Falsa indicazione di indennità corrisposte al lavoratore

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Quale reato commette il datore di lavoro che dichiari falsamente di aver corrisposto al dipendente un’indennità o, attraverso la fittizia esposizione di somme a tale titolo, ottenga i conguagli dall’inps?

Capita spesso di trovarsi di fronte a datori di lavoro che, in qualità di amministratori unici di società, traggono in inganno i funzionari dell’Inps procurandosi un ingiusto profitto. Il meccanismo è molto semplice: mediante artifici e raggiri consistenti nell’indicare negli appositi modelli DM10, relativi a talune mensilità, le somme asseritamente anticipate ad alcuni lavoratori, in alcuni casi a titolo di indennità di maternità obbligatoria o facoltativa, in altri casi per assegni familiari, ma in realtà non corrisposte, si assicurano un profitto pari all’importo delle somme indebitamente poste a conguaglio.

Sempre tali sedicenti amministratori ritengono di non essere responsabili di alcuna condotta illecita in quanto manca l’induzione in errore, necessaria alla configurabilità della truffa, in quanto l’Inps non è chiamata a svolgere alcun accertamento in ordine alla veridicità della dichiarazione del datore di lavoro, essendo invece tenuta a recepire il contenuto di tale dichiarazione. Semmai, continuano gli amministratori, il fatto appena descritto rientra nella fattispecie di cui all’articolo 10 – quater del decreto legislativo n. 74 del 2000 che reprime la condotta di chi, mediante indebita compensazione, non versa le somme dovute a titolo di tributi, a questi dovendosi parificare i contributi previdenziali e assistenziali da versare all’Inps; ma in molti casi, poiché le somme corrisposte a compensazione non raggiungono  l’importo minimo costituente la soglia di punibilità del fatto, essi non incorrono in alcuna responsabilità penale. In realtà così non è, e in questo articolo vedremo quali reati integra la condotta legata alla falsa indicazione di indennità al lavoratore per conto dell’Inps.

Cosa prevede l’articolo 10 quater d.lgs n. 74 del 2000?

La norma esige che non siano versate somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti o inesistenti con superamento della soglia di punibilità prevista dall’articolo 10 bis. Si potrebbe quindi ritenere configurabile il reato, posto in essere con la dichiarazione fraudolenta di avere corrisposto somme di denaro a un lavoratore; e il veicolo di tale falsità è la presentazione del DM 10, considerato, secondo me a torto, come una sorta di autocertificazione attestante i presupposti per la compensazione. 

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Si può configurare il diverso reato di truffa?

Si potrebbe configurare il diverso reato di truffa, anche in questo caso errando, ritenendo che la condotta del datore di lavoro, il quale per mezzo dell’artificio costituito dalla fittizia esposizione di somme dichiarate come corrisposte al lavoratore, induce in errore l’istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, invero mai corrisposte, provochi un ingiusto profitto e non una evasione contributiva.

Si può configurare l’indebita percezione di erogazioni pubbliche?

A mio parere il reato che si consuma in vicende come questa è quello di indebita percezione. Per l’integrazione di questo reato è sufficiente infatti l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero l’omissione di informazioni dovute, da cui derivi il conseguimento indebito di erogazioni cui non si ha diritto; con la precisazione, però, che tali erogazioni possono consistere indifferentemente o nell’ottenimento di una somma di denaro oppure nell’esenzione del pagamento di una somma altrimenti dovuta. Ne consegue che deve ricondursi all’interno di questa fattispecie penale la condotta del datore di lavoro che, mediante la fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore a titolo di indennità per malattia o maternità o assegni familiari, ottenga dall’Inps il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute all’istituto a titolo di contributi previdenziali e assistenziali. L’erogazione, infatti, elemento costitutivo del delitto di indebita percezione, può consistere semplicemente nell’esenzione dal pagamento di una somma altrimenti dovuta, e non necessariamente nell’ottenimento di una somma di denaro. 

Conclusioni

Il delitto quindi, che, come specificato, è quello di indebita percezione di erogazioni pubbliche e non quello di truffa o evasione contributiva, si consuma nel momento in cui il datore di lavoro provvede a versare all’Inps, sulla base dei dati indicati sui modelli DM 10, i contributi ridotti per effetto del conguaglio cui non abbia diritto.  

 

  



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