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Gli atenei a rischio blocco, i tagli pesano più del previsto #finsubito prestito immediato

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Le «verità alternative» sdoganate da Trump e usate dalla destra mondiale, sono di moda anche in Italia. Solo inserendolo in queste cornice si può capire lo scontro tra il governo Meloni e il settore accademico statale. Il ministero dell’Università e della Ricerca (Mur) guidato da Anna Maria Bernini insiste nel dire che quest’anno ci sia stato un aumento dei fondi per gli atenei del 21% in relazione al periodo pre pandemico. Ma la decurtazione di 173 milioni al Ffo rispetto al 2023 comporterà ristrettezze per 78 atenei pubblici su 84 totali. E le risorse che il Pnrr ha destinato alla ricerca, peraltro precedenti a questo esecutivo, non basteranno a colmare i bilanci delle università. Solo Ferrara, Foggia, Modena, Reggio Emilia e Padova non subiranno variazioni di bilancio. Eppure anche le loro governance denunciano l’aumento dei costi e la preoccupazione per la sostenibilità del sistema.

PER IL RESTO GLI ALTRI atenei si ritrovano con tagli superiori al 3%, con la media dei tagli per singolo ateneo al 2,12%. «Il rischio sempre più reale – notano da Link che ha annunciano una manifestazione nazionale per il 15 novembre – è il definanziamento degli atenei più piccoli e periferici, sovrastati dai grandi atenei che riceveranno la maggior parte dei fondi, si rischia un cortocircuito economico che vedrà molti atenei statali in difficoltà nel chiudere i bilanci nel giro di un paio di anni, spingendoli con ogni probabilità a intervenire sulla tassazione».

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IL RETTORE DELL’ALMA MATER, Giovanni Molari, ha scritto una lettera al personale per avvisare che rispetto all’anno scorso, l’ateneo di Bologna avrà «25-30 milioni in meno tra i tagli, l’esaurirsi di contributi una tantum e la fine, prevista, del piano di reclutamento straordinario». L’Università degli Studi di Sassari perderà invece 2.239.221 euro rispetto al finanziamento del 2023 (-3,10%). «È necessario evitare che a causa di questi tagli vengano ridotti i servizi e aumentate le tasse», ha commentato Elisabetta Bettoni, Senatrice Accademica Udu di Sassari.

FORTI TAGLI ANCHE PER l’Orientale di Napoli e Urbino con il meno 3,19%, Venezia, meno 3,20% e Macerata con meno 3.21%. Per l’Università del Sannio è sceso in campo anche il sindaco di Benevento Clemente Mastella. Anche perché per alcuni territori il definanziamento agli atenei colpisce non solo il settore educativo ma anche il tessuto sociale ed economico. L’insidia è nascosta anche nella diminuzione della Quota Base del Ffo a favore di un sempre maggior peso della Quota Premiale.

Se 10 anni fa la prima rappresentava il 73% del Fondo, oggi è scesa a meno del 50%. Al contrario la Quota Premiale è passata dal 17% del 2014 a quasi il 30%. Vuol dire che se prima il Mur ripartiva i fondi prevalentemente secondo criteri legati alle spese che ogni anno gli atenei devono sostenere, con l’ottica quindi di un aiuto uguale per tutte le università, adesso li attribuisce per premi – spiega Alessandro Ferretti, ricercatore di fisica all’Università di Torino – il taglio di risorse spinge i ricercatori a cercare borse di studio o grants privati e i dipartimenti a cercare dai privati i finanziamenti». Per Ferretti e altri docenti e ricercatori che si riuniranno in assemblea il 21 ottobre alla Normale di Pisa, la gravità sta nel fatto che «gran parte del reclutamento adesso passa dai rapporti con gli enti di ricerca privati, io stesso devo dire ai miei studenti che se non vincono uno di questi premi non avranno futuro nella ricerca ma questo crea un grave vulnus, è una mutazione antropologica del ruolo della ricerca pubblica».

IL MECCANISMO INOLTRE va a favore dei centri già finanziati. «I fondi arrivano a chi già ne ha- spiega Ferretti – ad esempio al Politecnico di Torino perché c’è già un centro di spesa grazie ai privati, quindi sono soldi pubblici che vanno a loro, nonostante tutto il resto (expertise, lavoratori, strumenti) li mette l’università statale».

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OLTRE AI TAGLI IL MONDO accademico contesta la bozza di riforma sul pre ruolo di Bernini che aumenta le figure precarie e allunga ulteriormente i tempi per arrivare alla cattedra. «Si sta cercando di flessibilizzare ancora ciò che era già flessibile: non c’è niente di più duttile del precario dell’università che già è messo in condizione di autosfruttarsi». Nella sordità della politica «che pensa solo a discutere di Renzi, mentre scuola e università soccombono», ricercatori, docenti e studenti stanno cercando di organizzare una mobilitazione nazionale. «È una bella sfida uscire dal caos individualistico scatenato dalla competizione per organizzare una battaglia comune, ma bisogna provarci, spiegano dalla rete dei ricercatori precari – Il problema non è solo economico ma strategico perché nel frattempo si aiutano gli atenei online»



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