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Anche nel mese di novembre del 2024 il debito pubblico italiano ha continuato a salire, segnando un ennesimo record. Questo ha la peculiarità di essere il primo dato in assoluto a varcare la soglia dei 3.000 miliardi di euro. Un’accelerazione inattesa, che come vedremo dipende dall’incetta di liquidità del Tesoro sul mercato. Lo stock è lievitato rispetto ad ottobre di quasi 24 miliardi (+23,898 miliardi), di cui soltanto per 3,222 miliardi dovuti al fabbisogno mensile, cioè all’insufficienza delle entrate rispetto alle spese. Ben 20,936 miliardi sono stati dovuti all’aumento delle disponibilità liquide.
Infine, le variazioni del tasso di cambio, la rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e gli scarti di emissione hanno ridotto nel complesso lo stock di 0,2 miliardi.
Scorte di liquidità in forte crescita
Per essere più chiari, a novembre il debito pubblico è salito quasi totalmente per effetto delle scorte di liquidità del Tesoro. Queste sono salite a 63,9 miliardi contro i 39,6 miliardi di un anno prima. Ciò lascia intravedere che buona parte di tale aumento sia stato utilizzato nel corso di dicembre, quando dovremmo assistere a una ridiscesa sotto la soglia dei 3.000 miliardi.
Al netto delle variazioni delle disponibilità liquide, il debito pubblico a novembre risulta comunque aumentato di 120,3 miliardi su base annuale. La corsa sta proseguendo al ritmo mensile di 10 miliardi, che appare senz’altro non sostenibile. Ma ci sono per fortuna alcuni dati positivi. Ad ottobre, ultimo mese di cui si hanno i dettagli, gli acquisti netti di titoli di stato da parte delle famiglie sono aumentati ancora di 1,925 miliardi, raggiungendo i 374,306 miliardi. Dall’inizio dell’anno risultano a +49,5 miliardi. Ma ancora meglio hanno fatto gli investitori stranieri: +13,95 miliardi in un mese e +108,7 miliardi da inizio anno, portando gli acquisti complessivi a 760,6 miliardi.
Calo spread con alta domanda di famiglie e stranieri
Questi numeri spiegano il calo dello spread.
Gli acquisti netti di famiglie italiane e investitori stranieri nei primi 10 mesi dello scorso anno (+158,2 miliardi) hanno ammontato al 140% dell’aumento del debito pubblico nello stesso periodo (+112,875 miliardi). Ecco perché il superamento dei 3.000 miliardi spaventa meno di quanto sarebbe stato nel caso di una domanda complessivamente più debole.
Altro aspetto interessante riguarda il debito pubblico che a novembre risultava contratto a tasso variabile: 413 miliardi, il 13,7% dell’intero stock. A fine dicembre del 2023 ammontava a 411,18 miliardi, il 14,3%. Percentuale in calo anche rispetto al 14,2% di fine 2022, segnale che il Tesoro abbia gestito nell’ultimo biennio le scadenze con l’obiettivo di ridurre la quota a tasso variabile. Comprensibile, visti l’alta inflazione e i tassi di interesse ancora ai massimi dai primi anni Duemila.
Debito pubblico novembre sensazionale, ma lettura parziale
Il dato in sé sul debito pubblico a novembre non ci dice tantissimo sullo stato delle nostre finanze statali. Bisogna rapportarlo al Pil nominale, che a fine 2024 dovrebbe essere salito in area 2.200 miliardi. Decimale più o meno, il governo si attende che si porti al 136%. Livello senza dubbio altissimo, ma ancora quasi identico a quello pre-Covid, quando altrove il rapporto si è innalzato anche sensibilmente. Insomma, i dati vanno letti insieme per non fornire la sola lettura sensazionalistica dei 3.000 miliardi. Fa tanto titolo acchiappa-clic, ma è parziale.
A meno che non raggiungiamo il pareggio di bilancio o un improbabile avanzo, in valore assoluto lo stock crescerà sempre di mese in mese e di anno in anno. Ciò che rileva per capirne la sostenibilità è il suo rapporto con il Pil da un lato e l’incidenza sul bilancio attraverso la spesa per interessi. Il debito pubblico a novembre ha varcato la soglia psicologica con qualche mese di anticipo rispetto alle previsioni, ma dovremmo abituarci a dati progressivamente più alti. I 2.000 miliardi li abbiamo superati nel 2012.
In una dozzina di anni c’è stato un incremento nominale del 50%. Di questo passo, arriveremmo a 4.000 miliardi entro la prima metà del prossimo decennio.
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