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diDafne Roat
L’uomo, cinquantenne, era stato condannato a sei anni in primo grado per atti sessuali con una minorenne. La sentenza è stata riformata in appello e la pena è scesa a 1 anno e 8 mesi
Aveva taciuto a lungo quel terribile segreto, per quattro anni aveva mantenuto il silenzio anche se, nonostante i suoi undici anni appena, aveva capito che quelle attenzioni morbose da parte del fidanzato della mamma erano sbagliate. Lei, però, non aveva detto nulla, per proteggere la mamma, perché «lui la fa felice e io sono felice per lei, ma non è proprio una brava persona», ha raccontato anni dopo alla psicologa.
4 anni da incubo
Ci ha impiegato quasi quattro anni per trovare la forza per parlare. Si era confidata con un’educatrice e aveva raccontato tutto, anche di quelle volte che l’uomo aveva aspettato che la compagna uscisse di casa per fumare una sigaretta o fare la spesa per avvicinarsi alla ragazzina e toccarla. Palpeggiamenti nelle parti intime sopra i vestiti, poi gli ammiccamenti. «Faceva il carino e mi chiamava gattina», ha raccontato la ragazzina che avrebbe subito molestie per lunghi mesi a partire dal 2016 fino al 2017. In un’occasione l’uomo, era agosto dello stesso anno, si sarebbe presentato davanti alla piccola completamente nudo.
Dimezzata la provvisionale
Il dramma della minore è emerso solo nel 2020, allora sono partite le indagini della Procura che hanno portato alla condanna in primo grado dell’uomo, rappresentato dall’avvocata Erica Vicentini, a sei anni e quattro mesi per atti sessuali con una minorenne, ma mercoledì la sentenza è stata riformata in appello e la pena è scesa a 1 anno e 8 mesi. La Corte ha infatti riconosciuto l’attenuante specifica dell’ipotesi lieve e le attenuanti generiche prevalenti alle aggravanti, dimezzando anche la provvisionale destinata alla vittima, oggi quasi maggiorenne, assistita dall’avvocato Giorgio Pontalti. Da 50mila euro scende a 25mila euro.
Le foto nel cellulare
Ancora non si conoscono le motivazioni della sentenza, ma i giudici potrebbero aver ritenuto gli atteggiamenti dell’uomo, pur deprecabili, non così gravi alla luce del fatto che il cinquantenne non si sarebbe mai spinto oltre e avrebbe toccato la ragazzina solo sopra gli abiti. L’uomo avrebbe approfittato dei momenti in cui la ragazzina era da sola e della sua innocenza per allungare le mani. «Allora non capivo», ha raccontato l’undicenne all’educatrice quando, anni dopo, ha trovato la forza di rivelare il suo dramma. La ragazza aveva paura di ferire la mamma e non voleva vederla infelice, per questo avrebbe mantenuto il segreto, un fardello dal quale è riuscita a liberarsi solo quando si è sentita davvero libera (la piccola era stata portata in una casa protetta). Le indagini approfondite hanno poi svelato ulteriori dettagli del rapporto morboso tra l’uomo e la ragazzina e nel telefono della madre, che veniva usato anche dalla minore, sarebbero state trovate foto intime della ragazzina e dell’uomo a petto nudo mentre le mandava baci.
Le perquisizioni
Nel corso della perquisizione gli investigatori hanno inoltre trovato sui computer e cellulari del cinquantenne immagini pedopornografiche e pornografiche e alcuni autoscatti in atteggiamenti morbosi.
Nella sentenza di primo grado i giudici hanno evidenziato il disvalore del comportamenti dell’uomo, che aveva già una precedente condanna alle spalle per reati analoghi, e gli effetti sulla vita e lo sviluppo della minorenne. I giudici, presieduti da Marco Tamburrino, ricordano il silenzio della minorenne, dovuto alla necessità di «salvaguardare la relazione con la mamma», e il pianto «disperato e incontenibile» quando finalmente è riuscita a liberarsi del segreto. Secondo il Tribunale di primo grado non può essere quindi applicata l’attenuante della minore gravità del fatto perché non solo l’uomo avrebbe approfittato della giovanissima età della vittima (aveva appena superato i 10 anni), ma anche del rapporto di confidenza e del legame con la mamma , inoltre alla luce delle conseguenze psicologiche subite dalla minore non era possibile, ad avviso del collegio, riconoscere il fatto di lieve entità. Diverso, invece, il ragionamento della Corte d’appello che ha applicato l’attenuante prevista per i fatti di minore gravità.
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