In Campania comanda De Luca, i suoi ras sono tutti intoccabili

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Da Salerno a Caserta il cuore del potere di Vincenzo De Luca, presidente della Campania, è sotto assedio. Il problema non sono le indagini giudiziarie, ma il quadro di relazioni, conflitti d’interessi e scelte politiche. Emerge un dato incontrovertibile: il Pd, sotto il Garigliano, è ostaggio di “Vicienz ‘a funtana”, soprannome che De Luca si è guadagnato a Salerno per la sua abilità di inaugurare continuamente fontane pubbliche.

Campania divisa

In questi giorni la regione è al centro del dibattito politico nazionale perché il presidente uscente intende candidarsi per la terza volta e il governo ha deciso di impugnare la legge regionale. Impugnazione che rappresenta un assist per Elly Schlein che non sa più come convincere il padre-padrone campano a farsi da parte.

«Abbiamo provato a farlo ragionare, ma ogni mediazione tentata è andata in fumo, non possiamo in nessun modo sostenerlo perché la segretaria perderebbe la faccia», dice un esponente del partito. Lui, il presidentissimo, è in forma smagliante, cita Eugenio Montale, si racconta asserragliato, vuole riportare nella civiltà chi lo critica ed è pronto alla sfida anche a livello nazionale, in quella Roma che descrive come un «circo equestre».

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Uno scontro che resta verbale, visto che alla fine a comandare è sempre lui. Per capirlo basta spostarsi a Salerno, feudo di De Luca, dove presidente dell’ente provinciale resta l’inamovibile Franco Alfieri. Non sono bastate le ambulanze dell’imprenditore amico in strada festanti per la sua elezione, non sono bastate le fritture di pesce e l’arte di coltivare le clientele di cui sarebbe campione mondiale. Non è bastata al Pd neanche l’indagine a suo carico per corruzione e turbativa d’asta per chiedergli un passo indietro.

La procura di Salerno ha chiesto il giudizio immediato, Alfieri è stato in carcere fino al 3 ottobre quando è finito ai domiciliari, ma niente. Lui resta sindaco di Capaccio Paestum, ma anche presidente della provincia di Salerno. E il Pd? Non pervenuto.

È chiaro che non può essere un’indagine a stabilire se un politico deve rimanere sulla tolda di comando, ma un partito che si ispira a Enrico Berlinguer, colui che ha coniato l’espressione «questione morale», dovrebbe comportarsi di conseguenza.

Casca Cascone

Dall’indagine è emerso un dato, l’ennesimo, che suggerirebbe altre scelte. La ditta di famiglia di Alfieri, formale intestataria era la sorella, lavorava come subappaltatrice di quella che incassava appalti nel comune amministrato dal politico campano.

Un conflitto d’interessi, in attesa dell’esito processuale, evidente, ma non per il Pd, che lo lascia al suo posto. In questo procedimento la procura di Salerno, guidata da Giuseppe Borrelli, ha iscritto nel registro degli indagati anche Luca Cascone, dominus della gestione Covid in regione, consigliere regionale fedelissimo di De Luca, e responsabile Infrastrutture dimissionario.

L’indagine, lo scorso dicembre, si è ulteriormente allargata. Cascone, Alfieri e un dirigente comunale sono ora indagati per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione. Sullo sfondo la gestione degli appalti in provincia. Gli inquirenti stanno esaminando il cellulare di Cascone, passando al setaccio chat e conversazioni con oggetto gare, bandi e lavori pubblici.

Dalle parti di Salerno c’è anche un processo a carico di un altro ras e signore dei voti. Si tratta di Giovanni, detto Nino, Savastano. La sua ascesa politica non è stata interrotta neanche da una vecchia condanna per abuso d’ufficio – è stato successivamente riabilitato – rimediata anni fa per aver dato una casa alla moglie di un boss.

Una minuzia totalmente ignorata dal centrosinistra, a guida Pd, che lo ha comunque candidato. Ora Savastano è a processo per corruzione, la procura ha chiesto quattro anni e un mese. Come gli altri citati, Savastano respinge ogni addebito. Ma oltre le vicende giudiziarie restano le evidenze politiche. Se Salerno piange, Caserta non ride. Altra città, altra provincia, altri guai per i ras deluchiani.

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L’altro ras

La sagra della castagna e quella del fungo porcino, i voti lievitati da duemila a 20mila, il padre plenipotenziario della Dc locale e, da ultimo, i soldi volati dalla finestra di un sodale dell’imprenditore amico. È la biografia essenziale del consigliere regionale Giovanni Zannini, signore delle preferenze a Caserta e uomo forte di De Luca. Il consigliere, figlio d’arte (il padre Michele era ras della Dc e presidente delle Acli), è coinvolto in una inchiesta che contesta un raffinato sistema di corruzione. Avrebbe ricevuto regalie varie, tra cui motorini per i figli, in cambio di un intervento presso il comune di Teano in favore dell’imprenditore e amico Alfredo Campoli.

Proprio un sodale di quest’ultimo, non indagato, durante le perquisizioni eseguite dai carabinieri, ha lanciato migliaia di euro (160mila) dalla finestra poi recuperati dai militari. Oltre a Zannini e Campoli sono indagati anche Paolo e Luigi Griffo, imprenditori del settore caseario. Avrebbero offerto all’astro nascente del deluchismo una gita in barca in cambio di un intervento per sbloccare una pratica relativa a un impianto di produzione di mozzarella.

Il tribunale del riesame ha confermato il sequestro del caseificio e di quattro milioni di euro, ottenuti da Invitalia, la spa del ministero che sarebbe stata tratta in inganno nelle procedure per il rilascio del finanziamento. Procedure che, secondo gli avvocati degli imprenditori, sono state adottate correttamente. Zannini, presidente della commissione Ambiente regionale e componente di quella Trasparenza, non ha risposto ai pubblici ministeri, presentando una memoria e dichiarando che dimostrerà la sua totale estraneità ai fatti contestati. Intano De Luca, mentre il suo sistema di potere è sotto assedio, prepara il suo tour nazionale per difendere il terzo mandato.

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