Sampdoria: Riccardo Garrone, a 12 anni dalla morte il ricordo di società e tifosi

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Arrivò al timone della Sampdoria in un periodo non troppo diverso dall’oggi, riportandola prima in A, poi in Europa, quindi a undici metri appena da quello che sarebbe stato l’Ottavo Trofeo, infine in Champions League. Soltanto un predecessore fece meglio di lui, inutile dire chi. Riccardo Garrone, scomparso il 21 gennaio 2013 all’antivigilia del 77° compleanno, della più bella Sampdoria di sempre era stato lo sponsor, col marchio Erg sulla maglia blucerchiata dal 1989 al 1995. E pazienza se le regole di allora avevano estromesso il logo pubblicitario dalle divise delle finali di Berna, Goteborg e Wembley. Oggi sui social la società blucerchiata (combo fotografica a sinistra) e i tifosi lo ricordano con riconoscenza e nostalgia.

Il rilancio – Imprenditore di successo nel petrolio, trovatosi nemmeno trentenne a capo dell’azienda familiare per la precoce scomparsa del padre, nel calcio aveva dovuto gestire una situazione inaspettata, costretto dagli eventi a passare da garante a protagonista per rilevare la società dagli eredi di Paolo Mantovani. Era il 17 febbraio del 2002 e Garrone si affacciava su un panorama desolante: la squadra sull’orlo della C, la società dai conti allarmanti. Come nell’industria, si affidò a quello che era probabilmente il miglior amministratore delegato su piazza: Beppe Marotta, per parte sua cresciuto giovanissimo alla scuola di Mario Colantuoni. Ottenuta la salvezza con una rovente vittoria a Marassi sul Messina, bissata a Vicenza per il sigillo matematico, la Sampdoria poteva ripartire.

La corsa – Con Novellino in panchina e una squadra rafforzata da elementi come Bazzani, Volpi, Turci, Sacchetti, Pedone e Palombo e Flachi confermatissimo col suo numero 10, la nuova Sampdoria di Garrone conquistò la promozione al primo tentativo e con un mese di anticipo sulla fine del torneo. L’anno seguente, i blucerchiati sfiorarono l’Europa per riconquistarla nel 2005 (nella foto, i festeggiamenti a fine campionato), anche se probabilmente per valori espressi in campo avrebbero meritato la Champions. La seconda metà degli anni Zero vide in campo il giovanissimo Quagliarella e il reduce Montella al passo d’addio, il saturnino Cassano e il fiammeggiante Pazzini capaci insieme prima di raggiungere la finale di Coppa Italia, giocata per regolamento in casa della Lazio e perduta solo al quattordicesimo rigore, quindi di inanellare un febbrile filotto di sei vittorie nelle ultime sette gare della primavera 2010, compresa l’impresa di Roma del 25 aprile, per il ritorno dopo 18 anni in Champions.

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Giorni e nuvole – Proprio in quell’estate di quindici anni fa, Garrone accusò i primi sintomi del male che lo avrebbe vinto, costringendolo a cedere la gestione diretta al figlio Edoardo in un momento non molto diverso da quello degli esordi. Conservò tuttavia il titolo di presidente fino al suo ultimo giorno, con la squadra riportata in un solo anno in A e capace, pochi giorni prima, di conquistare una lunare vittoria in casa della Juventus con doppietta del giovanissimo Icardi.

La cognizione del dolore – Era stato un uomo di successo, di grande successo, nell’impresa. Nel sociale aveva avuto visioni intuitive per la Genova che avrebbe voluto, prima fra tutte la rigenerazione della ‘sua’ Val Polcevera, sempre respinte da quelle che egli chiamava non senza fondamento “le forze del male”. Nel privato amava la caccia, il gioco delle carte, i sigari toscani. A volte raccontava di quando, in Africa, si era trovato davanti a un leone. A salutarlo, al Gesù tra i Rubens e i Magnasco, tra Bach e Mozart, la sua Genova e i suoi amici e naturalmente la Sampdoria di allora, in un giorno pieno di pioggia, coi quattro colori della sua ultima avventura a contrastare il grigio e il piombo dell’ardesia, del cielo, delle architetture di Matteotti.

La memoria – Poi, in redazione, la redazione di un giornale che oggi non c’è più e che proprio Garrone aveva sostenuto a lungo, toccò pure mettersi alla tastiera e scrivere qualcosa che finiva così: Forse Garrone ha cominciato a morire quando ha capito che aveva sbagliato, dopo una vita passata a fuggire le illusioni, a fidarsi di una passione. Passato al figlio Edoardo il segno del comando, ha vissuto in posizione defilata la stagione della ricostruzione e del riscatto, con il ritorno in A. Il 2 settembre, per Sampdoria-Siena, la sua ultima presenza a Marassi. Ma il suo tempo si era consumato ed egli ne era consapevole, amareggiato da un lavoro lasciato incompiuto. Nel suo sguardo sofferente dell’ultima apparizione in tribuna c’erano le stesse parole testamentarie del Gran Magro di Gesualdo Bufalino: «Del resto non manca più molto, la mia musica stessa è agli sgoccioli. Una fuga, è stata, una fuga. Ho corso attraverso la vita, senza capirci niente. Ma ormai, fra una o due parasanghe, c’è il mare, le saette di Artaserse non mi raggiungono più».

 

 

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