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Il ricorrente, una società sottoposta a sanzioni per dichiarazione infedele, ha invocato l’applicazione del principio del favor rei, chiedendo che fosse riconosciuta la disciplina più favorevole introdotta dal D.Lgs. n. 158/2015, che ha riformato il sistema sanzionatorio tributario, riducendo le sanzioni tributarie conseguenti alla dichiarazione infedele, introducendo criteri di proporzionalità maggiormente rispettosi dei principi di equità e ragionevolezza.
La Corte ha preliminarmente chiarito che il D.Lgs. n. 158/2015, pur non avendo introdotto una riduzione generalizzata delle sanzioni, ha previsto disposizioni più favorevoli che devono trovare applicazione nei giudizi ancora pendenti, conformemente all’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. V, n. 8716/2021).
Tuttavia, nel caso in esame, l’Amministrazione finanziaria, sebbene abbia dichiarato di aver provveduto, d’ufficio, a rideterminare la sanzione applicando il regime più favorevole, non ha fornito prove adeguate circa l’effettività di tale condotta. Non sono state, infatti, specificate né la sanzione originariamente irrogata, né quella successivamente rideterminata, lasciando irrisolto il nodo centrale della controversia.
La Corte ha riconosciuto la rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente in relazione all’art. 5 del D.Lgs. n. 87/2024. Tale articolo prevede che le disposizioni degli artt. 2, 3 e 4 del decreto si applichino solo alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024, escludendo di fatto l’applicazione retroattiva delle norme più favorevoli ai contribuenti.
Questa previsione appare in contrasto con l’art. 3, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997, che codifica il principio del favor rei per le sanzioni amministrative. Tale principio, ispirato alla normativa penalistica, rappresenta un fondamento imprescindibile del diritto sanzionatorio tributario e trova riscontro nei principi di uguaglianza e ragionevolezza sanciti dall’art. 3 Cost.. L’art. 5, introducendo un regime di irretroattività, sembra violare questi principi, creando una disparità di trattamento tra contribuenti in base alla data della violazione, indipendentemente dalla natura e dalla gravità del comportamento sanzionato.
Un ulteriore elemento di complessità riguarda la compatibilità della norma con il diritto eurounitario. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha più volte affermato che le sanzioni amministrative di natura afflittiva devono essere trattate, sotto il profilo delle garanzie, come sanzioni penali. Questo implica che, anche in ambito amministrativo, deve trovare applicazione il principio del favor rei, quale corollario dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il mancato adeguamento della normativa italiana a tali principi potrebbe esporre lo Stato a possibili censure in sede europea, aggravando ulteriormente il quadro di incertezza giuridica che già caratterizza la disciplina delle sanzioni tributarie.
La previsione di irretroattività introdotta dall’art. 5 del D.Lgs. n. 87/2024 solleva anche dubbi sulla conformità del decreto alla legge delega n. 111/2023. Quest’ultima, che ha attribuito al Governo il potere di riformare il sistema tributario, non conteneva alcuna indicazione esplicita sulla possibilità di limitare l’applicazione retroattiva delle disposizioni più favorevoli.
L’assenza di un mandato chiaro in tal senso potrebbe configurare un eccesso di delega, compromettendo la legittimità dell’intero decreto legislativo. Questo profilo, già evidenziato dalla giurisprudenza con precedenti rinvii a nuovo ruolo e inviti a formulare osservazioni (ordinanza Cass. n. 21150/2024), richiede un intervento risolutivo da parte del giudice costituzionale.
Nel disporre il rinvio al giudice d’appello, la Cassazione ha enfatizzato la necessità di accertare l’effettiva applicazione del regime sanzionatorio più favorevole e di affrontare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del D.Lgs. n. 87/2024. Questo approccio riflette la volontà di garantire il rispetto dei principi fondamentali del diritto tributario, anche a costo di una ridefinizione delle norme recentemente introdotte.
La sentenza n. 34909/2024 non si limita a risolvere una specifica controversia, ma pone le basi per una riflessione più ampia sulla coerenza del sistema normativo tributario e sulla necessità di garantire una maggiore tutela ai contribuenti. La mancata applicazione retroattiva delle norme più favorevoli, oltre a violare principi fondamentali del nostro ordinamento, rischia di minare la fiducia dei cittadini nella giustizia tributaria e di creare ulteriori tensioni tra esigenze fiscali e diritti individuali.
In un contesto sempre più influenzato dal diritto eurounitario, è imperativo che il legislatore e gli interpreti del diritto trovino un equilibrio tra le esigenze dello Stato e quelle dei contribuenti, promuovendo un sistema sanzionatorio equo, proporzionato e rispettoso dei principi costituzionali e internazionali.
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