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battaglia di 12 anni per avere giustizia” #finsubito prestito immediato


Dodici anni di battaglia legale per sentirsi dire che sì, la morte del ferroviere Dionisio Merli, deceduto a 64 anni a San Benedetto per un adenocarcinoma polmonare, è stata causata dall’esposizione all’amianto per il suo impiego. Alla fine per la famiglia Merli è arrivata una piccola consolazione, di fronte alla devastazione di aver perso un proprio caro solo perché stava facendo il suo lavoro. ll Tribunale di Teramo ha condannato l’Inail al pagamento di circa 150mila euro in favore delle eredi. Nelle ferrovie, dalla metà degli anni ‘50 c’era stata la coibentazione con amianto sui nuovi rotabili, allargata, in seguito, a tutte le 8mila carrozze circolanti che fu interrotta negli anni ’90, con la messa al bando del pericoloso cancerogeno. La bonifica è stata poi completata all’inizio degli anni 2000. La figlia di Dioniso, Olga, ha deciso di raccontarci la sua storia.

Olga, che cosa ha provato quando è arrivato l’ok al risarcimento?

“Sollievo? Non proprio. Francamente trovo incredibile che si debba combattere perché venga riconosciuta una verità incontrovertibile, ovvero che il mesotelioma che ha ucciso mio padre è stato causato dal suo lavoro di ferroviere. Pensi che la prima cosa che ci ha chiestol’oncologo è stata: ’Era a contatto con l’amianto?’”.

Questo tipo di tumore ai polmoni può essere causato solo dall’absesto giusto?

“Sì, e tra l’altro è inserito in prima fascia, dove cioè non occorre neanche dimostrare la causa-effetto: il solo fatto di essere stato a contatto per 25 anni con l’amianto presente in guarnizioni e rivestimenti dei treni, che veniva usato anche per coibentare le carrozze contro il rischio incendi, doveva bastare. E invece sono passati 12 anni. E non è finita, visto che l’altra causa, quella con le Ferrovie, è ancora in piedi”.

Decine di udienze, documenti, testimonianze e una ferita che non cicatrizza mai, perché ogni volta è un raccontare di nuovo la tragedia nel dettaglio. Come avete avuto la forza?

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“Io ho una malattia autoimmune, mia madre è distrutta. Per non parlare dell’impegno anche pratico nel seguire la causa, e soprattutto di quello economico che ci ha veramente messo in difficoltà. Ma la cosa peggiore è stata ascoltare ancora e ancora il racconto dei colleghi di mio padre, persone che conoscevo da anni, spiegare come era morto il loro amico”.

È incredibile ma l’amianto riesce ancora a fare molte vittime. Non tutti sono consapevoli della sua pericolosità.

“Pazzesco che sia ancora presente nelle città, sui tetti, sui vecchi capanni… Ma anche per il settore ferroviario continua a esserci molta confusione. Parecchie perone che conosco, e si sono ammalate, rinunciano a fare causa, a chiedere giustizia, a farsi aiutare. Anche perché si tratta di intraprendere una strada lunga e costosa, in tutti i sensi”.

Cosa si sente di dire a chi è stato a contatto con l’amianto o si è già ammalato?

“Di chiedere aiuto. L’Osservatorio nazionale amianto, e in particolare l’avvocato Bonanni e tutto il suo staff, hanno fatto un lavoro incredibile per aiutarci ad avere giustizia. Non bisogna arrendersi”.

Un ricordo di suo padre?

“Mio padre ha dedicato la vita alle ferrovie. Sulla sua tomba c’è scritta solo questa frase: “Un uomo onesto”.

Info: osservatorioamianto.it

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Eleonora Grossi



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