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Negli esseri umani la ricerca del trascendente è connaturata profondamente perché è un fatto del tutto naturale porsi domande: da dove veniamo, dove andiamo, chi è il responsabile di tutte le cose, e tante, tante altre. Poiché non vi è nessuno al quale porle, allora sin dai primordi le risposte abbiamo dovuto cercarcele da soli e con gli strumenti a nostra disposizione, fra i quali il più prolifico di tutti è l’immaginazione, strumenti che inoltre sono profondamente cambiati negli ultimi cinquemila anni. Noi, oggi, sappiamo un’infinità di cose del tutto sconosciute ai nostri antichi progenitori. Oggi parliamo con disinvoltura di atomi, elettroni, protoni, molecole, fotoni, quark, DNA, neuroscienze, che ci hanno portato a vedere la realtà che ci circonda, e noi stessi, in un modo affatto diverso rispetto a chi ci ha preceduti fin dall’alba della Storia.

Le risposte che gli antenati si diedero erano necessariamente derivanti da conoscenze molto limitate, pertanto potevano essere accettate senza trovarvi incongruenze. Al riguardo potremmo fare l’esempio di un bambino che, in occasione della Befana o del Natale, non trova nessuna difficoltà a credere che i doni sotto l’albero o vicino al presepio glieli abbiano lasciati una vecchietta con la scopa o un vecchio dalla barba candida chiamato Babbo Natale. Così come il bambino, crescendo, si libererà da quelle credenze immaginarie, così il “bambino genere umano” ha seguito lo stesso percorso di sviluppo: da un’infanzia nella quale era disposto a credere a tutto, alla maturità che lo ha liberato da fiabe, miti, leggende, soprannaturale, fantastico, per approdare a rendersi pienamente conto della realtà “vera” che lo circonda; quella realtà che può e deve fare a meno delle migliaia di credenze basate sul nulla o sulla fantasia umana, che ne hanno condizionato lo sviluppo. In questo periodo plurimillenario che la nostra specie ha vissuto per tanto tempo, un capitolo importante dev’essere dedicato alla religione. Ma, attenzione: quando parliamo di religione non significa necessariamente parlare di Dio. Dio e tutti gli altri dèi di ogni epoca e nazionalità umana nessuno li ha mai visti, né tantomeno ha parlato loro, eccezion fatta per i fondatori delle grandi religioni monoteiste che dialogavano a tu per tu con lui, come con un vecchio amico. Ma ormai da tempo sappiamo che tutto ciò non è mai accaduto se non nella fertile fantasia di scribi di secoli e secoli fa.

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Se così stanno le cose, qual è, allora, il ruolo della religione che, essa sì, è concreta e reale e ha dominato — e continua a dominare — su buona parte del genere umano? È quindi possibile, come recita il titolo di un interessante saggio di Ronald Dworkin, grande filosofo contemporaneo, una Religione senza Dio? (Il Mulino, 2014). Ed è possibile anche per gli scettici, gli increduli, gli atei, parlare Del buon uso della religione, come recita un testo di Alain de Botton (Guanda, 2011).

Prima di disquisire sulle argomentazioni esposte dai due autori appena menzionati, un’altra riflessione con le sue relative conseguenze è utile fare. Gli uomini che costruirono le piramidi e tutte le altre meraviglie dell’antichità, meraviglie mai più uguagliate, erano certamente persone di grandi capacità, di fine ingegno e di grande intelligenza, sì da realizzare capolavori pressoché immortali. Però, sebbene fossero degli eccellenti architetti e grandi artisti, non sapevano, né potevano sapere, cosa causasse il fulmine e il tuono, o perché il giorno fosse seguito dalla notte, il perché dell’alternarsi delle stagioni, i terremoti e, cosa di fondamentale importanza, il perché delle malattie e della morte. Le conseguenze delle loro riflessioni e delle relative domande le trovarono seguendo la via più facile: dev’esservi qualcuno, lassù in alto o nelle viscere della terra, invisibile all’uomo e di sterminata potenza che è in grado di operare prodigi superiori ad ogni capacità umana; e insieme a questo Ente, nelle religioni politeistiche, vi era una pletora di divinità secondarie, ciascuna responsabile di determinati fenomeni. Praticamente, vi era una divinità per ogni elemento terreno; vi era il dio delle acque, quello del fuoco, quello della pioggia, quello delle tempeste, quello dei venti … Gli strumenti del tempo non potevano consentire a quei grandi uomini dell’antichità di andare oltre nella ricerca delle cause ultime, quindi di quelle risposte si contentarono e nacquero le religioni. Ed è veramente singolare, e innovativo, il concetto che su di esse sviluppa Dworkin. Egli scrive: “La religione è più profonda di Dio; è una visione del mondo profonda, speciale ed esaustiva, secondo la quale un valore intrinseco e oggettivo permea tutte le cose; l’universo e le sue creature suscitano meraviglia; la vita umana ha uno scopo e l’universo ha un ordine. Credere in un dio è solo una delle manifestazioni o conseguenze possibili di questa profonda visione del mondo. Naturalmente gli dèi sono serviti agli uomini per molti scopi: hanno promesso una vita dopo la morte, hanno spiegato le calamità naturali e si sono schierati contro i nemici. Gran parte del loro fascino derivava pertanto dal fatto che si pensava riuscissero a infondere valore e finalità nel mondo. Tuttavia, la convinzione che il valore riceva l’avallo di un dio presuppone l’adesione alla realtà indipendente da tale valore. Un’adesione, quest’ultima, possibile anche per i non credenti. Perciò i teisti condividono con alcuni atei un impegno che è più fondamentale di ciò che li divide, e proprio questa fede condivisa potrebbe gettare le basi per una migliore comunicazione fra di essi. La netta distinzione che si fa abitualmente fra le persone religiose e quelle che non hanno una religione è troppo rozza. Diversi milioni di persone che si considerano atee hanno convinzioni ed esperienze molto simili — e altrettanto profonde — di quelle persone che i credenti giudicano religiose e dicono che, pur non credendo in un dio «personale», credono tuttavia in una «forza» nell’universo «più grande di noi». Sentono la responsabilità ineludibile di vivere bene le loro vite, portando il dovuto rispetto alle vite degli altri; sono orgogliose delle loro vite quando reputano di averle vissute bene e provano rimorsi, talvolta inconsolabili, quando ritengono di averle sprecate”. Possiamo ben dire, quindi, che in esse è presente una profonda religiosità, pur non credendo in nessun dio. È significativo ciò che su questo disse un’altra grande mente del nostro tempo: Albert Einstein, il quale, pur proclamandosi ateo era un uomo profondamente religioso. Ecco le sue parole: “Sapere che ciò che ci è inaccessibile esiste realmente, manifestandosi come la più grande saggezza e la più grande bellezza che le nostre deboli facoltà possono comprendere solo in forma assolutamente primitiva: questa conoscenza, questa sensazione, è al centro della vera religiosità. In questo senso, e solo in questo senso, appartengo alla schiera delle persone devotamente religiose” (A. Einstein, in C. Fadiman, Living Philosophies: The Reflections of Some Eminent Men and Women of Our Time, New York, Doubleday, 1990).

Pur se con profonde differenze, la tesi esposta da de Botton nel suo saggio trova un qualche riscontro in quello di Dworkin e cioè che, pur non ritenendo necessaria l’esistenza di un dio, si può trarre vantaggio e beneficio da alcuni aspetti della vita religiosa, cioè dalla religione. Secondo l’Autore “la domanda più noiosa e sterile che ci si possa porre a proposito di qualsiasi religione è se sia vera o no, cioè se sia calata dal cielo tra squilli di trombe e sia amministrata da profeti e creature celesti con poteri sovrannaturali … diciamo subito che nessuna religione è vera nel senso di «mandata da Dio» … È proprio quando smettiamo di credere che le religioni sono calate dal cielo o che non hanno alcun senso che la questione si fa davvero interessante. A quel punto possiamo riconoscere di averle inventate per rispondere a due bisogni fondamentali e attuali, che la società laica non è riuscita a soddisfare particolarmente bene: prima di tutto il bisogno di vivere insieme, come comunità e in modo pacifico, malgrado i nostri innati impulsi alla violenza e all’egoismo. In secondo luogo, il doverci confrontare con diversi gradi di sofferenza, che scaturiscono dal nostro essere vulnerabili agli insuccessi professionali, alle relazioni tormentate, alla dipartita delle persone care, al nostro stesso declino fisico. Dio sarà anche morto, ma le domande urgenti che ci hanno spinto a crearlo esigono pur sempre una risposta, anche quando riscontriamo qualche inesattezza scientifica nella moltiplicazione dei pani e dei pesci. L’errore dell’ateismo moderno è quello di ignorare gli aspetti delle religioni che rimangono apprezzabili anche dopo che i loro dogmi vengono confutati. Quando non ci sentiremo più in obbligo di prostrarci dinanzi alla fede o di denigrarla, saremo liberi di scoprire che le religioni sono fonte di una miriade di idee ingegnose, con cui possiamo cercare di lenire alcuni dei malesseri più persistenti e trascurati della vita laica”. Questo, per De Botton vuol dire “far buon uso della religione”, anche in assenza di un qualunque dio. E poi, la lettura di entrambi i testi, costituisce una felice sintesi di come si possa trovare un equilibrio stabile e profittevole anche nella contrapposizione fra deisti e teisti, riconoscendo alla religione non un ruolo trascendentale basato sulla fede, fede indimostrabile con gli elementi della sola ragione, ma un ruolo pratico nella convivenza civile e reciprocamente utile anche in presenza di convinzioni divergenti. Non è necessario credere in dio per essere brave persone, così come non si è cattive persone se non gli si crede. D’accordo con Einstein, si può rimanere estasiati e riverenti di fronte alle cose inaccessibili che non scopriremo mai e che pure esistono nella sconfinata grandezza del Cosmo. Non è necessario credere nel soprannaturale quando il “naturale” è così stupefacente e degno di tutta la nostra attenzione e rispetto. Si può quindi vivere senza dio o con dio, perché non fa nessuna differenza, ma è molto utile vivere rispettando le forme di religiosità che hanno consentito e consentono a innumerevoli persone di vivere una vita appagante.



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