Usa, parte la guerra fiscale contro la tassazione globale

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Parte la guerra fiscale di Trump: gli Stati Uniti escono dalla riforma sulla tassazione globale delle multinazionali. L’amministrazione del neoinsediato presidente Donald Trump ha annunciato la volontà di recedere dall’accordo Ocse sulla riforma della tassazione internazionale, che prevede un’aliquota minima del 15% sulle multinazionali e una tassa sui servizi digitali. La decisione è contenuta in un memorandum pubblicato ieri dalla Casa Bianca, in cui si ordina al Segretario al Tesoro e al rappresentante permanente degli Stati Uniti presso l’Ocse di comunicare che “qualsiasi impegno preso dalla precedente amministrazione per conto degli Stati Uniti in relazione all’Accordo Globale sulla Tassazione non ha alcuna forza o effetto negli Stati Uniti, salvo un atto del Congresso che adotti le disposizioni pertinenti”. Inoltre, il memorandum richiede al Segretario del Tesoro, in consultazione con il Rappresentante Commerciale degli Stati Uniti, di verificare la presenza di “normative fiscali in vigore che siano extraterritoriali o colpiscano in modo sproporzionato le aziende americane”.

L’accordo a due pilastri

La mossa di Trump rischia di stravolgere anni di negoziati che hanno coinvolto quasi 140 Paesi dell’Inclusive Framework dell’Ocse, volti a contrastare la corsa al ribasso sulla tassazione delle multinazionali e a definire regole chiare per l’economia digitale. Sottoscritta anche dagli Usa nell’ottobre 2021, la “Dichiarazione sulla soluzione a due pilastri” punta a introdurre un’aliquota minima del 15% (secondo pilastro) e a tassare le multinazionali, soprattutto del digitale (primo pilastro), con almeno 20 miliardi di fatturato e una redditività superiore al 10%. In tal modo, si trasferisce parte dei diritti d’imposizione dai Paesi di residenza a quelli in cui i ricavi vengono effettivamente realizzati. Si ricorda che il secondo pilastro era già stato finalizzato a livello Ocse, ma mai ratificato dagli Usa. Al contrario il primo pilastro richiedeva delle finalizzazioni tecniche ostacolate anche dalla stessa amministrazione Biden.

La web tax e i dazi

Ma se il no di Trump è su entrambi pilastri, è proprio il primo pilastro il principale indiziato. La decisione di Washington riapre il capitolo sulla web tax italiana, ancora in vigore in attesa della nuova imposta delineata dal primo pilastro dell’OCSE. Nel 2021, gli Stati Uniti avevano già definito la web tax italiana “discriminatoria” nei confronti dei colossi digitali a stelle e strisce, ritenendola incompatibile con i principi della tassazione internazionale. A marzo 2021, l’Ufficio del Rappresentante per il Commercio aveva stilato un elenco di prodotti a rischio dazio del 25% che coinvolgeva il fashion Made in Italy (abbigliamento, borse, scarpe e accessori, oltre a profumi, occhiali e lenti). Per il comparto agroalimentare, i contraccolpi avrebbero toccato solo caviale e acciughe. L’Italia aveva poi raggiunto un accordo transitorio che prevedeva il mantenimento della web tax fino all’entrata in vigore della riforma globale e la possibilità di un credito fiscale compensativo, mentre gli Stati Uniti avrebbero rinunciato a dazi di ritorsione.

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Gli scenari per l’Italia

Non si tratta di un fulmine a ciel sereno. In Italia, l’incertezza sulla riforma Ocse si traduce in allarme per le imprese: oltre ai potenziali dazi su prodotti chiave dell’export, il governo Meloni, alleato di Trump, dovrà valutare se , e come, mantenere la web tax in vigore, che vale poco più di 300 milioni di euro all’anno. “Non escludo una ferma opposizione da parte degli Stati Uniti”, aveva già commentato il viceministro dell’Economia Maurizio Leo in un question time sul tema.

Le reazioni

Il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha sottolineato come “sulla tassazione globale dell’Ocse, rimaniamo impegnati nei nostri obblighi internazionali assunti negli ultimi anni e aperti a un dialogo significativo con i nostri partner internazionali. Mentre la Commissione europea si rammarica del contenuto del memorandum del presidente Usa, confidiamo che valga la pena prendersi il tempo necessario per discutere di queste questioni con l’amministrazione Usa, al fine di comprendere meglio le richieste e spiegare anche la nostra proposta”.

Il presidente della Sottocommissione fiscale del Parlamento europeo Pasquale Tridico ha spiegato che “Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo globale dell’OCSE sulla tassazione delle multinazionali, sottoscritto da 139 Paesi, rappresenta un significativo passo indietro. La decisione di Trump avvantaggia le multinazionali e gli ultramiliardari che hanno sostenuto la sua campagna. Il peso ricadrà sui cittadini e sulle piccole e medie imprese, che continueranno a sopportare un carico fiscale sproporzionatamente più alto rispetto alle grandi corporazioni”.

Su X l’ex commissario UE all’Economia Paolo Gentiloni, uno degli artefici dell’implementazione della minimum tax nell’Unione, ha scritto: “Gli Stati Uniti fuori dall’accordo globale sulla tassazione delle multinazionali. Anni di lavoro messi in discussione”.

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