Il dramma della malasanità in sala parto: tra falsificazioni, insabbiamenti e la battaglia per la verità dell’avvocato Vincenzo Liguori

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Ogni anno, casi di malasanità lasciano cicatrici profonde nella vita di pazienti e famiglie, spesso aggravate dall’occultamento della verità nei documenti clinici. Tra i protagonisti di una battaglia contro queste ingiustizie c’è l’avvocato Vincenzo Liguori, specialista in risarcimento danni da malasanità, che negli anni ha portato alla luce errori medici e pratiche irregolari in vicende che hanno scosso l’opinione pubblica.

In questo articolo analizziamo tre vicende drammatiche che, grazie all’impegno dello studio legale Liguori, sono arrivate all’attenzione dei tribunali. Attraverso il punto di vista unico di chi ha esaminato ogni dettaglio delle carte processuali e conosciuto da vicino gli sfortunati protagonisti, ripercorriamo due storie che denunciano gli effetti devastanti della malasanità in ambito ginecologico e neonatale.

Il caso Victoria: tracciati falsificati in un ospedale di Firenze

Nel 2016, in un ospedale di Firenze, una donna si è trovata ad affrontare un parto gemellare che si sarebbe trasformato in una tragedia. Dopo un travaglio complicato, è stata eseguita un’operazione di cesareo d’urgenza per salvare i due bambini. Uno dei neonati è sopravvissuto in buone condizioni di salute, ma la piccola Victoria, nata con grave sofferenza per asfissia perinatale, ha subito danni irreparabili.

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Victoria è stata affetta fin dalla nascita da un’encefalopatia ipossica ischemica, che ha portato a una paralisi cerebrale grave e irreversibile. Dopo otto mesi vissuti in stato vegetativo, la neonata è deceduta. «Questa non è stata una tragica fatalità, ma un caso evidente di errori medici», dichiara l’avvocato Vincenzo Liguori, che ha assistito la madre durante l’intero iter giudiziario.

Errori medici e falsificazione dei tracciati

Uno degli elementi più sconcertanti emersi durante il processo riguarda il tracciato cardiaco attribuito a Victoria. «Quel tracciato regolare non poteva essere del feto, era un tracciato materno», spiega Liguori. I medici, nel tentativo di occultare le loro responsabilità, hanno registrato il battito cardiaco della madre come se appartenesse alla neonata. Questa falsificazione ha reso inizialmente impossibile individuare il momento preciso in cui si è verificata la sofferenza fetale, ostacolando l’accertamento delle responsabilità.

«Non solo quel tracciato non era riconducibile al secondo feto, ma era impossibile ritenere che durante i tempi del parto il feto godesse di uno stato di salute», prosegue Liguori. La verità è stata ripristinata grazie a una querela di falso incidentale presentata durante il processo, che ha portato a una consulenza tecnica d’ufficio (c.t.u.) decisiva: il tracciato attribuito a Victoria era in realtà quello della madre.

La sentenza del Tribunale

Il Tribunale di Firenze ha rigettato la difesa dell’ospedale, riconoscendo gravi errori nella gestione del parto e una palese violazione del diritto all’autodeterminazione della madre. «Se fosse stata informata tempestivamente della sofferenza del feto, avrebbe potuto pretendere un cesareo immediato, evitando conseguenze irreversibili», ha spiegato l’avvocato.

La madre è stata risarcita con un importo complessivo di €446.817,55, una cifra ben superiore alle previsioni tabellari, personalizzata per tener conto della gravità del danno subito. «La tardività dell’intervento è stata decisiva, ma ciò che rende questa vicenda ancora più drammatica è l’inganno tentato con la falsificazione dei documenti clinici», sottolinea Liguori.

Il diritto alla verità

Questo caso non è solo un dramma personale, ma un esempio lampante di come la malasanità possa essere aggravata da pratiche scorrette e insabbiamenti. «Nei casi di malasanità, è fondamentale ripristinare la narrazione vera dei fatti, perché solo così è possibile ottenere giustizia per le vittime», conclude l’avvocato, ribadendo l’importanza di una documentazione clinica accurata e dell’azione legale per difendere i diritti dei pazienti.

Campania: il dramma di un parto mal gestito

Tra i casi più significativi seguiti dall’avvocato Vincenzo Liguori, uno avvenuto in Campania mette in evidenza l’importanza della diagnosi tempestiva e dell’accuratezza della documentazione clinica.

Una donna si era ricoverata presso il reparto di Ostetricia e Ginecologia di una struttura sanitaria, dove, lo stesso giorno, aveva dato alla luce un bambino con parto naturale. Tuttavia, solo al momento dell’espulsione del feto, i medici si sono accorti che il neonato aveva un giro di cordone ombelicale intorno al collo, causando una grave asfissia perinatale.

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Le conseguenze dell’asfissia

A causa della prolungata asfissia perinatale e dell’inalazione di meconio, il neonato ha riportato gravissime lesioni cerebrali, tra cui convulsioni, midriasi fissa, assenza di riflessi e respiro autonomo, oltre a ipotonia generalizzata e grave acidosi metabolica. Ricoverato immediatamente presso il reparto di Terapia Intensiva Neonatale, il piccolo è rimasto in condizioni critiche per 13 mesi, fino al suo decesso.

La sentenza di primo grado

In primo grado, il Tribunale ha rigettato la richiesta di risarcimento avanzata dai familiari, stabilendo che non vi fossero prove sufficienti per dimostrare la sofferenza prenatale del feto. «Secondo il Tribunale, l’asfissia era stata ritenuta imprevedibile e inevitabile, avvenuta solo al momento dell’espulsione del feto», spiega Vincenzo Liguori.

La svolta in Appello

In Appello, però, è emersa una nuova valutazione dei fatti: la cartella clinica, in apparenza regolare, si è rivelata lacunosa. I medici avevano interrotto prematuramente i tracciati cardiotocografici (CTG), non permettendo un monitoraggio completo e continuo del feto.

«Durante il processo di Appello, è stato dimostrato che la sofferenza fetale aveva iniziato a manifestarsi già durante il travaglio, e che un intervento tempestivo, come un cesareo, avrebbe potuto evitare il dramma», sottolinea l’avvocato Vincenzo Liguori.

La Corte di Appello ha stabilito che l’inidonea e incompleta compilazione della cartella clinica non può pregiudicare i diritti delle vittime. «La lacunosità della documentazione è imputabile alla condotta degli stessi sanitari, che hanno così ostacolato l’accertamento del nesso causale tra le loro omissioni e le lesioni subite dal nascituro», aggiunge Liguori.

Un risarcimento storico

La Corte ha condannato la struttura sanitaria a risarcire i familiari del neonato con un importo complessivo di €1.413.704,34, includendo il danno da perdita parentale, il danno da sofferenza, il danno terminale subito dal bambino nei suoi 13 mesi di vita.

«Questo caso dimostra quanto siano cruciali l’accuratezza della documentazione clinica e la tempestività degli interventi medici. Gli errori in questi ambiti non sono semplici negligenze, ma violazioni gravi che possono cambiare il destino di intere famiglie», conclude l’avvocato Vincenzo Liguori.

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La battaglia per la verità

Questi casi non sono solo tragedie personali, ma esempi di una battaglia più ampia contro la malasanità e le pratiche che tentano di insabbiare la verità. «Nei casi di malasanità, è fondamentale ripristinare la narrazione vera dei fatti», afferma l’Avvocato Vincenzo Liguori, evidenziando l’importanza di affidarsi a un team di esperti legali e medici per affrontare situazioni così delicate.

Seppure niente potrà mai ripagare il dolore dei cari in storie come queste, grazie a strumenti come la querela di falso e al lavoro meticoloso di professionisti specializzati, è possibile ottenere giustizia per le vittime, smascherando anomalie e responsabilità nascoste.





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