In Piemonte linee ferroviarie chiuse, sospese e degradate: per Legambiente sono tra le peggiori d’Italia

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di
Nicolò Fagone La Zita

Tutto ebbe inizio nel 2012, quando fu cancellato un quarto della rete ferroviaria regionale: 11 linee

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Linee chiuse, sospese o degradate che isolano intere comunità. Treni che non ci sono, o non arrivano, un servizio quasi da terzo mondo. È questo lo stato dell’arte delle ferrovie piemontesi. A dirlo non sono soltanto i pendolari, ma lo stesso rapporto annuale di Legambiente, un documento che mette a nudo tutte le fragilità del sistema. In questo quadro, il Piemonte si distingue per la presenza di alcune delle linee peggiori d’Italia, a partire dalla Pinerolo-Torino-Chivasso

Dovrebbe rappresentare uno snodo fondamentale per i pendolari tra la cintura metropolitana e il capoluogo, ma invece oggi si distingue per ritardi continui e corse soppresse. Legambiente denuncia anche il paradosso delle tante linee dismesse: dalla Chivasso-Asti alla Torre Pellice-Pinerolo, passando per la Ceva-Ormea, la Saluzzo-Cuneo e la Alessandria-Ovada. A queste si aggiungono l’Airasca-Moretta, Moretta-Cavallermaggiore, Bricherasio-Barge, Busca-Dronero, Bra-Ceva e la Mondovì-Bastia. Risorse destinate alla fatiscenza, che potrebbero essere utilizzate in modo omogeneo quale leva di sviluppo economico, sociale e culturale del territorio. 




















































Tutto ha avuto inizio nel 2012 quando il Piemonte cancellò un quarto della sua rete ferroviaria: 11 linee. «Troppo costose», disse l’allora presidente, il leghista Roberto Cota. Le linee furono sostituite dalle corse degli autobus, molte delle quali negli ultimi dieci anni hanno subìto lo stesso trattamento. Anche questo servizio, come all’epoca le linee ferroviarie, è considerato troppo costoso. Meno bus ci sono e meno persone li prendono: il risultato è che spesso gli autisti si fanno l’intera tratta da soli, senza passeggeri. Un autentico paradosso. Il trasporto pubblico locale è diventato sempre meno sostenibile, e i governi degli ultimi trent’anni non hanno fatto molto per evitare i tagli. Anzi, è proprio nel trasporto pubblico che si taglia quando occorre risparmiare soldi pubblici. Tuttavia ogni chilometro di ferrovia perduto significa meno opportunità di mobilità per i cittadini e un maggiore ricorso al trasporto privato, con tutte le conseguenze negative in termini di traffico, inquinamento e costi sociali. 

Ma non è solo una questione di disservizi e chiusure. Il rapporto di Legambiente evidenzia un vero e proprio problema strutturale nel nodo ferroviario di Torino, dove il traffico attuale supera di gran lunga la capacità del sistema. Il nodo non è mai stato adeguato per sostenere i flussi di pendolari e merci, creando ritardi a catena che si propagano su tutto il territorio regionale. Le linee del Servizio Ferroviario Metropolitano, come la SFM4 (Alba-Ciriè) e la SFM6 (Asti-Torino), sono il simbolo di questa crisi, con un’affidabilità ben al di sotto delle soglie previste contrattualmente. E così aumentano i problemi delle valli che per evitare il rischio di spopolamento cercano di arrangiarsi come possibile. La Valsesia negli ultimi anni si è fatta carico di organizzare e pagare autobus per collegare la Val Sermenza e la Val Mastallone oltre che due frazioni del comune di Varallo, altrimenti raggiungibili solo in auto. 

L’obiettivo? Garantire un servizio pubblico minimo per studenti, lavoratori e turisti. Senza contare che i continui disservizi vengono ignorati quando si parla di tariffe. Nel resto della valle, ad esempio, le corse degli autobus sono gestite dall’azienda pubblica Atap e da un privato, l’azienda Baranzelli, che a causa dei tagli dei contributi pubblici hanno fatto venire meno alcune agevolazioni. Esisteva un accordo che permetteva agli studenti di salire sugli autobus di entrambe acquistando un solo abbonamento. Da quest’anno non è più così e gli studenti sono costretti a comprare biglietti o carnet aggiuntivi oltre all’abbonamento, con un aumento dei costi per le famiglie.

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