Il venture capital in Italia dopo 10 anni è diventato maturo




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Negli ultimi dieci anni il venture capital italiano ha conosciuto una crescita senza precedenti. Gli investimenti in equity sono passati da circa 150 milioni di euro nel 2013 a oltre 1,1 miliardi nel 2023. Complessivamente nel decennio si sono superati gli 8 miliardi senza contare i contributi pubblici a fondo perduto e gli incentivi fiscali. Un flusso che ha favorito la nascita di migliaia di startup e portato il valore dell’ecosistema dell’innovazione italiano a circa 67 miliardi, 25 volte superiore rispetto a dieci anni fa.Nel 2013 erano 726 le startup finanziate; nel 2023 quasi 3.000. Tuttavia, i ritorni economici diretti restano limitati: nel 2024 si sono registrate solo 27 exit, nessuna ipo.

Il sistema mostra ancora estrema fragilità sul fronte delle exit. Eppure, sono emersi tre unicorni – Scalapay, Satispay, Bending Spoons – e un ristretto gruppo di «soonicorn» (imprese ad alto potenziale) come Moneyfarm, Casavo, Musixmatch e altre a conferma del potenziale latente dell’ecosistema.Una peculiarità italiana è il ruolo determinante della leva pubblica: nel 2023, il 60% degli investimenti in startup e pmi innovative è stato di matrice pubblica.

Anche la produzione normativa è stata molto prolifica e sofisticata. Dal Decreto crescita 2.0 del 2012 fino alla Legge 162/2024, che introduce una detrazione Irpef del 50% fino a 300.000 euro per investimenti in startup. Tuttavia dal 2025 verrà meno la detrazione de minimis per le pmi innovative, sollevando interrogativi sulla sostenibilità del modello.

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L’impatto del venture capital

In tutto, tra equity, incentivi, garanzie e contributi pubblici, si stima che siano stati mobilitati circa 15 miliardi dal 2012 a oggi. Ma se si guardasse solo ai ritorni finanziari, il bilancio apparirebbe insufficiente. E sarebbe un errore di prospettiva: il vero impatto del venture capital in Italia è dato dalle esternalità positive. È stato culturale, sociale, generazionale.

Dieci anni fa fare impresa era una scelta residuale. Oggi, è un’opzione concreta per migliaia di giovani. Il posto fisso ha perso il suo monopolio simbolico. Si parla di impatto, scalabilità, crescita internazionale. Sono nate nuove professionalità, un linguaggio condiviso, comunità.

Le startup hanno accelerato l’innovazione e svolto un ruolo sociale importante, offrendo percorsi di reinserimento a chi era uscito dai settori tradizionali, trattenendo talenti e attirandone dall’estero. Secondo il Mimit, nel 2023 le startup innovative occupavano oltre 23.800 persone (+10% in un anno), con un impatto rilevante sulla qualificazione dell’occupazione, specie in ambito Stem.

Si è anche diffuso un nuovo mindset: propensione al rischio, resilienza all’insuccesso, visione del successo come processo. In un Paese storicamente avverso al fallimento, le startup hanno alimentato una narrazione diversa, dove fallire in senso figurato non è un disonore ma parte dell’apprendimento. Chi lavora in una startup sviluppa competenze trasversali, adattabilità, velocità decisionale.

La nuova fase

Ora si apre una nuova fase, fatta di sfide complesse. Una riguarda la verifica dello stato di salute delle startup nate tra il 2012 e il 2015: molte potrebbero non superare la transizione da zero a uno, ostacolate da inesperienza, Covid, incertezza geopolitica. Con la scadenza dei primi fondi di investimento, centinaia di partecipate andranno valutate: quali sostenere? Quali ristrutturare? Quali accompagnare a una chiusura ordinata? Sarà cruciale attrarre capitali privati qualificati, in grado di selezionare e accompagnare le realtà più promettenti. Anche le corporate italiane potranno giocare un ruolo strategico, superando la logica dell’open innovation per passare a vere acquisizioni e integrazioni. Per tutte le altre, si porrà il tema della crisi d’impresa.

Ma le norme vigenti non sono pensate per le startup: applicare procedure concorsuali ordinarie a realtà giovani, tecnologiche e spesso a basso capitale, rischia di generare effetti devastanti. Serve una riflessione normativa urgente, che riconosca la startup come fase e non solo come forma. Solo così potremo salvaguardare il valore costruito in questi anni, e non disperdere un patrimonio collettivo che ha già iniziato a cambiare il Paese. (riproduzione riservata)

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