L’aggressività commerciale cinese fa paura. L’Unione europea, negli ultimi due anni, ha frapposto alla cosiddetta “nuova via della Seta” voluta fortemente da Pechino, alcuni ostacoli importanti, e non solo i dazi sull’importazione di auto elettriche. Dazi che sono chiamati “compensativi” perché bilanciano le sovvenzioni con le quali la Cina sostiene la sua produzione industriale. Bruxelles costruisce la sua trincea per fermare l’invasione di vetture cinesi, allo stesso tempo continua i negoziati con Pechino per trovare una “pace commerciale” che possa essere di reciproco vantaggio. Uno degli attriti principali è la produzione dei veicoli elettrici: uno scontro a bassa intensità che influirà sul futuro della mobilità elettrica nel nostro Continente
◆ L’analisi di GIORGIO DE ROSSI
► La “Belt & Road Initiative” (Bri), nota anche con il nome di “Via della Seta ”, è un grande progetto voluto dal Presidente cinese Xi Jinping nel 2013, teso a costruire una rete infrastrutturale di collegamento tra l’Asia, l’Europa e l’Africa lungo le rotte commerciali dell’antica Via della Seta, alla ricerca di strategie comuni di sviluppo in grado di poter offrire reciproci vantaggi. Per dare un’idea del vasto piano globale ben 126 Paesi, inclusi i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, nonché 29 organizzazioni internazionali, hanno firmato documenti di collaborazione con la Cina. Nell’aprile del 2019 si è tenuto a Pechino il secondo Belt & Road Forum alla cui tavola rotonda erano presenti i Capi di Stato e di Governo di circa 40 Paesi, compreso il nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Nel quinquennio 2013/2018, il volume degli scambi commerciali tra la Cina e gli altri Paesi della Bri ha superato i 6 trilioni di dollari, rappresentando il 27,4% degli scambi totali del Sol Levante. Nello stesso periodo gli investimenti diretti da parte della Cina nei confronti dei Paesi della Bri hanno superato i 90 miliardi di dollari, contribuendo a progetti per 400 miliardi di dollari appaltati ad operatori esteri rispetto al Paese ospite.
Perché questo progetto si chiama “Via della Seta”? Il termine si riferisce ad una rete di percorsi utilizzati dai commercianti per più di 1.500 anni: da quando la dinastia Han della Cina (ancora oggi Xi’an è una grande città di oltre 12 milioni di abitanti sede del famoso “esercito di terracotta”) aprì il commercio nel 130 a.C. inviando un delegato per esplorare il mondo ad ovest dei loro sconfinati territori (Asia centrale, Persia e mondo mediterraneo), fino al 1453 d.C., allorché l’Impero Ottomano chiuse gli scambi con l’Occidente. Fu il geografo tedesco Ferdinand von Richthofen che nel 1877, per la prima volta, usò il termine “Via della Seta” per descrivere il percorso di merci tra Europa e Asia orientale.
Tornando ad oggi, i Paesi membri dell’Ue entrati nella Belt & Road Iniziative, firmando un “memorandum d’intesa”, sono 17 ed appartengono tutti all’Europa dell’Est o del Sud, con l’unica eccezione del Lussemburgo. Sono: Bulgaria, Croazia, Cipro, Estonia, Grecia, Ungheria, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Slovenia. Tuttavia, il vento è cambiato atteso che buona parte dei problemi della Bri derivano essenzialmente dal fatto che in Europa le promesse di investimenti e di sviluppo economico fatte dalla Cina si sono materializzate solo in minima parte. In questi anni i Paesi europei aderenti alla piattaforma cinese hanno ottenuto deludenti vantaggi economici e commerciali, comunque minori rispetto agli Stati che ne sono rimasti fuori. Eloquente è la circostanza per la quale i Paesi dell’Europa dell’Est, entrati per primi nella Bri auspicando un forte coinvolgimento infrastrutturale cinese, abbiano progressivamente constatato che gli investimenti asiatici negli ultimi dieci anni si siano sempre mantenuti intorno al 5% del totale: presumibilmente i ritorni economici delle strategie finanziarie delle grandi imprese non hanno ricevuto i risultati sperati.
Al riguardo, è opportuno ricordare come, nel 2022, uno studio del Cambridge Institute for Sustainable Leadership (Cisl) dell’Università di Cambridge abbia evidenziato forti impatti negativi a livello ambientale e sociale nelle comunità urbane interessate dagli interventi infrastrutturali della nuova Via della Seta. Ciò soprattutto per effetto delle importanti semplificazioni ottenute nelle procedure di verifica degli impatti socio-ambientali; procedure, peraltro, che sono state richieste dalle Autorità cinesi come precondizione per sottoscrivere gli accordi. Di converso, è importante sottolineare che nei Balcani occidentali interessati dalla Belt & Road Initiative, la Commissione Europea sta portando avanti un ambizioso progetto di sviluppo infrastrutturale denominato “Western Balkans Investment Framework” (Wbif).
Il Wbif è una piattaforma innovativa costituita con il concorso della Commissione Europea, dei donatori bilaterali e delle Istituzioni Finanziarie Internazionali (Bei, Bers e Banca Mondiale), con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo economico nell’area dei Balcani Occidentali attraverso il finanziamento di programmi di assistenza tecnica. Esso rappresenta il principale veicolo finanziario per l’implementazione del Piano Economico e di Investimenti (Eip) per sei Paesi balcanici, presentato dalla Commissione europea nell’ottobre 2020, volto a sostenere la ripresa socio-economica della Regione dopo la pandemia e favorire una maggiore convergenza con gli Stati membri Ue. Il Piano prevede per il periodo 2021-2027 uno stanziamento economico fino a circa 30 miliardi di euro in prestiti, donazioni e garanzie: 10 miliardi di euro sono stati stanziati dall’UE come “grants” nell’ambito dei Fondi di Preadesione e fino a 20 miliardi di euro saranno generati tramite la Western Balkans Guarantee Facility. I progetti riguardano: i collegamenti infrastrutturali (trasporti ed energia), la transizione ecologica e digitale, l’integrazione economica intra-regionale e con l’Ue, nonché la competitività del settore privato.
Purtroppo il programma europeo Wbif è stato spesso criticato e ritenuto come meno rapido e meno efficiente rispetto agli interventi strutturali previsti nel piano della Nuova Via della Seta; ciò soprattutto per le lungaggini burocratiche ed i ritardi causati dalle procedure di verifica degli impatti sociali ed ambientali in linea con le best practices europee. Sarebbe oltremodo utile effettuare un’analisi comparativa costi/benefici tra questi due diversi approcci progettuali. Un altro motivo di critica riguarda la necessità di migliorare la comunicazione, nonché di rendere più visibili i benefici generati dai progetti comunitari. A questo proposito, un recente sondaggio in Serbia (Demostat, aprile 2024) ha evidenziato come la maggior parte dei cittadini intervistati abbia ritenuto che Cina e Russia siano stati i più grandi donatori per la Serbia, a dispetto del fatto che da anni l’Ue risulti il più grande sovvenzionatore. Dunque, i benefici economici derivanti dai programmi europei sono sottovalutati e mal comunicati.
Ne è un palese esempio il Peljesac Bridge, il ponte lungo 2,4 km che ha collegato la penisola di Sabbioncello nel meridione della Croazia con il resto del Paese, evitando il duplice attraversamento del confine con la Bosnia ed il duplice controllo dei passaporti. L’importante infrastruttura è stata costruita dalla China Bridge and Road Corporation ed è costata 525 milioni di euro, di cui 357 milioni di euro (pari al 68%) erogati attraverso sovvenzioni a fondo perduto dall’Unione europea. Tuttavia, all’evento inaugurale c’erano solo bandiere croate e cinesi le quali hanno del tutto oscurato il ruolo cruciale dell’Ue che ha finanziato l’opera per oltre i due terzi. Piuttosto emblematico è anche il caso dell’Italia relativo alla costruzione della nuova diga foranea di Genova, volta a consentire il nuovo imponente sistema di sbarramento da costruire di fronte al porto. L’opera era citata trai grandi progetti che sarebbero stati realizzati con la Bri, ma quando è uscito il bando pubblico per la sua realizzazione l’azienda di stato cinese, la China Communications Construction Company (Cccc), è arrivata settima nella gara d’appalto e la diga nel 2022, utilizzando i fondi del Pnrr, è stata aggiudicata al Consorzio guidato da WeBuild SpA, al cui interno partecipa anche Fincantieri Infrastructure Opere Marittime.
In aggiunta, sul cammino della Via della Seta, si sono recentemente frapposti grossi ostacoli. Il 12 gennaio 2023 è entrato in vigore il “Foreign Subsidies Regulation”, il Regolamento (Ue) 2022/2560 sulle sovvenzioni concesse da Paesi esteri che distorcono il mercato interno. In particolare, circa la partecipazione ai grandi progetti di appalti pubblici, qualora il valore del contratto superi i 250 milioni di euro, la Commissione può vietarne l’aggiudicazione e può applicare multe e sanzioni periodiche alle aziende che non rispettano le regole. Il 13 settembre 2023, dinanzi al Parlamento europeo a Strasburgo, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato l’apertura di un’inchiesta circostanziata in merito ad un preoccupante e crescente fenomeno nei rapporti commerciali tra l’Ue e la Repubblica Popolare Cinese. Tale decisione si fonda sulle preoccupazioni scaturenti dal rapido aumento delle esportazioni a basso prezzo di veicoli elettrici provenienti dalla Cina verso l’Ue. Il fenomeno, ha sottolineato la Presidente della Commissione, origina dal fatto che la catena del valore dei veicoli elettrici a batteria prodotti in Cina beneficia di sleali sovvenzioni governative, tali da arrecare pesanti conseguenze economiche negative nei confronti dei produttori europei di autovetture elettriche a batteria. La Commissione ha pertanto svolto una rigorosa indagine, in linea con le norme dell’Ue e dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, consentendo a tutte le parti interessate, compreso il governo cinese, le società e gli esportatori, di presentare prove ed osservazioni.
Dopo quasi 10 mesi, il 3 luglio 2024, è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale (Gu) dell’Unione europea il Regolamento di esecuzione (Ue) 2024/1866 della Commissione istitutivo di un “Dazio compensativo provvisorio sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria nuovi per il trasporto di persone, originari della Repubblica popolare cinese”. Il giorno successivo alla pubblicazione sulla Ge dell’Ue il Regolamento è entrato in vigore con il carattere della obbligatorietà e della diretta ed immediata applicazione negli Stati membri. I dazi, però, hanno avuto una durata provvisoria in quanto il Regolamento è stato applicato per un periodo limitato di quattro mesi. Nel periodo di inchiesta della Commissione, dal 13/09/2023 al 3/07/2024, i valori della produzione di veicoli elettrici a batteria in Cina, riportati nel documento regolamentare, sono significativamente aumentati. Infatti, secondo la China Asoociation of Automobile Manifacturers (Caam), nel triennio 2020/2022, sono stati prodotti ben 5.836.000 veicoli elettrici a batteria con un aumento del 489% rispetto al 2020 (anno in cui ne furono prodotti 991.000). Parallelamente, nel predetto triennio, il totale delle autovetture elettriche a batteria esportate dalla Cina nel mondo sono state pari a 1.471.136, passando dai 193.916 veicoli del 2020, ai 499.993 veicoli del 2021 e raggiungendo i 945 337 veicoli nel 2022 (con un aumento del 659% rispetto al 2020). 486.550 di questi veicoli sono stati esportati nell’Unione europea, con un aumento del 1.343% rispetto al 2020. Il mercato dell’Unione rappresenta, con il 33,1%, la principale destinazione di esportazione dei veicoli elettrici a batteria per i produttori/esportatori cinesi.
Da ultimo, il 29 ottobre 2024, la Commissione ha emanato un nuovo Regolamento di esecuzione, entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gu dell’Ue, che istituisce un dazio compensativo definitivo sulle importazioni di veicoli a batteria nuovi provenienti dalla Repubblica popolare cinese. Le misure, definite dalla norma “compensative”, in quanto bilanciano le sovvenzioni di cui godono le aziende automobilistiche cinesi, scadranno alla fine di un periodo di 5 anni. Come evidenziato nel prospetto, il Regolamento stabilisce le aliquote del dazio compensativo definitivo applicabili nei confronti dei seguenti produttori cinesi: ∎ Gruppo BYD: 17,0%; ∎ Gruppo GEELY 18,8%; ∎ Gruppo SAIC: 35,3%; ∎ Altre società collaborative 20,7%; ∎ TESLA 7,8%; ∎ Altre società non collaborative 35,3%.
L’Unione europea ha dunque ritenuto che le auto elettriche cinesi venissero vendute a prezzi artificialmente bassi grazie ai sussidi dello stato asiatico, creando una situazione di concorrenza sleale in favore dei produttori europei. Inoltre, la Commissione ha sostenuto che le misure compensative consentiranno all’industria dell’Ue di realizzare economie di scala in grado di ridurre il costo unitario di produzione e permetteranno, a loro volta, all’industria dell’Unione, di ridurre i prezzi di vendita. Nello stesso tempo, l’Ue e la Cina continuano ad adoperarsi per trovare soluzioni alternative compatibili con l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc) e che siano efficaci nell’affrontare le problematiche individuate dall’inchiesta. Il Commissario per il Commercio, Valdis Dombrovskis, ha affermato di «accogliere con favore la concorrenza, anche nel settore dei veicoli elettrici, che tuttavia deve basarsi sull’equità e sulla parità di condizioni». Le conseguenze di questa norma regolamentare sono comunque ancora incerte, ma è chiaro che il settore si trova di fronte a nuove sfide ed opportunità. Sarà fondamentale monitorare l’evoluzione della situazione per capire come questa dinamica influenzerà il futuro della mobilità elettrica in Europa e, più in generale, il cammino della Nuova Via della Seta. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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