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di Alessandro Morelli
L’Europa affronta il problema della dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche come il litio e il cobalto, necessarie per le batterie dei veicoli elettrici. Questa dipendenza crea una vulnerabilità comparabile a quella già vissuta con il gas russo, sottolineando la necessità di una maggiore diversificazione e autosufficienza nelle catene di approvvigionamento.
L’Europa è attraversata da una fase di innamoramento per le politiche green come forse mai prima di oggi. Ricordo un tale trasporto forse solo quando negli anni Novanta si parlava del buco dell’ozono. Oggi, come allora, credo che sia opportuno camminare con i piedi per terra ed interrogarci sulla sostenibilità delle politiche verdi.
Quando parlo di sostenibilità non intendo dire che vanno sconfessati gli obiettivi sulla decarbonizzazione. Lo sviluppo delle fonti rinnovabili rappresenta una priorità. Per la vita di tutti i giorni dei cittadini, che possono beneficiare anche di importanti risparmi rispetto a quelli che si ottengono oggi da un utilizzo ancora troppo smisurato delle fonti fossili. Ed è una priorità anche per le imprese, che dalla riconversione green possono cogliere importanti opportunità sul fronte degli investimenti. Ma sostenibilità significa coniugare i costi economici con quelli sociali. Non possiamo permetterci una transizione green così come è stata pensata da un’Europa che ha ignorato i segnali arrivati, anche in questo ambito, dai cittadini europei con le recenti elezioni.
Spesso sento accusare questo governo di essere contro le politiche green.
Innanzitutto, sfatiamo un mito: essere green non significa essere d’accordo con l’oltranzismo dei Verdi in Europa.
Una revisione della direttiva sulle case green è necessaria e non perché non convenga anche all’Italia un efficientamento degli edifici, ma la tabella di marcia, così come è stata confezionata, risulta disallineata rispetto alle possibilità concrete che abbiamo oggi di rimettere mano a un patrimonio immobiliare vetusto. Il percorso è condivisibile, ma la velocità impostata oggi rischia di mandarci fuori pista alla prima curva. E non perché non abbiamo le capacità per tenere il volante ben saldo, ma perché crediamo che il realismo debba prevalere su una visione ideologica che non tiene conto delle specificità nazionali e della progressività degli impegni.
La neutralità tecnologica, come ha recentemente osservato anche il Ministro Salvini vuol dire che da qui ai prossimi 30 anni si può comprare l’auto elettrica, ma mettere fuori legge e fuori mercato tra 10 anni le auto a combustione interna, benzina e diesel, è un suicidio economico, sociale, industriale e ambientale senza nessun senso.
L’espansione dell’elettrico è un elemento chiave per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione dei trasporti necessaria a fermare il riscaldamento globale. Ma i veicoli elettrici sono anche al centro della competizione industriale e tecnologica tra gli storici protagonisti occidentali dell’automotive e il rivale emergente cinese.
Le batterie e i motori delle vetture elettriche dipendono dalle “materie prime critiche”, di cui l’Europa è carente.
E se c’è una cosa che la pandemia e la guerra in Ucraina hanno insegnato all’Occidente, è il pericolo delle dipendenze strategiche: una calamità naturale, un conflitto o una serie di sanzioni commerciali ai danni di un fornitore possono avere gravi ripercussioni economiche e sociali in tutto il continente.
Parlare di transizione significa, quindi, lavorare sul medio-lungo periodo per arrivare a essere meno dipendenti dalle fonti fossili e nello stesso tempo garantirsi l’energia necessaria per lo sviluppo.
Per evitare il disastro climatico e ambientale di domani non possiamo anticiparlo oggi.
E quindi cosa dobbiamo fare? Usare la nostra intelligenza e le più avanzate tecnologie che abbiamo a disposizione, mettendo in campo tutte le nostre risorse, per trovare il famoso punto di equilibrio di cui parlavo in precedenza.
Perché non dobbiamo mai dimenticare che all’interno delle scelte ambientali si celano anche scelte fondamentali di politica estera ed economica.
Raggiungere gli obiettivi della riconversione dovrebbe migliorare la vita dei cittadini non solo dal punto di vista ambientale ma anche economico.
In questo contesto, per quanto concerne l’attività del CIPESS in materia di sviluppo sostenibile, dal 2022 sono state istruite e approvate 13 deliberazioni da parte del Comitato, articolate in interventi di tutela della salute e della promozione delle politiche urbane, di tutela del territorio e delle attività green, e di sostegno alle attività produttive.
Le risorse complessivamente assegnate con le citate delibere CIPESS ammontano a circa 11 miliardi.
Serve un Green Deal sostenibile, a tutela del dna europeo, quindi italiano.
La necessità è di considerare una priorità gli interventi infrastrutturali da realizzare perché la natura stessa dell’Italia lo richiede. Siamo un paese lungo e stretto.
Non a caso il più importante simbolo dello sviluppo economico post-bellico è stata l’autostrada del Sole di cui ricorre il 60° anniversario, che ha accorciato drasticamente tempi di collegamento e prezzi di consumo delle merci.
La modernizzazione della rete infrastrutturale è una delle sfide più grandi che il mondo è chiamato ad affrontare nei prossimi anni in vista di un rilancio economico e sociale. Bisogna rendere la rete più moderna e compatibile con le nuove tecnologie che interverranno nella mobilità e nei trasporti: pensiamo per esempio all’uso del digitale nella gestione del traffico o dei progetti smart road di cui mi sono occupato quando ero Viceministro al Mit.
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