Effetto Trump sulla finanza, le banche fuggono dall’agenda green

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Il terremoto causato dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali Usa non ha solo coinvolto la politica internazionale, aprendo profonde discussioni sul futuro della guerra in Ucraina e accelerando la fine della logora esperienza di governo in Canada di Justin Trudeau, ma anche sull’economia e la finanza. Mentre borse e mercati già sovraccaricati nel 2024 dal rally dell’intelligenza artificiale e dalla fame di rendimenti aspettano le politiche di deregolamentazione promesse da The Donald, l’imminente insediamento del presidente eletto ha già prodotto una diretta conseguenza sulle decisioni strategiche di molte banche Usa, che hanno optato per ritirarsi dalla Net Zero Banking Alliance.

Le banche Usa di punta che lasciano l’alleanza green

Tra queste si segnalano Wells Fargo, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Citi e Bank of America, i giganti delle banche d’affari a stelle e strisce. Da tempo queste istituzioni subivano pressioni in molti Stati Usa, a controllo repubblicano, che definivano anticoncorrenziali le scelte a monte sulla finanza Esg e le politiche di deliberata preferenza ambientalista. Nel Partito Repubblicano prende piede da tempo una corrente che vede come woke e anti-concorrenziale ogni scelta dichiaratamente ambientalista della finanza.

Come ricorda il Financial Times, con l’approssimarsi del ritorno di Trump alla Casa Bianca, che sarà ufficiale il 20 gennaio, “sono aumentate le minacce antitrust contro le istituzioni che hanno promosso investimenti in base a questioni ambientali, sociali e di governance, a seguito di azioni legali intentate da politici degli Stati repubblicani”. Queste cause legali “sostengono che boicottando le società energetiche basate sui combustibili fossili, le istituzioni finanziarie stanno lavorando in collusione per privare il settore di capitale”.

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L’età delle risorse fossili non è finita e le banche lo sanno  

La conseguenza è stata la scelta di molte banche di abbandonare l’alleanza globale per la finanza green. La Nzba è nata nel 2021 in seno alle Nazioni Unite come partenariato di 43 banche, tra le maggiori a livello mondiale, che hanno preso impegni per accelerare i finanziamenti in energia rinnovabile, aprire la strada alla decarbonizzazione e fissare gli impegni per tagliare gli investimenti nei settori a più alta intensità di emissioni di gas serra.

Ai tempi vigeva apertamente il motto di Larry Fink, Ceo di BlackRock, “siamo sostenibili perché siamo capitalisti”, e l’idea che il green avrebbe prodotto ritorni importanti sui capitali investiti. Ora, invece, il clima è diverso: tra competizioni geopolitiche sui settori di punta della transizione (ad esempio l’auto elettrica), un clima di riflusso politico dall’ambientalismo imperante sulla fine dello scorso decennio e una ripresa di settori come l’oil&gas tradizionale, i finanziamenti di banche e investitori non si sono affatto diradati nei settori ad alta impronta carbonica.

Del resto, non si può pensare al ritiro delle banche Usa dalla Nzba come esclusivamente frutto di pressioni politiche. Anche precise ragioni di business hanno il loro ruolo. Due dati su tutti: da un lato, la spinta al consolidamento del settore energetico, che genera attrattività per i capitali, dimostrato da manovre come l’acquisizione di Pioneer, azienda leader nei servizi oil&gas, da parte di ExxonMobil nel 2024 e la scalata di Berkshire Hathaway, la società di Warren Buffett, su Occidental Petroleum, colosso dell’estrazione del greggio in Texas e nella California roccaforte green, su cui il Mago di Omaha ha puntato con forza nell’ultimo anno sfiorando il 30% del controllo totale.

“Trump is good for business”

Dall’altro, la spinta delle politiche economiche di Trump, apertamente orientate al taglio fiscale e a un’agenda pro impresa incarnata dal prossimo guardiano dei conti Usa, Scott Bessent, che come ricorda il New York Times ha lanciato per il Tesoro “un piano “3-3-3″ che punterebbe a una crescita economica del 3 percento, ridurrebbe il deficit di bilancio al 3 percento del Prodotto interno lordo e aumenterebbe la produzione nazionale di petrolio di 3 milioni di barili al giorno”.

Le banche Usa si muovono, dunque, per intercettare i cambiamenti e, visto che Trump is good for business, anche se spesso non si può dire ad alta voce, questo per molti è valsa bene la scelta di un dietrofront da decisioni di riconversione promosse senza ben guardare al conto economico ma principalmente alla politica e all’opinione pubblica. Che diventano secondarie quando in gioco ci sono i dividendi a cui la finanza, strutturalmente, punta.

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