La Corte di appello di Salerno ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda degli eredi della vittima, volta ad ottenere i benefici di cui alla legge 210 del 1992, per intervenuta decadenza triennale, ai sensi dell’art. 3 della legge medesima.
La Corte territoriale, individuata quale giudice di rinvio da Cass. 8958 del 2018, ha riesaminato la fattispecie concreta, per verificare, ai fini della decorrenza del termine triennale di decadenza, “la conoscenza o conoscibilità dei presupposti per l’indennizzo”.
La conoscenza o conoscibilità dei presupposti per l’indennizzo
In applicazione delle disposizioni di rinvio, i Giudici di appello hanno ritenuto che, alla data del ricovero del 2 aprile 1995, la dante causa fosse a conoscenza non solo della malattia ma altresì del nesso causale con la trasfusione. Pertanto, con altra motivazione, ha confermato la pronuncia in precedenza cassata che già aveva dichiarato la decadenza dall’esercizio del diritto, per essere, al momento della domanda giudiziale, decorso il triennio.
Il dies a quo andava, infatti, fissato al momento della entrata in vigore della legge nr. 238 del 1997 (che aveva esteso la decadenza triennale anche alle epatiti post-trasfusionali) e i tre anni erano trascorsi al momento della instaurazione della lite.
La Cassazione, sollecitata nuovamente sulla vicenda, accoglie le censure (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, ordinanza 26 dicembre 2024, n. 34465).
In sede di cassazione con rinvia aveva stabilito di procedere ad un nuovo accertamento della “conoscenza o conoscibilità dei presupposti per l’indennizzo” che, nella originaria pronuncia di appello, non era reso in conformità dei principi di diritti elaborati dalla giurisprudenza.
Il “comando” di rinvio imponeva di verificare non solo il momento in cui la vittima avesse avuto o potesse avere avuto contezza del nesso causale tra la trasfusione e la patologia epatica, ma anche quello in cui detta contezza o possibilità di contezza si fosse esteso alla riconduzione della propria patologia nell’ambito delle situazioni considerate dalle tabelle legali, quali requisiti entrambi necessari al sorgere del diritto e quindi alla decorrenza del termine decadenziale, in “un’esegesi della norma evidentemente finalizzata a coniugare la fattispecie estintiva con il rilievo dei beni protetti” .
La soglia minima di indennizzabilità
Il diritto non sorge se non vi è superamento della soglia e quindi neppure può parlarsi di termini di decadenza, se non dal momento in cui quel superamento si verifichi ed esso sia percepibile e conoscibile dall’interessato, come spiega la giurisprudenza, secondo la quale “l’affermazione di una soglia minima di indennizzabilità comporta anche […] che il termine di decadenza di tre (e dieci) anni, di cui all’art. 3, comma 1, si sposta in avanti nel senso che comincia da decorrere dal momento della consapevolezza, da parte di chi chiede l’indennizzo, del superamento della soglia” (Cass., Sez. Un. nr. 8064 del 2010).
È da ritenersi dunque consolidato il principio per cui “in tema indennizzo del danno da emotrasfusioni, l’esistenza di una soglia minima di indennizzabilità, costituita dalla presenza di una patologia causalmente ascrivibile ad una emotrasfusione, dalla quale sia derivato un danno irreversibile inquadrabile, per equivalente e non in via strettamente tabellare, in una delle infermità classificate nelle categorie previste dalla tabella B, annessa al T.U. approvato con D.P.R. n. 915 del 1978, come sostituita dalla tabella A allegata al D.P.R. n. 834 del 1981, comporta che, ai fini della decorrenza del termine decadenziale di cui all’art. 3, comma 1, della L. n. 210 del 1992, è decisiva la consapevolezza, da parte di chi richiede l’indennizzo, del superamento di tale soglia”.
L’accertamento di quando il fatto dannoso fosse divenuto percepibile come fonte del diritto
La Corte d’Appello di Salerno, nella pronuncia rescissoria, non si è attenuta alla regola di diritto indicata, replicando in sostanza il riconoscimento di cui alla pronuncia di appello poi cassata.
I Giudici territoriali avrebbero dovuto, invece, svolgere l’accertamento insito nella struttura del diritto azionato. Nel procedere all’accertamento demandato, avrebbero dovuto accertare non solo la consapevolezza del nesso causale tra l’emotrasfusione e la patologia contratta, ma anche quando il fatto dannoso fosse divenuto percepibile come fonte del diritto (per aver raggiunto la soglia minima di indennizzabilità) e consentisse quindi l’inizio del decorso del termine decadenziale.
Avv. Emanuela Foligno
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