Nuovi dazi per esportare negli Usa? Il Piemonte aspetta l’ora di Trump

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Oggi è il giorno di Donald Trump. S’insedia alla Casa Bianca e nei prossimi quattro anni potrebbe succedere di tutto. C’è sudore freddo sulla fronte degli imprenditori piemontesi che esportano. Arriverà la mannaia dei dazi oppure succederà poco o nulla della serie “can che abbia non morde”? Avremo ripercussioni dai probabili provvedimenti sulla Cina oppure no? Questo e altro innerva il sentiment dell’economia territoriale. Il mix con la crisi dell’automotive e con la situazione geopolitica (dal Medio Oriente all’Ucraina) amplifica il tarlo dell’incertezza, il peggior nemico della programmazione a lungo termine, essenziale per la crescita.

I numeri, anzitutto, in attesa dell’11 marzo prossimo, quando avremo dall’Istat il rilascio definitivo dei dati sulla bilancia commerciale 2024 delle regioni. Per ora si sa bene che cosa è accaduto nei primi nove mesi dello scorso anno: l’export del Piemonte è a quota 45,6 miliardi di euro (–3,5% sullo stesso periodo 2023), l’import a 34,0 miliardi (–5,2%), con esportazioni verso Ue 27 in calo del 3,9% e verso extra-Ue 27 a –2,9%. In generale vanno bene tessile e abbigliamento (+11,3%), il food e beverage (+4,8%), la gomma e plastica (+1,5%). Tutti gli altri settori sono in zona negativa, in particolare i mezzi di trasporto (–17%) che conservano però il primato sul totale regionale, con un 21,9% di quota, anche se in netto calo rispetto al 25,5% del 2023.

È interessante, però, aprire una finestra sull’interscambio con Stati Uniti e Cina, grazie alle elaborazioni che Unioncamere Piemonte ha realizzato per Repubblica. Molto, nei prossimi mesi, si giocherà a livello internazionale su che cosa accadrà tra questi due poli. Per la nostra fatica a “entrare” negli Usa, se ci saranno i dazi. E, se l’ingresso commerciale sarà più difficile per Pechino, è molto probabile che – per effetto indotto – l’overproduzione del “Regno di mezzo” comunista si “scarichi” da noi in Europa, complicando il quadro. L’export regionale verso l’America – sempre nei primi nove mesi del 2024 – è stato di 3,765 miliardi di euro (–6,6% sui 4,032 dell’analogo periodo 2023): risultano in calo prodotti chimici (–18,5%), autoveicoli e rimorchi (–33,8%), ma in aumento gli “altri mezzi di trasporto” come materiale rotabile, barche, aerospazio (+61%), bevande (+4,5%) e food (+2,9%).

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Verso la Cina l’export piemontese è aumentato del 24,9% (1,501 miliardi di euro contro 1,202), mentre l’import è diminuito del 3,2%: 2,298 miliardi contro 2,374 (eravamo a 3,210 nel 2022). Vanno forte le esportazioni del tessile (+75,9%, primo comparto con quota 13,1% sul totale) e degli “articoli in pelle e simili”, escluso l’abbigliamento (addirittura con un +348,4%, ovvero con oltre 145 milioni contro più di 32). Al contrario, si è registrato un aumento del 29,9% d’importazioni di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi. La situazione, dunque, è questa, con Francia e Germania che restano i principali partner commerciali nel continente, con il Bianco e il Frejus messi come sappiamo.

Che fare? Gian Paolo Coscia, presidente di Unioncamere Piemonte, non smette di ripetere che è assolutamente necessario sempre agire su più fronti: «Semplificare le procedure burocratiche, rafforzare la competitività diversificando i mercati di sbocco, promuovere l’innovazione tecnologica, ma con un’azione congiunta tra istituzioni, imprese e mondo della ricerca». Stefano Cappellari, direttore Piemonte Nord, Valle d’Aosta e Sardegna di Intesa Sanpaolo, pone un freno «all’eccesso di allarmismo» e suggerisce di valutare «alla prova dei fatti» la nuova amministrazione Trump: pur nella preoccupazione per l’automotive, vede «una ripartenza di investimenti finalizzata al miglioramento e all’efficienza dei sistemi produttivi».

Marco Piccolo, invece, pone lo sguardo su un altro aspetto. Classe 1974, dal 2020 è delegato di Confindustria Piemonte alla Corporate social responsibility, dal 2022 è vicepresidente di Piccola Industria dell’Unione industriali Torino ed è ceo della Reynaldi, azienda di produzione di cosmetici in conto terzi, prima società benefit del settore. «Ci troviamo in un momento di grande incertezza con cambiamenti repentini, tecnologici e geopolitici – racconta Piccolo –. Noi esportiamo in tutto il mondo, ci è saltato il mercato russo e ci è sfumato un business in Israele. Posso essere sincero? Di Trump mi preoccupano meno i dazi. Temo che l’eventuale danno riguardi la cultura imprenditoriale. Incontro colleghi soddisfatti del suo arrivo perché “spazzerà via tutte le stupidaggini sulla sostenibilità”. Sarebbe grave, ci farebbe tornare indietro. Si può discutere su tempi e modalità per i motori elettrici, certo, ma l’attenzione a questi temi non va buttata. Adesso banche e Unione europea ti misurano rispetto a queste scelte, che non debbono essere di facciata, ma serie e strutturali».



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