Made in Italy, è la chimica la vera magia dell’export: +85% dal 2010


Più di 100 gruppi e imprese italiane possiedono 529 filiali estere, per un fatturato di 11 mld e un totale di 37.400 addetti. Nel 2024, trainate da chimica fine e farmaceutica, le vendite oltreconfine hanno superato i 36,7 mld. Le sfide arrivano da costo dell’energia, innovazione e normative ambientali UE, sottolineate dal nuovo Clean Industrial Deal europeo

Con un fatturato complessivo di 77 miliardi di euro e una forte vocazione all’export, l’industria chimica italiana rappresenta un’eccellenza del Made in Italy a livello europeo e globale. Negli ultimi anni e nonostante le sfide globali, il comparto ha consolidato la propria posizione e ottenuto una crescita significativa delle esportazioni. Nel 2023, il 59% del fatturato del settore è stato generato dalle vendite all’estero, un incremento di 24 punti percentuali rispetto a vent’anni fa.

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Tra il 2010 e il 2023, l’export della chimica italiana ha registrato un incremento dell’85%, posizionandosi come secondo in Europa dopo la Spagna (+85%) e superando Germania (+66%) e Francia (+53%). Nel 2024, nei primi undici mesi dell’anno, le vendite al’estero hanno raggiunto i 36,7 mld (+1,5% rispetto all’anno precedente). Il settore è stato trainato in particolare dalla chimica fine e specialistica, che comprende cosmetici, vernici, adesivi, detergenti e additivi.

I diversi comparti dell’industria chimica italiana

L’industria chimica italiana si suddivide in diversi comparti, alcuni dei quali hanno registrato saldi positivi e altri deficit significativi:

  • chimica fine e specialistica – in avanzo di 5,9 mld, con segmenti particolarmente forti come cosmetici (+4,5 mld), vernici, adesivi, additivi per lubrificanti e detergenti;
  • chimica di base e fibre chimiche – settore in deficit per 19,8 mld, colpito duramente da crisi energetica e aumento dei costi delle materie prime;
  • farmaceutica – settore con un saldo positivo di 10,7 mld, grazie all’export dei principi attivi farmaceutici.

Uno degli aspetti chiave della chimica italiana è il suo elevato grado di internazionalizzazione. Attualmente, più di 100 gruppi e imprese italiane possiedono 529 filiali estere, con un fatturato generato all’estero di 11 mld e un totale di 37.400 addetti impiegati fuori dall’Italia. Va sottolineato, inoltre, che il 68% delle imprese chimiche italiane attive all’estero sono di piccole e medie dimensioni.

Export chimica: le principali destinazioni

Nel 2023 le principali destinazioni dell’export sono state:

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  • Germania (13,2%)
  • Francia (9,5%)
  • USA (7,3%)
  • Spagna (7,0%)
  • Polonia (5,9%)

Sul fronte delle importazioni, invece, la Cina è diventata il secondo principale fornitore, passando dal 5% nel 2019 all’11% nel 2023, grazie alla competitività dei suoi prezzi, soprattutto dopo la crisi energetica.

Un’altra conseguenza della situazione geopolitica è il crollo delle vendite verso la Russia, la cui quota è passata dal 2% nel 2021 all’1% nel 2022 a causa delle sanzioni internazionali.

La distribuzione geografica degli investimenti diretti esteri è la seguente:

  • 47% in Europa
  • 21% in Asia
  • 18% in Nord America
  • 12% in Sud America
  • 2% in Africa e Oceania

Le sfide del settore e il Clean Industrial Deal

Nonostante i risultati positivi, la chimica italiana deve affrontare diverse sfide per rimanere competitiva:

  • costo dell’energia;
  • innovazione;
  • normative ambientali UE.

A questo proposito, il Clean Industrial Deal prevede quattro piani d’azione, tra cui uno proprio per l’industria chimica, presentato il 26 febbraio scorso nel corso del summit industriale di Anversa.  L’obiettivo primario è l’incremento investimenti, tra fondi pubblici e privati, pari a 480 mld l’anno, con un pacchetto che dovrà essere adottato entro la fine del 2025 e riconoscerà il ruolo strategico del settore chimico come “industria delle industrie”.

Secondo il documento l’attenzione sarà concentrata principalmente su due settori collegati:

  • le industrie ad alta intensità energetica, che necessitano di un sostegno urgente per far fronte agli elevati costi energetici, alla concorrenza globale sleale e alle normative complesse, che danneggiano la loro competitività;
  • il settore delle tecnologie pulite, un fattore chiave per gli obiettivi di trasformazione industriale, competitività e decarbonizzazione.

Il nuovo quadro sugli aiuti di stato dovrà consentire aiuti necessari e proporzionati agli investimenti privati – vedrà la luce nel 2025 e toccherà:

  • il fondo europeo di sviluppo regionale;
  • il fondo per l’innovazione;
  • il fondo InvestEu gestito dalla Banca europea per gli investimenti (Bei);
  • gli  Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo (Ipcei);
  • una raccomandazione ai singoli stati affinché supportino con incentivi fiscali il Clean Industrial deal.

Il nuovo framework fornirà ai paesi Ue un orizzonte di pianificazione lungo più di 5 anni e alle imprese più prevedibilità negli investimenti per progetti legati agli obiettivi del succitato Clean Deal.

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