Cercasi una giustizia anti populista. Lezioni contro la repubblica fondata sulle procure

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Nuovo Csm e carriere separate. La riforma Nordio rafforza la terzietà della magistratura e non indebolisce la democrazia. Lo dice la logica e pure alcuni campioni della sinistra


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Per chiunque abbia a cuore la necessità montesquieuiana di riequilibrare lo squilibrio che esiste in Italia tra potere giudiziario e potere legislativo e per chiunque abbia a cuore la necessità di combattere la deriva di un paese che negli anni ha scelto in modo pericoloso di lasciare spazio a una democrazia fondata sempre meno sul lavoro e sempre più sullo strapotere della repubblica delle procure, la notizia arrivata ieri è semplicemente entusiasmante: in Parlamento, come sapete, i deputati della maggioranza, e qualcuno dell’opposizione, hanno finalmente approvato in prima lettura la riforma della giustizia, con annessa separazione delle carriere, sorteggio del Csm, istituzione dell’alta Corte disciplinare.

La riforma, come è noto, modifica alcuni passaggi della Costituzione, richiede dunque tempi lunghi, tre letture alla Camera e tre al Senato e come era lecito aspettarsi i grandi nemici della riforma, in primis l’Associazione nazionale dei magistrati (Anm) e una delle principali correnti della magistratura (Md), ieri hanno utilizzato tre argomenti per provare a mostrare la pericolosità della riforma. Questa riforma, si è detto, è un pericolo per la tenuta della Costituzione, è un pericolo per il futuro della democrazia ed è un pericolo per l’indipendenza della magistratura. Le tre critiche, in verità, sono facilmente smontabili, con argomentazioni persino elementari. La riforma della giustizia non è un pericolo per la Costituzione perché separando le carriere si rafforza la terzietà del giudice, ottemperando dunque a un articolo della Costituzione che i difensori della Costituzione più bella del mondo spesso si dimenticano di citare (l’articolo 111, secondo cui “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”).

Non è un pericolo per la democrazia perché, creando un Csm sorteggiato in cui le correnti pesano meno, si depotenzia la magistratura ideologizzata e si pone un freno alle esondazioni dei pubblici ministeri (meno i magistrati faranno carriera grazie alle correnti e meno tentazioni vi saranno di costruire inchieste ideologiche contro una parte politica per avere carriere più veloci). E non è un pericolo per l’indipendenza della magistratura per le ragioni, spiegate anni fa, da un famoso avvocato di sinistra, già sindaco di Milano, di nome Giuliano Pisapia. “Sulla separazione delle carriere – scrisse Pisapia nel 2009 – bisogna sgombrare il campo da equivoci e strumentalizzazioni.

Ogni posizione è legittima, ma è assolutamente falso che la separazione delle carriere incida sull’autonomia e sull’indipendenza della magistratura. Montesquieu, considerava un abuso gravissimo il fatto che gli stessi soggetti potessero essere ‘juge et accusateur’. E anche Calamandrei, in vari interventi, si è dichiarato favorevole alla separazione tra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti. Alle tre grandi critiche rivolte alla riforma della giustizia in queste ore l’opposizione poi aggiunge una critica in più, tra il lunare e il surreale, ed è una critica secondo la quale la riforma oltre a essere dannosa è inutile.

Non si capisce come faccia una riforma a essere inutile se è dannosa (se è dannosa, per l’opposizione, vuol dire che qualcosa fa). Ma per rispondere a questa argomentazione rimandiamo a un testo firmato da diversi attuali parlamentari del 2019, ai tempi della mozione congressuale di Maurizio Martina, mozione che sul tema della giustizia chiedeva con urgenza la seguente riforma: “Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale”. Né dannosa, né inutile: semplicemente ineludibile, per avere una giustizia più indipendente, meno ideologizzata, più imparziale, meno minacciosa per la democrazia. Per i nemici del populismo, quello vero, quella di ieri è una bella giornata.



  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.





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