Un altro modo di essere Mezzogiorno

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Microcredito

per le aziende

 


Tutta l’Europa loda la capacità italiana di attuazione del piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) sia per gli obiettivi di riforma raggiunti sia per i livelli di spesa effettiva. In casa l’aria cambia e una macchina lanciata verso i 110/120 miliardi di spesa pubblica produttiva a fine 2025 viene descritta come un’auto in panne ferma a fine novembre 2024 a poco più di 60 miliardi di erogazioni che, da un lato, rappresentano anch’essi un risultato senza precedenti e, dall’altro, riflettono pure le lentezze amministrative nei trasferimenti delle informazioni aggiornate tra i singoli ministeri e la miriade di soggetti attuatori.

Ciò che è sotto gli occhi di tutti, invece, non lo dice nessuno. La realtà, quella che si misura con le richieste quotidiane di investimenti, segnala che grazie alla zona economica speciale unica (Zes), chi oggi vuole ingrandire l’impresa che ha e chi, dall’interno e dall’esterno, vuole aprirne di altre, può farlo in un arco di tempo che varia da un minimo di 30 a un massimo di 60 giorni contro i 5/6 anni di prima.

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Si è “costruita” in Italia, tra Mezzogiorno e isole, l’area europea più estesa dove finalmente si possono fare investimenti fuori dalle trappole burocratico-clientelari di Regioni, Sovrintendenze e, in genere, della necessità di una intermediazione politica territoriale. Che non vuol dire affatto, sia chiaro, abolire valutazioni di merito e controlli. Significa piuttosto attuare una rivoluzione culturale e operativa, resa ancora più forte dal credito di imposta maggiorato, che delimita per il mercato globale dei capitali un territorio esteso di attrazione. Avvantaggiato da un contesto geopolitico complicato, segnato da due guerre allargate, ma che proprio a causa di queste turbolenze diffuse ne esalta gli elementi di stabilità e di regolamentazione europea. 

È questo contesto globale che pone il Sud in condizioni relativamente più favorevoli per energia, economia del mare, vecchia e nuova manifattura, intelligenza artificiale e data center, agricoltura e industria alimentare di qualità.
Gli ultimi dati di Unioncamere segnalano che il saldo attivo italiano tra numero di imprese chiuse e quello di nuove attività è fortemente influenzato dai risultati del Mezzogiorno. Anche questi dati mettono in evidenza un’altra verità importante colpevolmente nascosta. I giovani meridionali stanno uscendo dalla cultura viziata dell’impiego pubblico come sistemazione a vita. Viceversa, sempre più si vogliono mettere in proprio, creare nuove imprese e valutano con attenzione anche l’impiego pubblico quando è inserito nelle logiche più innovative legate proprio alla rivoluzione in atto nella macchina statale e territoriale per l’utilizzo dei fondi comunitari e l’impiego di competenze tecniche tecnologiche e di progettazione. Siamo davanti alla seconda rivoluzione. Cresce il numero di chi scommette su se stesso e questo è possibile solo quando si crede nel futuro. Senza la situazione attuale di stabilità sarebbe impossibile perché questi processi si mettono in moto quando scatta un segnale di fiducia di prima grandezza.
Se non vogliamo unire alle “chiacchiere” americane di Trump quelle europee, continuando a perdere peso, mercati e lavoro, dovremmo impiegare il tempo a fare le cose. La prima delle quali è convincere i nostri partner industriali europei che è arrivata la stagione del Sud del Vecchio Continente. Che oggi gli investimenti industriali più vantaggiosi e potenzialmente più competitivi si fanno qui. Che europeizzare e internazionalizzare il piano Mattei, costruendo un rapporto non predatorio con l’Africa e il Mediterraneo allargato, coincide con l’interesse europeo e italiano almeno quanto con quello del Mezzogiorno.

Il futuro si conquista con l’impresa individuale, ma l’impresa individuale va organizzata dentro un sistema incentivante comune e esprimendo una regia unica che dimostri di avere la capacità di sfruttare l’opportunità irripetibile della contingenza storica. Quando il mondo marcia verso i neo-imperialismi non puoi vincere facendo da solo o cullandoti delle rendite dei cosiddetti giganti nani europei, peraltro in crisi economica e politica. Bisogna che tutti insieme, in Europa, si rendano almeno conto di dove la nuova onda globale sta portando lo sviluppo e si attrezzino da subito per attrarre lì, non altrove, le risorse giovanili e le materie prime del futuro. Bisogna saperle attrarre e collegarle in modo organizzato con l’intelligenza e le risorse finanziarie di un Occidente europeo che decide di non rassegnarsi più al declino e di diventare adulto.
 





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