Bollette gas e luce, salasso per le imprese in Puglia: +574 milioni

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Il caro-energia continua a pesare sulla competitività delle imprese italiane e nel 2024 ancora di più, un salasso che sta frenando anche le aziende pugliesi: il maggiore costo è stato di circa 574 milioni secondo i calcoli di Confartigianato. Secondo i dati di Confindustria, le imprese italiane soffrono un costo dell’energia pari al doppio delle concorrenti europee.

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Secondo un’elaborazione del centro studi di Assolombarda su dati Gme, negli ultimi 2 anni il prezzo medio mensile dell’energia elettrica in Italia è stato sistematicamente più alto, anche di oltre il 50%, rispetto ai Paesi europei suoi benchmark: a dicembre 2024 l’Italia ha pagato 135 euro/MWh, il +38% in più rispetto alla Francia, il +25% in più rispetto alla Germania, il +21% in più rispetto alla Spagna. Senza contare che a partire da aprile 2024, l’andamento del prezzo in Italia è aumentato rapidamente, raggiungendo a fine anno i livelli registrati a ottobre 2023. Un’indagine di Confartigianato, invece, ha individuato un prezzo netto medio di 28,44 centesimi/euro per kWh, che ha posto l’Italia al quinto posto tra i Paesi dell’Unione economica e monetaria (Uem). Tra le regioni a subire il maggiore extra-costo per l’energia elettrica rispetto all’Ue anche la Puglia: +574 milioni. E per il 2025 le previsioni non lasciano dormire sonni tranquilli: quest’anno, infatti, le bollette potrebbero costare al sistema imprenditoriale pugliese 601 milioni di euro. La spesa complessiva a livello nazionale dovrebbe toccare gli 85,2 miliardi, di cui 65,3 per l’energia elettrica e 19,9 per il gas (in Puglia 513 milioni per l’energia elettrica e 87 milioni per il gas). A pagare il conto più salato dovrebbero essere le imprese del Nord, che ospita buona parte dello stock delle imprese presenti nel Paese e, conseguentemente, dovrà farsi carico della quota parte di aumento più consistente, praticamente quasi due terzi dell’aggravio complessivo. Le stime arrivano dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre e si basano su un’ipotesi del prezzo medio dell’energia elettrica nel 2025 di 150 euro per MWh e del gas a 50 euro per MWh, mantenendo una proporzione di tre a uno tra le due tariffe, come nei due anni precedenti.

Con un’eventuale impennata dei costi delle bollette elettriche, i settori più colpiti potrebbero essere la metallurgia, il commercio, altri servizi come cinema, teatri, discoteche, lavanderie, parrucchieri, estetiste; alimentari; alberghi, bar e ristoranti; trasporto e logistica; chimica. Per quanto concerne le imprese che utilizzano gas, i comparti che potrebbero subire gli effetti economici maggiormente negativi potrebbero essere l’estrattivo; la lavorazione e conservazione di alimenti; la produzione alimentare; la confezione e produzione tessile, abbigliamento e calzature; la fabbricazione/produzione di legno, carta, cartone, ceramica, utensileria, plastica e chimica; la fabbricazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche, macchine utensili e per l’industria; la costruzione di navi e imbarcazioni da diporto. Oltre agli effetti sui bilanci delle imprese e delle famiglie, secondo la Cgia potrebbe esserci un’impennata dei prezzi del gas e dell’energia che rischiano di provocare una spirale inflazionistica, come nel biennio 2022-2023, in cui la crisi energetica ha causato una significativa perdita del potere d’acquisto per lavoratori dipendenti e pensionati, l’aumento dei tassi d’interesse e quindi il costo maggiore del denaro, che ha messo in difficoltà investimenti e crescita del Pil.

«Per contrastare efficacemente il rallentamento economico in corso – conclude l’ufficio studi veneziano – in primo luogo dobbiamo evitare il crollo dei consumi interni, obiettivo che potrebbe non essere conseguito se l’inflazione dovesse tornare a crescere. In secondo luogo è necessario spendere bene ed entro la scadenza (31 agosto 2026) le risorse del Pnrr ancora a nostra disposizione, praticamente 130 miliardi di euro. Secondo la Bce, l’utilizzo di tutti i prestiti e le sovvenzioni che ci sono stati erogati da Bruxelles farà aumentare in via permanente il nostro Pil nello scenario migliore dell’1,9% fino al 2026 e dell’1,5% fino al 2031 rispetto a un Pil senza questi speciali sostegni post-pandemici».

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