile scientifico dell’Accademia russa delle scienze, l’ha definito «il più grave disastro ambientale in Russia dall’inizio del XXI secolo».
L’incidente è avvenuto il 15 dicembre mentre le due navi stavano attraversando lo stretto di Kerch, che separa la Russia dalla regione ucraina della Crimea, annessa illegalmente dalla Russia nel 2014. Una delle due petroliere, la Volgoneft-212, si è spezzata a metà ed è affondata, mentre l’altra, chiamata Volgoneft-239, si è arenata vicino al porto russo di Taman. Le due navi trasportavano in totale 9.200 tonnellate di un carburante che il ministero russo dei Trasporti ha dichiarato essere M100, ossia un derivato del petrolio di bassa qualità prodotto principalmente dai paesi dell’ex Unione Sovietica e usato di solito in impianti per la produzione di energia.
Le autorità russe hanno detto a fine dicembre che fino al 40 per cento del carico avrebbe potuto essersi riversato in mare, ma la quantità nelle ultime settimane è con tutta probabilità aumentata dato che entrambe le petroliere non sono state subito recuperate. Mentre la Volgoneft-239, quella arenata, è stata recentemente isolata per evitare che continui a disperdere carburante, la Volgoneft-212 non è stata ancora rimossa e si trova a 20 metri di profondità, dove sta continuando a rilasciare liquido.
Nel 2007 nello stesso punto era avvenuto un incidente simile, con una petroliera che aveva perso 1.600 tonnellate di petrolio, meno della metà di quello che si pensa sia fuoriuscito in queste settimane.
Un problema dell’M100 è che è più pesante rispetto al petrolio e ad altri suoi derivati e quindi affonda molto velocemente: una volta sott’acqua è estremamente difficile da rimuovere, avvelena gli organismi e gli animali che vivono in quell’area e viene smaltito nell’arco di 15-20 anni.
Oltre agli animali che vivono in acqua, ad essere colpiti sono anche gli uccelli, a cui il carburante impedisce di volare e le cui capacità di isolamento termico vengono ridotte. Quando un uccello cerca di pulirsi inoltre ingerisce parte del carburante, che lo avvelena: al momento almeno 6mila uccelli imbrattati di carburante sono stati catturati e puliti da associazioni specializzate, che però concordano nel dire che la loro possibilità di sopravvivenza è molto bassa. Si stima poi che in mare ci siano migliaia di uccelli già morti: in un incidente simile del 2007, quando sempre nello stretto di Kerch fuoriuscì una quantità di petrolio inferiore rispetto a ora, morirono fra i 12mila e i 13mila uccelli.
Entrambi le navi coinvolte nell’incidente del 15 dicembre erano molto vecchie: erano state costruite fra il 1969 e il 1973 e avrebbero dovuto essere dismesse almeno vent’anni fa. Per questo diverse associazioni ambientaliste e il governo ucraino hanno sostenuto che si trattasse di navi che fanno parte della cosiddetta “flotta fantasma” russa, con cui lo stato russo continua a esportare il suo petrolio aggirando le sanzioni commerciali imposte da molti paesi occidentali dopo l’invasione dell’Ucraina. Non tutti sono d’accordo su questo, e anzi alcuni esperti hanno espresso dubbi sul fatto che le due navi potessero appartenere alla “flotta fantasma”.
L’organizzazione ambientalista Greenpeace ha stimato che il carburante fuoriuscito copra un’area di 400 chilometri quadrati. Delle immagini satellitari risalenti allo scorso 10 gennaio e verificate da BBC mostrano una chiazza che attraversa lo stretto di Kerch lunga almeno 25 chilometri, ma anche un accumulo di carburante su una spiaggia di Anapa, circa 64 chilometri a sud dello stretto, nel mar Nero. Oltre a decine di cetacei morti trovati sulla costa russa, ne sono stati trovati 34 anche in Crimea, fino alla città di Sebastopoli, a più di 300 chilometri dal luogo del naufragio.
Nei giorni immediatamente successivi all’incidente le autorità locali non hanno fatto molto per fermare la fuoriuscita di carburante e si sono mobilitate solo intorno a Natale, quando è risultato chiaro che la nave che si era arenata stava continuando a perdere e che la chiazza continuava ad allargarsi e a spostarsi.
Dopo un ritardo iniziale, la regione russa di Krasnodar ha chiesto aiuto alle autorità federali, e il ministero russo per le Emergenze si è mobilitato per isolare e svuotare la nave arenata e ha organizzato delle prime operazioni di pulizia che però non hanno fatto grandi passi avanti. Il fatto che l’incidente avesse portato a grossi danni ambientali è stato riconosciuto ufficialmente solo a fine dicembre, e domenica 26 gennaio il governo ha dichiarato che avrebbe stanziato l’equivalente di 14,6 miliardi di euro per le operazioni di pulizia.
Nel frattempo circa 10mila volontari sono accorsi per ripulire le spiagge dal petrolio, dopo essersi coordinati con le autorità locali o attraverso della chat Telegram create da altri cittadini. Molti di loro hanno detto ai giornali che sulle spiagge scarseggiano i dispositivi di protezione, come le mascherine che aiutano a proteggersi dal rischio di intossicazione, e hanno chiesto al governo russo di inviare più aiuti per poter contrastare il problema in modo più efficace.
I volontari stanno facendo un lavoro necessario e importante, che però risolve sono una piccola parte del problema creato dalla fuoriuscita: a metà gennaio il ministero russo per le Emergenze aveva detto che le squadre avevano ripulito le spiagge da 25 tonnellate di «liquido contenente carburante», una quantità molto piccola se considerato quanto ne rimane in mare.
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