Signori, il delitto è servito (1985): sette indagati, sei armi, cinque corpi e tre finali

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Problema mio sicuramente, ma resto uno dei pochi bipedi della mia specie che non ama, ma anzi, trova urticanti le indagini di Benoît Blanc, per un semplice fatto, sono viziato. Nel senso che facendo parte di quella generazione che molti film, cosiddetti della vita, li ha scoperti sulla tv di casa, sono cresciuto con due titoli che si mettono in tasca quelle robette dirette da Rian Johnson. Mi riferisco a due classici, il primo lo abbiamo già trattato, si tratta del bellissimo Invito a cena con delitto, per il secondo, che tra i due è anche quello che amo di più (pistola, candelabro, chiave inglese, pugnale, tubo di piombo e corda, puntati alla testa), oggi siamo qui per festeggiare i primi quarant’anni di “Clue” da noi più noto come “Signori, il delitto è servito”.

Il festeggiato di oggi è una testa di serie in una categoria ben poco nota, che è un po’ come arrivare primo in una gara con pochissimi partecipanti, ma questo film è talmente riuscito e brillante, da essersi accaparrato tutte le posizioni del podio. Parliamo di quella minuscola categoria di titoli ispirati ai giochi da tavolo, ad esclusione di qualche discutibile horror che ruota attorno alle tavolette Ouija e ad una tamarrissima versione con alieni di battaglia navale (avrei anche il post in rampa di lancio in merito) non è proprio un sottogenere strapieno di titoli.

Abbiamo i sospettati, abbiamo le armi del delitto, possiamo giocare!

“Signori, il delitto è servito” è basato su “Cluedo”, celebro gioco intentato negli anni ’40 dal musicista inglese Anthony Pratt, messo in commercio la prima volta da Waddingtons, poi passato alla Parker Brothers che lo ha commercializzato negli Stati Uniti, entrambe diventate poi proprietà della Hasbro nel 1990. Pratt, appassionato di gialli, ha trovato il modo di rendere giocabile il classico “mistero della camera chiusa”, ispirandosi ai lavori di Agatha Christie e in particolare a “Dieci piccoli indiani”, il nome “Cluedo” è una crasi tra la parola inglese “clue”, indizio” e “ludo”, ovvero gioco in latino, il successo fu tale e così prolungato che a metà degli anni ’80 a qualcuno venne in mente di trasformarlo in un film e quel qualcuno, era il mio grande amico John Landis.

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D’altra parte, chi meglio di lui ha portato in alto la torcia con il fuoco degli anni ’80 se non il mio amico John? Ma parliamoci chiaro, se Allan Quatermain era immortale in africa, Landis lo era nel continente perduto degli anni ’80, il decennio di cui era l’araldo in cui proprio, non poteva sbagliare un titolo, anche quando ci lavorava solo come sceneggiatore, che per questo film è più della metà della riuscita finale.

Il bello è che sono tutti sospettati, anche i più insospettabili.

Il copione di “Clue” è talmente complesso che Landis cominciò a lavorarci a quattro mani con l’uomo che sarebbe finito a dirigerlo, Jonathan Lynn, ma giunti ad un punto morto (in biblioteca, con la chiave inglese) il mio amico John provò a coinvolgere il drammaturgo inglese Tom Stoppard, il compositore americano Stephen Sondheim e ad un certo punto anche Anthony Perkins (storia vera), per finire poi a completare la sceneggiatura come avevano iniziato, lui e Jonathan Lynn, mantenendo fede alla loro ardita idea iniziale: il mistero del giallo non avrebbe avuto una sola risoluzione possibile, ma ben tre e lo stesso sarebbe stato per il film.

Qui pago lo scotto della mia (non proprio più verde) età, perché deve essere stato divertentissimo per gli spettatori americani confrontarsi, una volta usciti dalla sala, sul finale, che nei cinema veniva proiettato in tre versioni differenti, indicate semplicemente come finale A, B e C ma senza nessuna indicazione su cosa il pubblico avrebbe visto una volta accomodati sulla poltroncina, una sorta di pagliuzza più corta o fiammiferi da camino per restare in tema con il film. Anche se questa trovata matta, questa specie di sperimentazione molto voluta da Landis, e benedetta da una produttrice illuminata come la mai abbastanza compianta Debra Hill, purtroppo venne bocciata dai critici del tempo, che la paragonarono – forse non del tutto a torto – ad un tentativo di convincere il pubblico a tornare in sala più volte in un’epoca in cui era ancora possibile farlo, oggi dopo due minuti ci sarebbe un chiacchierone pronto a spiattellare tutto su Tik Tok.

«É stato lui a spiattellare il finale! Ma lo abbiamo fregato, qui di finali ne abbiamo tre!»

Anche per questo alla sua uscita “Signori, il delitto è servito” incassò quattordici milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti spirati (in cucina, con il tubo di piombo), pochi meno del suo budget totale, finendo così nell’oblio delle repliche televisive, quella che mi hanno permesso di vederlo mille mila volte da bambino, ma con una particolarità aggiuntiva, in occasione dell’uscita sul mercato home video, la Paramount Pictures creò un montaggio unico con tutti e tre i finali, separati solo da una scritta del tipo: i fatti si sono svolti così, ma avrebbero potuto svolgersi anche in quest’altro modo. Come trasformare una mossa brillante ma apparentemente paracula nel modo migliore per mettere nero su bianco (della scritta) la genialità del soggetto.

Non solo “Signori, il delitto è servito” rende omaggio alla perfezione all’iconografia del gioco da tavolo, con i suoi personaggi e le sue situazioni, ma è un gioiellino di scrittura perché nessun finale annulla o risulta superiore al precedente, al massimo si può scegliere in base ai gusti (io personalmente trovo il finale A il migliore e il C il più esagerato, per quanto molto ad effetto), il lavoro fatto da Landis e Lynn è un micidiale accumulo di indizi che risultano tutte piste aperte vagliabili, al resto pensano le dinamiche tra personaggi, da cosa si capisce la vera bontà di questo gioiellino? Dal fatto che originariamente esisteva anche un undicesimo piccolo indiano, un finale D successivamente tagliato in fase di montaggio da Jonathan Lynn perché considerato semplicemente troppo (storia vera), per tutte queste ragioni e le altre da qui fino all’ultima pagina del giallo (la fine del post) in questa cena con delitto metto un po’ di rosso, quello del logo dei Classidy!

“Signori, il delitto è servito” si prende il suo tempo per portarci nel New England del 1954, il trucchetto della cacca di cane pestata sarà anche una gag scatologica, ma serve a suggerire che il più pulito in questo film, puzza, ed è meglio non specificare di cosa.

Partiamo dagli assenti, per il ruolo della Sig.ra White la prima scelta era una delle predilette di Landis, ovvero Carrie Fisher, che ha dovuto declinare causa lungo periodo di disintossicazione, così come la prima scelta per Wadsworth il maggiordomo, ma Leonard Rossiter ha dovuto declinare causa lungo periodo di decesso (storia vera). Con tutto il rispetto per questi due notevoli nomi, questo film con tre finali possibili è stato girato nel migliore degli universi possibili, perché ad impreziosite un copione impeccabile, ci pensa un cast che rende onore al meglio al concetto di “parata di stelle”.

Un concentrato esplosivo di facce note e talento come se piovesse.

In questo invito a cena con delitto (letteralmente!) in cui i commensali usano nomi fittizi per celare la loro vera identità, troviamo la loquace Sig.ra Peacock che si porta dietro tutta la lunga esperienza e lo stile di Eileen Brennan, mentre il militare del gruppo, il Colonnello Mustard è un veterano come Martin Mull.

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Anche se non tra gli invitati, indimenticabile, essenzialmente per due ragioni, entrambe molto ben in vista, troviamo Yvette la cameriera impersonata da Colleen Camp che da sola, copre due delle tre ossessioni che fanno parte dei temi ricorrenti del cinema di Landis, in mancanza delle scimmie, abbiamo comunque le altre due.

Yvette rende inutile il mio sforzo di scrivere didascalia argute, perché tanto nessuno le leggerà.

Tornando ai pesi massimo, il Sig. Green è fatto a forma di un mito come Michael McKean mentre quello del Professor Plum è il ruolo mitico di Christopher Lloyd che in pochi ricordano, in una carriera piena di ruoli di culto.

Madeline Kahn sgancia sulla cultura popolare una frase diventata di culto negli Stati Uniti.

Per quello che mi riguarda però i pesi massimi arrivano tutti dalla notevole scuderia del Maestro Mel Brooks, ci sono ben due attrici che hanno fatto brillare i suoi film invitate alla stessa cena, la prima è Madeline Kahn nei panni della Sig.ra White (vestita di nero lutto) mentre la Sig.rina Scarlett è affidata alla bravissima e mai abbastanza celebrata Lesley Ann Warren.

La più talentuosa delle attrici di cui NON sentite mai parlare: Lesley Ann Warren.

Confesso di essermi tenuto il migliore per la fine, già solo per il quantitativo di parole che ha dovuto imparare a memoria (il riepilogo della notte è fondamentalmente un riassunto in pochi minuti dei primi due complicatissimi atti del film) devo dire che Tim Curry è fenomenale, anche lui sarebbe entrato a far parte della scuderia di John Landis ma in una carriera piena di ruoli mitici, il suo maggiordomo Wadsworth è la vera arma segreta del film, per pura curiosità, ci sono due film fenomenali che compiono gli anni quest’anno e con Curry in gran spolvero, ma io ho comunque deciso di iniziare da questo gioiellino per questioni spudoratamente di cuore.

Lui invece, in linea di massima lo conoscete e lo adorate per mille ruoli (tra cui questo)

La trama non ve la riassumo, perché sarebbe un suicidio da parte mia e un crimine nei vostri confronti, “Signori, il delitto è servito” si affida completamente alle ottime prove del cast che a loro volta, hanno avuto la corda di sicurezza di un copione bomba, talmente efficace da potersi permettere quattro finali (tre ufficiali e uno tagliato al montaggio) e nessuno di questi crea buchi logici, perché non solo il film fa molto ridere ed è pieno di righe di dialogo mitiche, ma procede ad un ritmo indiavolato, un perfetto “mistero della camera chiusa” ma raccontato con un passo inarrestabile, dove tutti i personaggi parlano a mitraglietta e quello che snocciola più parole di tutti resta Wadsworth, che in quanto maggiordomo in un giallo, non può avere un ruolo secondario.

Risultato finale, nel caso non lo abbiate mai visto, dovreste ancora riuscire a trovarlo, non dico in replica mattutina come capitava a me da bambino, ma sicuramente su qualche piattaforma di streaming, in occasione dei suoi primi quarant’anni non potevo che aprire le ostilità dei compleanni targati 2025 partendo da qui, buona cena a tutti!



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