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Uccisa a 18 anni nel proprio appartamento: mistero sulla morte di una giovane nella Bergamasca. Il corpo trovato da un’amica #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


Venezia, 25 ott. – (Adnkronos) –  Filippo Turetta tradisce la promessa di “voler raccontare tutto, di dire la verità per onorare la memoria” di Giulia Cecchettin e quando si siede al banco degli imputati si contraddice, tentenna, si mostra reticente. Con voce esitante, senza quasi mai tradire un’emozione, con frasi brevi intervallate da lunghe pause, rimette insieme i pezzi fino all’11 novembre scorso quando ha accoltellato a morte l’ex fidanzata. Per l’intera udienza, davanti alla corte d’Assise di Venezia, tiene gli occhi bassi, lo sguardo è in direzione dei giudici, non incrocia mai lo sguardo di Gino, papà della vittima, l’uomo che di un dolore inumano non ne ha fatto odio.

Lo studente modello, il ragazzo introverso con la passione per la pallavolo, il ventiduenne alla sua prima relazione sentimentale, fa fatica a pronunciare il nome di Giulia, lo fa solo un paio di volte in circa sei ore di interrogatorio. Il ritratto è quello di una relazione di circa un anno e mezzo, della vittima, compagna di studi in Ingegneria biomedica, che si oppone a lui “troppo dipendente e ossessionato da lei, eccessivo, possessivo e soffocante” ma incapace di cambiare, di tenere a bada la rabbia.

La difesa di se stesso è incerta quando il pm Andrea Petroni lo incalza su quanto scritto in una lista, una sorta di piano d’azione che realizza a partire da inizio novembre. Spia la vittima con unaRe sul cellulare, compra tre scotch per legarla e impedirle di urlare, studia mappe per scappare e disfarsi del corpo, prepara soldi, vestiti e provviste per la fuga. “Scrivendo quella lista ho ipotizzato di stare un po’ insieme e di farle del male…ero arrabbiato, provavo risentimento perché c’eravamo lasciati. Quella lista mi tranquillizzava”, spiega. “Ho ipotizzato di rapirla in macchina, di allontanarci insieme verso una località isolata per stare più tempo insieme… poi aggredirla, togliere la vita a lei e poi a me”.

Rispetto alla confessione resa pochi giorni dopo l’arresto, Turetta ‘corregge’ il tiro e ripete quello scritto nero su bianco in tre recenti memorie: “I coltelli li ho messi in auto quella settimana, deve essere stato uno di quei giorni… mercoledì, giovedì o venerdì. Quel sabato ho comprato altro scotch, il terzo, forse per avere più sicurezza”. E quella sera, nel parcheggio di Vigonovo “la cosa che volevo più di tutte era tornare con Giulia, ho provato a farle un regalo (una scimmietta di peluche, ndr) ma lei lo ha rifiutato. In quel momento ho sentito di aver perso la possibilità di tornare insieme”.

Sull’asfalto, a 150 metri da casa Cecchettin, restano le macchie di sangue mostrate in aula. “Ero arrabbiatissimo, non volevo andasse via. Devo averla spinta o tirata e lei è caduta per terra, la devo aver colpita non so come…ricordo solo che ho il coltello in mano”. Poi la carica in auto, le toglie il cellulare “per impedirle di chiamare aiuto”, blocca le sicure della macchina per impedirle la fuga, la colpisce ancora -“un colpo alla coscia, forse altri, non lo so perché colpivo a caso” – nel tragitto verso l’area industriale di Fossò. La ventiduenne riesce a scendere, la telecamera di una ditta inquadra la breve fuga, poi Turetta la raggiunge e riprende a colpire. Non ricorda il numero esatto di coltellate, 75 dirà l’autopsia. Si libera del corpo dopo cento chilometri, lo nasconde vicino al lago di Barcis, usando dei sacchi neri, anche questi presenti nella lista, “per coprire le ferite…era un’immagine brutta”. (segue)

Ci mette quasi tre ore Turetta per rispondere alla domanda che si pongono tutti. “Ho ucciso Giulia perché non voleva tornare con me, avevo rabbia, soffrivo di questa cosa. lo volevo tornare insieme a lei e di questo soffrivo molto e provavo risentimento, molto, verso di lei. Avevo rabbia perché sostanzialmente soffrivo di questa cosa, volevo tornare insieme e lei non voleva…non so… mi faceva rabbia che non volesse”. Parole che pronuncia senza particolare emozioni, le lacrime (poche) si vedono solo quando pensa al tentativo di allungare il tempo con la “meravigliosa” Giulia.

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A un anno dal delitto, Turetta giudica “male” quel ragazzo che ha fatto prevalere la rabbia. “E’ giusto espiare la colpa e provare a pagare per quello che ho fatto. Mi sento anche in colpa a pensare al futuro perché lei non può più. Vorrei non aver fatto a lei questa cosa terribile, aveva ancora affetto per me. In certi momenti vorrei chiedere scusa, ma credo sia ridicolo visto l’ingiustizia che ho commesso e le mie scuse potrebbero creare ulteriore dolore…dovrei sparire. Mi dispiace tantissimo”. Alla famiglia di Giulia, l’ex fidanzato dedica un passo del memoriale di 80 pagine, scritto a mano. “Non posso neanche immaginare e rendermi pienamente conto del dolore e della sofferenza che prova la sua famiglia, suo padre, sua sorella e suo fratello e i suoi familiari vivendo questa nuova triste e angosciante realtà”.

Elena, la sorella di Giulia, è assente per prendersi cura di sé. “Sarebbe per me una fonte di stress enorme e dovrei rivivere nuovamente tutto quello che ho provato a novembre dell’anno scorso, non ne sono in grado”. Papà Gino, invece, lascia l’aula dopo le domande della pubblica accusa e delle parti civili, nessun interesse a sentire la difesa. Dopo aver ascoltato “gli ultimi istanti della vita di Giulia”, non ha bisogno di altro: “Ho capito benissimo chi è Filippo Turetta, per me è chiarissimo e per me la vita del prossimo è sacra”.



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