Morte e insabbiamenti, i dubbi della procura sulla morte di Ramy

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Uno dei militari alla guida rischia l’accusa di omicidio volontario per la morte del ragazzo dopo l’inseguimento. Ipotesi di falso e depistaggio

I carabinieri volevano far cadere la moto su cui scappavano Ramy e Fares? E perché far cancellare le immagini dell’unico testimone  presente sul luogo dell’incidente? Un nuovo video inedito riscrive gli ultimi istanti di vita del 19enne di origine egiziana morto a fine novembre dopo otto chilometri di fuga per le strade di Milano in sella a uno scooter TMax guidato dall’amico di 22 anni.

La posizione del vicebrigadiere alla guida della voltante, indagato per «omicidio stradale» come Fares, ora potrebbe aggravarsi, con la procura che sta pensando di contestare l’«omicidio volontario con dolo eventuale». Altri due agenti sono invece accusati di «favoreggiamento» e «depistaggio». I militari dell’Arma avevano da subito negato qualsiasi scontro con lo scooter, anche se una prima perizia della polizia locale parlava di un «contatto laterale» tra la volante e la moto.

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Nei loro verbali assicuravano di aver adottato «tutte le misure di precauzione nel tentativo di non occorrere in collisione con lo stesso». E avevano escluso perentoriamente di aver fatto pressioni sul testimone. Il video pubblicato da Tg3 e da La7, già agli atti delle indagini, costringe però a rivedere la dinamica dell’incidente mortale e la sua catena di responsabilità, al centro delle cronache nazionali e delle polemiche scoppiate dopo le violenze dei «maranza» a Corvetto.

«Sono caduti. Bene»

«Via Quaranta/Ortoles. Sono caduti», riferisce via radio un carabiniere alle 04:03 del 25 novembre. «Bene», risponde un militare da un’altra volante. In quei momenti Ramy era per terra, sarebbe morto dopo poco. Le immagini sono quelle delle telecamere stradali: si vede lo scooter impattare contro un palo dopo aver avuto, come sembrerebbe emergere dalle immagini, un contatto con la gazzella dei carabinieri.

I peli del giaccone di Ramy incastrati nella targa della volante sembrerebbero confermare questa versione. Sarà la perizia affidata dalla procura all’ingegnere Domenico Romaniello, che verrà consegnata entro fine gennaio, a stabilire una volta per tutte se ci sia stato o meno uno speronamento. Nel suo interrogatorio davanti al gip dopo essere uscito dal coma, Fares Bouzidi, l’amico di Ramy alla guida del TMax, aveva raccontato di aver sentito «una spinta da dietro». Per i carabinieri i due sono caduti da soli, «a causa del sovrasterzo» dopo un’«improvvisa manovra di svolta a sinistra», come si legge nel verbale redatto quella notte.

Ma il vero salto di qualità è quel che si vede – e si sente – prima e dopo la caduta. Questi video sono stati girati dalla dashcam di una delle volanti: non sono telecamere obbligatorie, ma sono installate volontariamente per tutelarsi durante il servizio. Paradossalmente, sono proprio queste immagini e i suoi audio ad aggravare la posizione dei carabinieri. C’è un primo contatto tra la gazzella e la moto, ma Ramy e Fares riescono a rimanere in sella. «Vaffanculo! Non è caduto», dicono i militari nella volante.

C’è una seconda frase pronunciata dagli agenti e che è vaglio degli inquirenti: «Chiudilo. Chiudilo. No merda, non è caduto». Sono frasi che i carabinieri dicono quando lo scooter sorpassa a destra una macchina, evitandola di pochi centimetri, come se il loro obiettivo fosse far finire sull’asfalto i due. E poi la terza fase. Quel «bene» detto quando un’altra pattuglia informa che lo scooter «è caduto». Per gli amici e i legali di Fares sarebbe la prova della volontà dei militari di speronare i giovani, tanto che ora chiedono di indagare per «omicidio volontario».

L’accusa di depistaggio

Ma ci sono altri aspetti. Due militari dell’Arma sono indagati per «falso» perché – questa l’ipotesi di chi indaga – i verbali sarebbero stati volontariamente «addolciti» rispetto alla reale dinamica dei fatti. Quelle «misure di precauzione» di cui parlano i carabinieri nei loro resoconti stridono con le immagini mandate in onda dal Tg3 e da La7, anche perché dagli audio emerge che erano consapevoli che Ramy avesse perso il casco durante la fuga: un aspetto che, spiega a Domani un agente di polizia che lavora a Milano, imporrebbe comportamenti ancora più prudenti.

E poi c’è l’accusa di «depistaggio». Alla fine del video registrato dall’ultima volante che arriva sul luogo dello schianto si vedono due militari avvicinarsi a un ragazzo presente sul posto. Alza subito le mani. È Omar, il testimone che aveva denunciato di essere stato minacciato da due carabinieri affinché cancellasse le immagini girate con il suo smartphone. Nel video in suo possesso sosteneva di aver ripreso limpidamente il contatto volontario della gazzella con il TMax. Gli inquirenti sono al lavoro per ricostruire la catena gerarchica che ha dato il via a quel che sembra essere un vero e proprio insabbiamento delle prove.

Nel frattempo Ilaria Cucchi ha scritto al comandante generale dei carabinieri, Salvatore Luongo, per chiedere che i militari vengano sospesi e destituiti: «Lei sa perfettamente di cosa sto parlando perché si è occupato delle indagini sui depistaggi (sulla morte di Stefano Cucchi, ndr) che fin da subito vennero architettati e attuati dalla ormai tristemente nota “scala gerarchica”». 

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