Questa festa rappresenta una porta che s’apre verso il passato, un insieme di memorie trasmesse da una generazione all’altra, e ripropone i segni e le attività della comunità che abitava il luogo e che ancora lo vive. Un tempo intermedio tra l’inverno e la primavera.
L’Abruzzo (ma anche altre regioni, come il Molise) conserva nelle sue tradizioni agro-pastorali, molte feste di fuochi invernali, alcune molto conosciute, altre meno. Borghi di montagna e piccoli centri nelle valli si animano già dal giorno 16 e la gente per tempo prepara cataste di legna o grossi fasci di canne (farchie) che, una volta accese, rischiareranno piazze, faccciate di chiese, palazzi, spuntoni di roccia. Faranno brillare i selci delle strade o il bianco della neve. Percezione di antica religiosità, mista di sacralità pagana. Memoria e cambiamento.
La tradizione che lotta con la modernità, con gli impegni e la fretta quotidiana, con la mancanza di interesse della gente. Ma la festa c’è, ed ancora affascina.
Si ricollega alle altre feste di fuochi invernali prima e dopo il solstizio d’inverno. Cerca di conservare o recuperare i caratteri propri che il luogo le conferiva un tempo, ed aggiunge momenti di armonia e coesione. Per un giorno torna la “memoria”. L’uomo s’interroga su cosa resta del passato, su cosa ci riserva il futuro. E l’anima può ancora vibrare intorno al sacro fuoco di Sant’Antonio, e il racconto continuare.
Il racconto delle feste contadine del passato, come un viaggio a ritroso attraverso il tempo che è stato. La suggestione del luogo, in uno dei borghi più belli d’Abruzzo e d’Italia, quando annotta fa rivivere i ricordi… le slitte trainate da buoi, con la neve, a raccogliere legna per le case e le masserie; donne che uscivano dalle case vicine e portavano un pezzo di legna che aggiungevano al fuoco; l’asta della legna nel pomeriggio della festa, che aveva anche la finalità di dare alle famiglie meno abbienti la possibilità di approvvigionarsi di legna a metà inverno…
Altri tempi, condizioni di vita diverse.
Ma questa antica festa del mondo agro-pastorale, quel mondo che portò la nostra comunità a vivere una temperie culturale incredibile tra il XV e il XVIII sec., è una festa amata e condivisa che, anche nelle difficoltà, ha sempre avuto svolgimento.
Il calore del fuoco che si sprigiona dalla grande pila di legna predisposta ora dagli operatori del Comune, le mille scintille che si levano nell’aria, le voci, i sorrisi. Gli sguardi attratti dalle fiamme.
Tra le spirali del fumo del grande falò alla base del “castello” sembrano rivelarsi le figure di quegli uomini che nel corso dei decenni si sono succeduti nella preparazione e accensione del sacro fuoco in onore del Santo e dato vita alla festa, trasmettendo la tradizione che è giunta fino a noi.
Il giorno del Santo continua ad essere un “ giorno di fuochi”, e la memoria vince sull’oblio; torna a raccontare ai più giovani e a ricordare agli anziani usi e costumi delle comunità perchè non se ne smarrisca definitivamente il significato e la bellezza.
Anche quest’anno a Pescocostanzo il sacro fuoco brucerà in onore del Santo, una delle figure principali della religiosità popolare, il protettore degli animali. Sant’Antonio Abate, il Santo che aiuta a trovare le cose perdute, verrà festeggiato con un programma religioso e civile. Già la sera del 16, gruppi di cantori in costume gireranno in paese e riproporranno il canto (un tempo detto della questua), che racconta la lotta tra il Santo e il Demonio.
Al mattino del giorno 17 ci sarà l’accensione della grande pila di legna in Largo Porta di Berardo. Poi, la celebrazione religiosa (ore 11.00) e la benedizione degli animali a mezzogiorno.
Nel pomeriggio il nuovo Comitato delle Feste cittadine (coadiuvato dall ‘Associazione dei Pensionati) aprirà uno stand gastronomico per la degustazione di piatti tipici e prodotti locali. Dopo la funzione serale nella chiesetta dedicata al Santo (l’antica pieve della Madonna quando gli antenati abitavano quel luogo) e la discesa delle donne lungo la gradinata del “Peschio”, si darà inizio in piazza Municipio al lancio delle “mongolfiere”, i cosidetti “palloni di Sant’Antonio”, il momento più atteso.
Tredici in tutto, uno per ogni mese dell’anno, più uno dedicato al Santo, si faranno volare dalla loggia del Municipo, per la gioia di tutti. Poi, il vino, i canti, l’allegria.
Il lancio delle mongolfiere rappresenta un aspetto esclusivo della festa pescolana. Nel passato i “palloni” venivano realizzati con carta, fogli di giornale e colla di farina o di pesce. Gonfiati con il calore del fuoco, s’innalzavano. Ma tante volte, svigoriti dal vento, s’incendiavano. Dal risultato del volo di ogni singola mongolfiera i nostri antenati traevano previsione per il mese e per l’anno che veniva.
(L’omino che un tempo realizzava a mano i “palloni di Sant’Antonio” con fogli di giornale e colla di farina, e che poi la sera della festa con l’aiuto del fuoco cercava di far volare dalla piazza, si chiamava Lumbardozz’. A Pescocostanzo, fino a qualche tempo fa, a quelle persone che raccontavano “balle”, cioè che alzavano palloni, si usava dire: m? siembr? Lumbardozz’)
Luigi Sette
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link