Portare le aziende italiane nella West Coast? Il manuale per trasferire l’impresa negli Usa (nonostante Trump)


di
Redazione Economia

Il manuale per le imprese della società di consulenza Bonfiglioli presentato ai consolati italiani di Los Angeles e San Francisco. La spinta all’apertura di sedi e impianti e gli incentivi fiscali per energia e tecnologia. Il caso California

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Chiamiamola «America First», chiamiamola volontà esplicita del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di riportare alcune produzioni negli States. Che ha riscoperto un protezionismo duro, da anni ’30, col rischio che porti con sé una depressione economica e una maxi-inflazione. Chiamiamola anche manifestazione di interesse, neanche velata, per un mercato di 300 milioni di consumatori. Benestanti, con capacità di spesa e modello di consumo che induce ad avere zero risparmi e spesso molti debiti. E allora, niente paura. Se siamo entrati in una nuova era, in cui è la guerra commerciale a farla da padrone, conviene attrezzarsi. Anche immaginando di aprire impianti, sedi di rappresentanza, uffici nella West Coast, l’immaginifica costa del Pacifico, patria del cinema hollywoodiano e dei grandi casinò di Las Vegas, della super-tecnologica Seattle e dell’iconica San Francisco. Gli italiani, si sa, sono creativi e veloci nel cambiamento. 

Il manuale per le aziende

Ecco perché a Los Angeles è stato appena presentato «Guida Paese Smart», un manuale per le aziende italiane che vogliono investire nella regione occidentale degli Stati Uniti
Un’iniziativa nata per volontà dei due Consolati italiani a Los Angeles e San Francisco, in collaborazione con il centro studi di Octagona e con la società di consulenza Bonfiglioli. La guida si concentra su undici Stati – California, Nevada, Arizona, New Mexico, Washington State, Oregon, Utah, Montana, Idaho, Alaska e Hawaii – offrendo approfondimenti strategici e casi di successo di imprese italiane che producono negli Stati Uniti oltre ad una panoramica del sistema bancario, del quadro normativo e fiscale statunitense. 




















































La panoramica sugli Stati e la partecipazione italiana

La California, ad esempio, rappresenta il primo stato per numero di imprese a partecipazione italiana, con 220 società attive sul territorio che generano ricavi complessivi pari a 1,1 miliardi di dollari. Seguono lo stato di Washington, con 31 società partecipate italiane e ricavi che sfiorano gli 80 milioni di dollari, e il Nevada che, con sole 26 aziende italiane attive sul territorio, raggiunge il primato per valore dei ricavi complessivi, pari a 2,2 miliardi di dollari. Dall’energia alle tecnologia diversi sono i settori industriali in cui si può sviluppare una filiera locale integrata. 

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La spinta a petrolio e gas

In Alaska ci sono sei dei 100 più grandi giacimenti petroliferi statunitensi e una delle dieci maggiori riserve di gas. Il settore sostiene 50mila posti di lavoro e contribuisce per 19,4 miliardi di dollari al PIL statale. In Montana il settore della raffinazione petrolifera tocca un valore di 7,7 miliardi di dollari nel 2025. Nel New Mexico si produce il 13% del petrolio statunitense e ospita il 6% delle riserve di gas naturale accertate, confermandosi una risorsa strategica per l’energia nazionale. Nelle isole Hawaii le politiche energetiche mirano a ridurre la dipendenza dal petrolio importato. La produzione di energia alternativa da fonti rinnovabili ha registrato una crescita del 18,9% rispetto alla media nazionale, con investimenti in biomassa, geotermia, idroelettrico e solare.

La filiera hi-tech e quella sanitaria

Ma è senz’altro la tecnologia a svettare con la California leader mondiale per programmi universitari in informatica, generando oltre un quarto della
produttività tecnologica nazionale. In Idaho c’è stato un incremento del 61% delle aziende high-tech negli ultimi dieci anni. In Oregon, il settore tecnologico impiega oltre 102 mila persone con salari complessivi superiori a 13,5 miliardi di dollari. L’Arizona svetta per telecomunicazioni
satellitari, produzione di semiconduttori e componenti elettronici, e produzione di prodotti e parti aerospaziali. Ma anche per la medicina di precisione e le neuroscienze
, incentivando lo sviluppo di farmaci e tecnologie sanitarie innovative.

L’analisi

«A un primo livello, l’azione di Trump sembra danneggiare in modo diretto tutte le imprese italiane, dato l’importante valore del nostro export. Occorre però considerare che, a esclusione del settore alimentare, negli ultimi 30 anni molti settori produttivi degli Stati Uniti hanno perso l’interezza delle proprie filiere, che sono spesso compensate da componenti e tecnologie italiane. Il mercato USA si troverà di fronte a un elevato potenziale inflazionistico che, ci attendiamo, aprirà margini di negoziazione importanti proprio per garantire la continuità delle filiere produttive locali. La creazione di partnership tecnologiche, anche societarie, con organizzazioni statunitensi può costituire una porta di accesso strategica per le imprese italiane agli Stati Uniti», commenta Alessandro Fichera, direttore della Business Unit International di Bonfiglioli Consulting.


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21 aprile 2025

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