Gli investimenti destinati dal Pnrr ai servizi educativi per la prima infanzia consentiranno di aumentare la copertura a livello nazionale. Rimangono però due criticità: la persistenza di significativi divari territoriali e l’incognita dei costi di gestione.
L’offerta di servizi educativi per la prima infanzia
Sono 1,9 milioni i potenziali fruitori dei servizi educativi per la prima infanzia in Italia, tanti sono infatti i bambini con meno di tre anni (il 2 per cento del totale della popolazione), mentre le famiglie con almeno un figlio in questa fascia d’età rappresentano il 5,7 per cento del totale di quelle con o senza figli, circa 500mila in meno rispetto a un decennio fa.
Nell’anno scolastico 2022-2023, tuttavia, l’offerta pubblica e privata di servizi educativi per la prima infanzia ha messo a disposizione solo 30 posti ogni 100 bambini con meno di tre anni, per un totale di 366mila posti. Certo, si tratta di un balzo in avanti rispetto al passato: l’offerta è cresciuta di circa 8 punti percentuali nell’ultimo decennio, passando dal 22,5 per cento dell’anno scolastico 2012-2013 al 30 per cento attuale. Sul dato, però, ha molto pesato il calo delle nascite, che nello stesso periodo si sono ridotte del 35 per cento. Peraltro, la crescita dei posti nido non è stata uniforme nel paese e l’offerta risulta molto disomogenea, variando dal 13,2 per cento della Campania al 46,5 per cento dell’Umbria.
Il nido ormai non costituisce più solo un servizio di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, ma è un vero e proprio punto di snodo educativo in grado di creare solide fondamenta per l’acquisizione di competenze di base e trasversali e contribuire così non solo al successo dell’apprendimento permanente ma anche, e soprattutto, alla riduzione delle disuguaglianze. Ma l’accesso al servizio dipende da molteplici fattori. Oltre ai criteri di ammissione, che privilegiano i casi in cui entrambi i genitori lavorano a scapito di chi un lavoro non ce l’ha, pesano anche aspetti come il costo della retta o la distanza dal nido: lo confermano le rilevazioni Istat per l’anno 2023 secondo cui, tra le motivazioni principali per cui i bambini non sono iscritti al nido, il 10,4 per cento dei genitori indica il costo, il 4,4 per cento la domanda non accettata e il 4 per cento la distanza del nido.
Gli investimenti del Pnrr
Ai servizi educativi per la prima infanzia e alla riduzione dei divari territoriali, il Piano nazionale di ripresa e resilienza aveva inizialmente destinato 4,6 miliardi di euro, per la creazione di 264.480 nuovi posti tra asili nido e scuola dell’infanzia. L’importo è stato poi ridotto sia perché la Commissione europea non ha considerato ammissibili le spese per la gestione corrente, sia per quelle che sono state definite “circostanze oggettive” che hanno rallentato il processo di realizzazione. Di conseguenza, le risorse ora destinate all’offerta di servizi educativi per la fascia 0-6 anni ammontano a 3,29 miliardi di euro – un importo che comprende anche le risorse stanziate con il decreto n. 79 del 30 aprile 2024 (il cosiddetto “nuovo Piano nidi”): il nuovo obiettivo è creare 150.480 nuovi posti nei servizi educativi per la fascia 0-2 anni entro giugno 2026.
Analizzando i dati contenuti nel dataset “Progetti del Pnrr – Universo Regis” e nelle graduatorie relative al “nuovo Piano nidi”, assieme a quelli Istat relativi all’attuale offerta di servizi per la prima infanzia e alla popolazione nella fascia 0-2 anni, è stato possibile calcolare i finanziamenti ricevuti dai singoli comuni, province e regioni e stimare i posti aggiuntivi che verranno creati, grazie alla indicazione del costo unitario per la creazione di posti nei servizi per la prima infanzia fornita nel decreto n. 79 del 30 aprile 2024.
Secondo le nostre stime, gli investimenti consentiranno di accrescere l’offerta di servizi educativi per la prima infanzia e raggiungere una copertura pari al 41,3 per cento a livello nazionale, non lontano quindi dal target del 45 per cento fissato per il 2030. Le differenze territoriali, però, permangono. A livello provinciale, solo 55 province sulle 107 presenti nel database del Regis supereranno l’obiettivo del 45 per cento, con valori che vanno dal 45,15 per cento della provincia di Novara all’83,44 per cento di Isernia. Nelle Isole e al Sud sono, rispettivamente, tre e tredici le province che oltrepasseranno la soglia del 45 per cento: tre in Sardegna (Sassari, Nuoro e Sud Sardegna), quattro in Abruzzo (Chieti, L’Aquila, Pescara e Teramo), due in Molise (Isernia e Campobasso), Campania (Benevento e Avellino), Puglia (Lecce e Brindisi) e Calabria (Vibo Valentia e Cosenza) e una in Basilicata (Potenza). Al contrario, nonostante gli investimenti, resteranno al di sotto del 30 per cento di copertura otto province, tutte nel Mezzogiorno: Reggio Calabria (29,7 per cento), Barletta-Andria-Trani (27,7 per cento), Napoli (22,3 per cento), Siracusa (28,5 per cento), Palermo (21,1 per cento), Catania (22,7 per cento), Caltanissetta (18,8 per cento) e Ragusa (26,5 per cento).
Anche se i dati mostrano una leggera correlazione positiva tra offerta attuale e variazione nella copertura, l’incremento non sempre è maggiore laddove c’è maggiore carenza di servizi. Ad esempio, ci sono province, come Napoli o Catania, che per una copertura attuale pari al 12,12 e all’11,36 per cento rispettivamente, vedranno una crescita di appena 10 e 11 punti percentuali, una variazione simile a quella di province come Biella (+10 pp) o Pisa (+11 pp) che però partono da valori sensibilmente superiori, rispettivamente del 41 e del 40 Per cento.
I costi di gestione
L’offerta di servizi educativi per la prima infanzia dipende anche dalla disponibilità di risorse di cui gli enti locali dispongono per garantirne la gestione. A tale scopo, il Fondo di solidarietà comunale (Fsc) ha previsto uno stanziamento di risorse via via crescenti, dal 2022 al 2027, per garantire il raggiungimento dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni), stanziamento che a partire dal 2025 sarà inserito in un nuovo Fondo speciale equità livello dei servizi.
Per il 2024 sono stanziati 230 milioni, destinati ai comuni la cui offerta pubblica e privata di servizi educativi per la prima infanzia era inferiore al 28,8 per cento nel 2018. Le risorse per i 5.150 comuni con copertura inferiore alla soglia sono suddivise utilizzando un costo standard per utente, che ammonta a 7.670 euro annui. Dei 5.150 comuni, solo il 31 per cento circa (1.585) creerà nuovi posti tramite gli investimenti del Pnrr o quelli del nuovo Piano nidi. Degli altri 3.565, 1.615 sono comuni a rischio sovradimensionamento e 1.945 quelli che, pur ricevendo il Fsc non creeranno nuovi posti con le risorse stanziate. Questi comuni sono localizzati prevalentemente nel Nord Ovest (41 per cento), mentre il 22 per cento sono al Sud, il 14 per cento nel Nord Est, il 12 per cento nelle Isole e l’11 per cento al Centro.
L’analisi dei dati consente di verificare se, e in che misura, il servizio offerto con i nuovi posti aggiuntivi sarà assicurato dalle risorse correnti destinate ai comuni tramite il Fsc. Il risultato è molto variegato. In 319 comuni le risorse assegnate tramite il Fsc riusciranno a coprire i costi per utente per una percentuale inferiore al 5 per cento dei nuovi posti creati; mentre in 34 comuni la quota risulta uguale o superiore al 70 per cento. Infine, 17 comuni riceveranno risorse in grado di finanziare il servizio per un numero di utenti maggiore rispetto al numero di posti che verrà effettivamente creato. È il caso, ad esempio, del comune di Palermo che, con un finanziamento per sostenere le spese correnti per 855 utenti in più, creerà solamente 671 posti.
Le criticità che restano
Nonostante il balzo in avanti che verrà compiuto nell’offerta di servizi educativi per la prima infanzia grazie ai recenti investimenti, permangono due criticità principali. La prima riguarda la persistenza di divari territoriali nell’offerta dei servizi: in Sicilia e Campania, ad esempio, nonostante la creazione di nuovi posti, non verrà raggiunto neanche il 33 per cento di copertura a livello regionale.
La seconda riguarda il finanziamento della gestione dei nuovi posti creati, aspetto fondamentale tanto per gli enti locali che per le famiglie che vogliono usufruire del servizio. Infatti, non sempre le risorse ricevute tramite il Fsc consentiranno di assicurare la gestione dei nuovi posti. Questo, oltre a creare incertezza sull’effettiva possibilità che i nuovi investimenti generino posti realmente operativi, potrebbe anche scoraggiare la decisione di intraprendere nuovi investimenti, nonché spingere molti comuni ad affidare i servizi a enti privati – che rappresentano già la metà dell’offerta a livello nazionale e in molte regioni sono predominanti -, con il rischio di ridurre le opportunità di accesso da parte dei bambini in condizioni di svantaggio economico.
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