Haiti 15 anni dopo, peggio del terremoto: «Per favore non dimenticateci»

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di
Paolo Foschini

Lontano dai tg, dalla cronaca, dai social. Qualche settimana fa avevano chiuso anche l’aeroporto: le gang sparano contro gli aerei in atterraggio. Sono passati 15 anni dal terremoto dei 200mila morti e Haiti, se possibile, sta peggio di allora. «Non dimenticateci», è l’appello che gli haitiani lanciano al mondo. L’impegno del Terzo settore e della Caritas italiana.

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Lontano dai tg, dalla cronaca, dai social. Qualche settimana fa avevano chiuso anche l’aeroporto: le gang sparavano contro gli aerei in atterraggio, così, per divertimento. Sono passati 15 anni dal terremoto dei 200mila morti e Haiti, se possibile, sta peggio di allora. «Non dimenticateci», è l’appello che gli haitiani lanciano al mondo. L’impegno del Terzo settore e della Caritas italiana. 

Era in effetti il 12 gennaio 2010 quando un devastante terremoto di magnitudo 7.0 colpiva il cuore di Haiti, causando una delle tragedie più gravi nella storia recente del Paese. Il sisma, una catastrofe senza precedenti, ha ucciso più di 220mila persone e causato più di 1,5 milioni di sfollati, devastando le infrastrutture del Paese, comprese migliaia di scuole.
«Questa è una data indimenticabile per tutto il mondo, non solo per noi ad Haiti. Il 12 gennaio del 2010 ha segnato – come sintetizza Maddalena Boschetti, missionaria in Haiti dal 2002) uno spartiacque nella storia recente. Qui da noi si dice sempre “prima o dopo il terremoto”. Ogni famiglia nel Paese è stata toccata dal lutto, perché tutta Haiti ha familiari, amici o conoscenti nella capitale. La capitale ha racchiuso per anni tutto ciò che è centrale nella vita del Paese, e tutti, dalle province, vanno in capitale, continuano ad andare ancora oggi».




















































Questa data ha segnato ogni haitiano non solo per il trauma vissuto, ma perché la catastrofe sembra non avere fine. Da quel devastante terremoto, la storia di questo popolo è costellata da un susseguirsi di disgrazie delle quali non si vede una fine. Continua Maddalena: «All’uscita nord della capitale c’è una fossa comune dove sono stati raccolti i resti di 100mila persone decedute in quell’evento. Questa zona, questo sacrario, come tante altre zone, è nelle mani dei banditi. Tutta la nostra capitale, tutto il nostro Paese sta vivendo una catastrofe umanitaria senza precedenti e non dichiarata, nascosta, oso dire, dal resto del mondo. Parliamo di una catastrofe alimentare, una catastrofe di sicurezza, una catastrofe in cui il cittadino, la persona, perde ogni valore davanti alla violenza e agli abusi di chi cerca il proprio beneficio in queste situazioni. Per favore, non dimenticateci!».

Negli ultimi anni Haiti è piombata in una delle crisi più gravi e silenziose della sua storia recente. Non si tratta più solo delle cicatrici lasciate dal devastante terremoto del 2010 o delle difficoltà politiche ed economiche. La nuova emergenza che sta straziando il Paese è quella della violenza delle bande criminali, che controllano ormai l’80% della capitale, e quindi del Paese. Questa escalation di violenza ha causato solo nell’ultimo anno più di 700mila sfollati, che fuggono dai loro quartieri a causa della presenza di gruppi armati, e la chiusura di almeno 1.000 scuole. Più della metà di questi sfollati è composta da bambini e adolescenti, maggiormente esposti alla violenza, in particolare alle aggressioni, allo sfruttamento e agli abusi sessuali. Inoltre, i minori sfollati e separati dalle loro famiglie vengono facilmente reclutati dalle bande armate. Le scuole, le strutture sanitarie e i mercati sono diventati obiettivi delle gang, che li utilizzano come mezzi per esercitare il controllo su intere zone.

La violenza ha imposto dei limiti anche nella consegna degli aiuti, ha causato un’impennata dei prezzi, aggravando in modo estremo la crisi alimentare nel Paese. Le persone sono costrette a vivere sotto una continua minaccia, senza la possibilità di accedere a cibo, acqua potabile, assistenza medica o istruzione.La continua violenza dei gruppi armati in questi anni ha paralizzato i progressi, lasciando il futuro dei bambini in bilico. 
«Per molti minori nel Paese – dice Chantal Sylvie Imbeault, direttrice di Save the Children a Haiti – la vita finora è stata una serie di crisi, dagli uragani ai terremoti fino alla violenza dilagante a cui assistiamo oggi. Molte famiglie con cui abbiamo parlato sono state sfollate otto, nove, dieci volte negli ultimi 15 anni. Oggi i gruppi armati hanno trasformato Port-au-Prince – la capitale di Haiti – in una prigione a cielo aperto per i bambini. Nessun luogo della città è sicuro». Secondo l’Unicef il reclutamento di bambini da parte delle bande armate è aumentato del 70%. Vengono utilizzati come informatori, cuochi o schiavi sessuali. La violenza sessuale a scopo intimidatorio è aumentata del 1000%.

Caritas Italiana, presente nel Paese dal 2010, con l’aggravarsi della crisi umanitaria e grazie a un fondo di emergenza stanziato dalla Cei cerca di rispondere ai molteplici bisogni umanitari della popolazione sfollata. L’intervento, coordinato da Caritas e implementato da 5 partner locali, tra cui Caritas Haiti, ha come obiettivo quello di fornire non solo assistenza alimentare ma anche sanitaria, oltre a quello di proteggere l’infanzia e le categorie più vulnerabili. Le attività si svolgeranno nell’area metropolitana della capitale haitiana, Port-au-Prince, dove si trova la maggior parte della popolazione sfollata e quindi più vulnerabile, e in altri 4 dipartimenti del Sud del Paese.

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