Sul Superbonus e la recensione di Valentini

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Ho letto con interesse la recensione entusiastica di Valerio Valentini al libro di Luciano Capone e Carlo Stagnaro, Superbonus. Come fallisce una nazione. Poi l’ho riletta, un po’ per via dell’interesse, un po’ per chiarirmi qualche passaggio. Lo stile è avvincente, ma al lettore chiede applicazione. Non mi riferisco alla prosa ampia e articolata, ricca di incisi, parentesi, trattini, e di nuovo trattini, parentesi e incisi. Per una vita mi sono cimentato con i testi dei miei colleghi filosofi, e bene o male so come venirne a capo. Mi riferisco alla sostanza del testo.

Scrive dunque il Valentini che il Capone e lo Stagnaro sono giornalisti non politici. Il corsivo è suo. Mi è chiaro che cosa sia un giornalista politico nel senso corrente: un giornalista che segue la politica, e ne dà conto su un giornale, magari on line, come appunto il Valentini, o in un libro. Mi è chiaro che cosa sia un politico non giornalista, anche se da qualche tempo la distinzione tra le due professioni tende a sfumare, come ahinoi quella tra politologi e giornalisti. Ma che cosa è un giornalista non politico, in corsivo? Un giornalista che non fa politica? Difficile che ce ne siano in giro. O forse il Valentini intende che i suddetti non sono giornalisti politici nel senso corrente? Se così fosse, dovrei supporre che non seguano la politica, che non ne diano conto, neppure in un libro. Già, ma l’hanno scritto, un libro sulla politica. Sono confuso. Tornerò a meditare questo passaggio dell’avvincente recensione del Valentini. Ci sarà stato un perché, mi dico, se la rivista l’ha pubblicata.

Veniamo al cuore della questione. Non al superbonus, di cui purtroppo non ho approfittato. Non per cattiva volontà, ma per mancanza di immobili da ristrutturare. A parte questo particolare, che riguarda la mia biografia, confesso di non esserne un sostenitore particolarmente accanito, e certo non uno tra «gli irriducibili, o gli irrecuperabili» dei quali molto si duole il Valentini. Se anche lo fossi stato, il suo scritto mi avrebbe ben recuperato e ben ridotto. A questo servono gli articoli della nostra rivista, nostra perché la leggo e ci ho scritto: a ridurre e recuperare i lettori recalcitranti.

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Il superbonus è una misura scellerata, scrive il Valentini con spiccato senso della misura, appunto, e l’ideologia che ne sta alla base è distorta. Concordo

L’entusiasmo del Valentini mi ha contagiato e mi sono perso per strada. Volevo arrivare al cuore della questione, e me ne sono quasi dimenticato. Eccolo, il cuore. Il superbonus è una misura scellerata, scrive il Valentini con spiccato senso della misura, appunto, e l’ideologia che ne sta alla base è distorta. Concordo. Le ideologie si dividono in diritte e distorte. Diritte sono le nostre, suppongo anche la mia, distorte sono quelle degli altri. E non se ne parli più, almeno sulla nostra rivista.

Cioè, no, parliamone. Magari evitiamo di insistere sul Capone e sullo Stagnaro con le tette al vento (il corsivo è del Valentini). Non ho niente contro il vento, e men che meno contro le tette. Ma nel caso di quelle del Capone e dello Stagnaro mi sia permesso di fare un’eccezione. Parliamo invece della precocità di giudizio dei due, sempre secondo il Valentini. Di primo acchito, continua il Valentini, hanno avuto l’intuizione giusta. Capita ai più svegli, gli altri devono accontentarsi del secondo, del terzo i più ottusi. Anche se, nel caso del Capone e dello Stagnaro, ci sarebbe di mezzo un «consolidato pregiudizio. Il pregiudizio, cioè, che li spinge a diffidare in maniera quasi aprioristica di qualsiasi intervento dello Stato nell’economia, specie se a questo intervento si pretende di demandare una missione salvifica. Quando sentono parlare di politica industriale, i due mettono mano alla pistola».

Qui mi serve aiuto. Non per la missione salvifica. Nelle questioni di fede non entro, per rispetto. Che cosa intende, dunque, il Valentini? Che quello dei due sia un giudizio precoce e di primo acchito? O che sia un pregiudizio consolidato? Il riferimento alla mano che corre alla pistola parrebbe rimandare al giudizio precoce, di primo, secondo e terzo acchito nonché consolidato di Joseph Goebbels. D’altra parte, il noto gerarca nazista era più che favorevole all’intervento dello stato nell’economia. Ancora una volta, sono confuso. Mi consola però leggere che il pregiudizio del Capone e dello Stagnaro «non è del tutto tetragono fino al punto d’essere ottuso». La consolazione sarebbe persino maggiore, se il Valentini non avesse inserito nella frase un imprevedibile «del tutto» che me ne ha rallentato la lettura, ma non del tutto fino al punto d’essere ottusa.

Nota poi il Valentini che il Capone e lo Stagnaro scrivono il loro libro sui «bei fondamenti» della «loro conoscenza profonda di un certo modo italiano di fare le cose, un modo che […] risale su su fino ad Antonio Ferrer». Il Valentini si riferisce all’Antonio Ferrer di Alessandro Manzoni, che però, beato lui, essendo nato a Sant Feliu de Guíxols, aveva la fortuna di essere spagnolo, o meglio catalano.

In ogni caso, il Capone e lo Stagnaro argomentano his fretus, scrive qualche riga prima il Valentini, puntiglioso conoscitore di don Lisander. E qui l’asino inciampa. Naturalmente, l’asino sono io. Il passo dei Promessi sposi da cui il Valentini trae la citazione suona così: «His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle». Devo sospettare che i due autori rischino di morire di qualche subdola pandemia, meschini? Sono sempre più confuso, oltre che preoccupato.

Il Valentini inverte la prospettiva, lascia riposare l’occhio destro e finalmente mette al lavoro quello sinistro, nel senso dell’occhio della sinistra. E ora, giustamente, bacchetta quei reazionari di Mario Monti e di Mario Draghi ricorrendo al magistero di Karl Marx

Per fortuna, il Valentini fa quello che in un film si chiama controcampo: inverte la prospettiva, lascia riposare l’occhio destro e finalmente mette al lavoro quello sinistro, nel senso dell’occhio della sinistra. E ora, giustamente, bacchetta quei reazionari di Mario Monti e di Mario Draghi ricorrendo al magistero di Karl Marx. Insomma, per farla breve, visto da un marxista il superbonus è un abominio. Non so che cosa ne penserebbe il Karl Marx medesimo, ma la fine esegesi mi entusiasma, pur essendo io nietzschiano, particolare che riguarda di nuovo solo la mia biografia.

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Devo essere poi grato al Valentini per la limpida, argomentatissima chiusa, una dedica sentita e vibrante prima al «massimalismo come ricattatoria fuga dalla realtà», qualunque cosa significhi, poi ai «babbei» che, essendo favorevoli al superbonus, sono malauguratamente «finiti non a tenere banco in qualche bar di provincia, ma a Palazzo Chigi». His fretus, per essere anch’io un poco manzoniano, mi compiaccio che finalmente la nostra rivista le canti chiare non solo agli irriducibili e agli irrecuperabili, ma anche ai babbei, senza perdersi in desuete delicatezze espressive, come faceva un tempo. Del resto, se ha trovato spazio per la recensione entusiastica del Valentini, anche lui con le tette al vento, un motivo deve esserci stato. Aggiungo solo che chi tiene banco nei bar di provincia non sempre parla, o scrive, a vanvera.



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