Najeem Osama Almasri, capo della polizia giudiziaria libica arrestato domenica a Torino, è stato liberato per un vizio di forma che ha invalidato il mandato di cattura internazionale. L’uomo, che si aggirava liberamente in città ed è stato fermato allo stadio mentre assisteva alla partita di campionato Juventus-Milan, è stato rilasciato dalla Corte d’appello di Roma perché la questura non aveva preventivamente informato il ministero della Giustizia ed è stato immediatamente espulso dall’Italia. La sua presenza nel paese ha sollevato dubbi su come un individuo ricercato dalla Corte penale internazionale sia riuscito a entrare sul territorio nazionale e a muoversi senza ostacoli. Il mandato di cattura, emesso per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi dal 15 febbraio 2011 nella prigione di Mitiga, sotto il controllo delle milizie alle porte di Tripoli, prevede per lui una pena dell’ergastolo.
Le ragioni del rilascio
A far crollare l’impianto accusatorio non sono state le proteste ufficiali di Tripoli, che ha subito definito “arbitrario“ l’arresto del comandante, ma un errore procedurale commesso dalla questura di Torino. L’ordinanza della Corte d’Appello di Roma ha infatti stabilito che gli agenti non avevano il potere di procedere autonomamente al fermo: per i mandati della Corte penale internazionale serve infatti una procedura specifica, che prevede il passaggio preliminare attraverso il ministero della Giustizia. Gli atti sono arrivati sulla scrivania del ministro Nordio solo lunedì, il giorno successivo all’arresto. A quel punto il ministro avrebbe dovuto trasmettere una richiesta formale alla procura generale di Roma per convalidare il fermo. Un passaggio che non è mai avvenuto, costringendo la Corte d’appello a ordinare il rilascio immediato del detenuto. L’uomo è stato quindi espulso dall’Italia ed è già rientrato in Libia.
Chi è Almasri?
La parabola di Almasri inizia nelle milizie libiche nate dopo la caduta di Gheddafi nel 2011. Membro di lungo corso dell’Apparato di deterrenza per il contrasto al terrorismo e al crimine organizzato (Dacto), una delle principali forze armate che controllano la capitale libica, è cresciuto al suo interno fino a diventarne uno dei comandanti più influenti. Dal quartier generale nell’aeroporto di Mitiga, il Dacto gestisce un sistema di centri di detenzione dove, secondo le organizzazioni internazionali, finiscono anche i migranti intercettati in mare dalla guardia costiera libica, equipaggiata e addestrata dall’Italia nell’ambito del Memorandum of Understanding siglato tra Roma e Tripoli nel 2017. Nel 2021 la sua influenza si è estesa con la nomina a direttore dell’Istituto di riforma e riabilitazione della polizia giudiziaria di Tripoli. Un ruolo che gli ha consegnato il controllo delle principali strutture detentive della capitale: oltre a Mitiga, anche Jdeida, Ruwaimi e Ain Zara
Come ricostruisce Avvenire, nel 2022 Almasri è emerso come figura centrale negli equilibri di potere di Tripoli. I suoi uomini della polizia giudiziaria, parte del gruppo armato Rada guidato dal comandante salafita Abdul Rauf Kara, si sono scontrati con la Guardia presidenziale nella zona di Sabaa, a est della capitale, vicino alla sede dei servizi segreti del ministero dell’Interno. Il confronto con le forze del vice comandante Ayoub Bouras ha rivelato il peso militare della sua fazione. Gli scontri del 2022 sono stati seguiti da quelli ancora più violenti dell’agosto 2023, quando il Dacto ha utilizzato armi pesanti in aree civili causando 45 morti e 164 feriti.
Il complesso di Mitiga, che Almasri ha diretto dal 2016, non è solo l’unico scalo aereo civile che serve Tripoli, ma anche una base aerea strategica da cui decollano i droni d’attacco di fabbricazione turca. Al suo interno sorge la prigione dove sono detenuti oppositori politici e presunti membri dello Stato islamico. Sotto il suo comando, la struttura è diventata uno dei centri più temuti della Libia, dove Amnesty International ha documentato torture sistematiche, sparizioni forzate e uccisioni illegali. Gli investigatori della Corte penale internazionale stanno anche verificando un suo possibile coinvolgimento nelle fosse comuni scoperte a Tarhuna dopo il cessate il fuoco dell’ottobre 2020.
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