ora la ministra è appesa ad un filo

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Neanche una riga. Silenzio. La difesa d’ufficio di Fratelli d’Italia per Daniela Santanchè, rinviata a giudizio per falso in bilancio, semplicemente non c’è. Ora la ministra del Turismo è in bilico. Il suo destino al governo appeso al verdetto di Giorgia Meloni, la vera Cassazione in questa tortuosa vicenda giudiziaria. Le dimissioni non sono affatto un tabù. Anche se la premier non ha deciso e prende ancora tempo. Convinta che vi sia una differenza sostanziale tra questo processo e quello in cui rischia di incorrere Santanchè a inizio marzo, per truffa ai danni dello Stato. Un’imputazione che, se confermata, non potrebbe non avere immediate conseguenze politiche.

È stata comunque una giornata di passione per il governo. È il primo pomeriggio quando i telefoni di via della Scrofa iniziano a squillare. Che fare? Il rullo di agenzie batte senza sosta le stoccate delle opposizioni. Conte, Schlein, serrano tutti i ranghi dietro il grido: «Dimissioni subito». Uno ad uno, gli alleati del centrodestra escono a difendere la collega sulla graticola, come possono. Salvini, Tajani, Lupi chiamano in causa il garantismo, prendono tempo.

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Daniela Santanchè, chi è il ministro per il Turismo: carriera politica, studi, vita privata

IL SILENZIO

In Fratelli d’Italia, tranne qualche frase rubata dai cronisti, tutto tace. È la linea ufficiale concordata con Meloni e Giovanbattista Fazzolari, a capo della comunicazione del governo. Bisogna studiare le carte, è una vicenda complessa – suona così il jingle dei vertici di partito a confronto, d’intesa con la premier – capire bene la portata politica. Magari attendere le motivazioni del rinvio a giudizio. Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, spiega al Messaggero: «La contestazione in materia di bilanci societari è sempre molto complessa, ancorché si tratta di una mancata svalutazione di ammortamenti, è difficile trarre subito deduzioni politiche». Dietro le quinte però il Santa-gate inizia a montare. Raccontano di un contatto telefonico fra la premier e la ministra nel mirino dei giudici. Meloni è combattuta. Rispondendo a una domanda di questo giornale in conferenza stampa di inizio anno, aveva lasciato aperta ogni ipotesi. Santanché deve dimettersi se rinviata a giudizio? «Vediamo», «aspettiamo la decisione della magistratura…». Pausa. «Ne parlerò con lei».

Fino a ieri mattina, a ridosso del verdetto sul processo, la ministra di FdI ostentava una certa tranquillità a chi la cercava al telefono. Sciorinando questa linea, concordata mesi fa con Meloni. Dimissioni certe in caso di rinvio a giudizio nell’indagine per truffa ai danni dello Stato, con il verdetto atteso a inizio marzo. Un processo troppo delicato, dunque politico, per restare in carica e montare la trincea garantista. Nessun passo indietro invece in questo caso. Di ora in ora però le certezze di Santanché si sono fatte molto meno granitiche. Complice il silenzio stampa dell’intero partito. Neanche una nota stringata. E l’indicazione dei vertici: chi vuole difenderla lo faccia pure ma a titolo personale. Ignazio La Russa, amico strettissimo, è tra i primi a esprimere solidarietà in privato, ma evita di esporsi in pubblico il presidente del Senato, ieri di ritorno da una visita in Tunisia. Si cammina su un filo. Se “Daniela” dovesse lasciare il ministero, in pole ci sarebbe il deputato Gianluca Caramanna, uomo forte di FdI sul Turismo, consigliere di Santanché al dicastero di Via di Villa Ada.

LA LINEA DELLA PREMIER

Meloni non intende chiedere subito il passo indietro alla ministra. E più questa richiesta si è fatta assordante ieri dalle fila delle opposizioni, più la presidente del Consiglio, intenta a studiare le carte del processo con i suoi consiglieri, si è convinta a tenere la barra dritta, almeno per il momento. Certo la leader di Fratelli d’Italia non sottovaluta il possibile effetto valanga del caso Santanchè. Altri due possibili processi che incombono, per truffa e per bancarotta. Settimane di can-can politico e mediatico dove può finire trascinato un ministero chiave del governo, peraltro nell’anno del Giubileo. Se una lezione è rimasta del caso Sangiuliano, la scorsa estate, è che aspettare troppo non paga, espone il fianco della maggioranza. Cosa succederebbe se la ministra di FdI restasse in sella oggi e finisse a processo tra un mese, peraltro accusata di truffa ai danni dello Stato per i fondi della cassa integrazione Covid della società Visibilia? Sono pensieri che si rincorrono nella testa della presidente del Consiglio nelle ore in cui si interroga sull’opportunità di un blitz a Washington per omaggiare Donald Trump durante il suo giuramento, lunedì mattina. Intanto la premier soppesa ogni scenario ed è decisa a non chiedere subito il passo indietro di Santanché. Tempo al tempo. Ammesso che ce ne sia ancora molto.

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