È morto Jean-Marie Le Pen, storico leader dell’estrema destra francese. Aveva 96 anni, da 10 aveva rotto con la figlia Marine

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Stefano Montefiori

Jean-Marie Le Pen ha co-fondato e guidato per anni il Front National; era il padre dell’attuale leader del Rassemblement National Marine Le Pen, con cui ruppe nel 2015 dopo aver ribadito che per lui«le camere a gas» erano «un dettaglio nella storia della Seconda guerra mondiale»

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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI – Jean-Marie Le Pen, per decenni leader dell’estrema destra francese e secondo classificato alle elezioni presidenziali del 2002, è morto all’età di 96 anni a Garches (Hauts-de-Seine), poco lontano da Parigi, in un ospedale dove era ricoverato da diverse settimane. 

I famigliari lo hanno annunciato con un comunicato all’agenzia Afp: «Jean-Marie Le Pen, circondato dalla sua famiglia, è stato richiamato a Dio a mezzogiorno di martedì». Secondo l’Eliseo, «ha svolto un ruolo nella vita pubblica che spetterà ormai alla Storia giudicare».




















































Nel 1972 Jean-Marie Le Pen fondò il Front National assieme a Pierre Bousquet, ex Waffen-SS e primo tesoriere, Léon Gaultier, anch’egli ex Waffen-SS, e Roger Holeindre, membro dell’Oas, l’organizzazione militare segreta che si opponeva all’indipendenza dell’Algeria. Il Rassemblement national, il partito erede, che ha cambiato nome per volere della figlia Marine nel 2018, ricorda «uno degli ultimi deputati della Quarta Repubblica, un combattente in Indocina e in Algeria che ha difeso, con tutta l’anima e a rischio della vita, l’idea della grandeur francese. Un parlamentare certamente indocile e talvolta turbolento, ma sempre rispettoso delle istituzioni repubblicane».

Nato il 20 giugno 1928 a La Trinité-sur-Mer, in Bretagna, 14 anni dopo rimane orfano di padre, morto nel 1942, ucciso da una mina raccolta assieme al pesce dalla rete del peschereccio. Due anni dopo il sedicenne Le Pen si rivolge al colonnello Henri de La Vaissière per arruolarsi nelle Forces françaises de l’intérieur , ovvero la Resistenza unita sotto il comando del generale de Gaulle. «Non possiamo più accettare soldati sotto i 18 anni — gli risponde il colonnello —. Sei orfano, un “Pupillo della Nazione”: occupati di tua madre».

Questo è stato l’unico contatto di Jean-Marie Le Pen con la parte giusta della Storia. Un incontro breve e forse, purtroppo, decisivo. 

Dopo quel rifiuto il figlio del pescatore e della sarta del villaggio bretone ha militato per tutta la vita con il campo meno nobile della Francia che tanto ha amato: Pétain e i suoi seguaci alleati dei nazisti, e poi nostalgici dell’impero coloniale, torturatori in Algeria, razzisti, antisemiti. Con coerenza e ottusità, a costo di litigare con la figlia, a 86 anni, e di farsi buttare fuori dal partito che aveva fondato.

Finita la Seconda guerra mondiale, dopo gli studi in legge e scienze politiche, Le Pen parte volontario per l’Indocina, dove la Francia sta sperimentando l’inizio di un doloroso e inarrestabile processo di decolonizzazione, che lui non accetterà mai.

Arruolato nel primo battaglione paracadutisti, dimostra subito di amare l’azione ma anche la provocazione e qualche volta l’insulto: su Caravelle, il giornale del corpo di spedizione francese, scrive che «la Francia è governata da pederasti come Sartre, Camus, Mauriac».

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Tornato in Francia, Jean-Marie Le Pen si dà alla politica grazie a Pierre Poujade, antesignano dei moderni populismi, ed entra con il suo movimento all’Assemblea nazionale: a 27 anni, Le Pen è il più giovane deputato dell’aula. Un anno dopo abbandona il partito di Poujade e fonda il Front national des combattants, embrione del Fn. Nel corso di una rissa a un comizio viene ferito a un occhio che finirà con il perdere: ecco la benda nera, che gli darà per molti anni un’immagine poco rassicurante, ma perfetta per il ruolo.

In parlamento Le Pen si distingue subito per l’arte oratoria, ma l’azione torna a chiamarlo: parte volontario per la guerra d’Algeria, dove tortura alcuni prigionieri «perché era necessario farlo», spiega senza tanti patemi il 9 novembre 1962 alla rivista Combat. 

La questione delle torture in Algeria continuerà a riaffacciarsi nel corso della sua carriera. Come sempre in queste occasioni, Jean-Marie Le Pen dà l’impressione di cavalcare la polemica: quel che fa inorridire molti francesi rafforza al tempo stesso l’aura di eroe anti-sistema presso i suoi sostenitori. Nel 1971, un altro caso: perso il seggio all’Assemblea nazionale, Le Pen fonda una casa discografica e pubblica quattro album dal titolo «III Reich. Voci e canti dell’Esercito tedesco» (con svastiche in copertina), che gli valgono due mesi di carcere con la condizionale per «apologia di crimini di guerra».

Un anno dopo, l’atto decisivo: Jean-Marie Le Pen fonda il Front National unendo i militanti di «Ordre Nouveau» e di altri movimenti di estrema destra che lottano per la patria, la famiglia e i valori tradizionali a loro dire devastati dal ‘68. Come simbolo, la fiamma tricolore (con il blu al posto del verde, ovviamente) copiata dal Msi di Giorgio Almirante.

Jean-Marie Le Pen in quegli anni è il punto di riferimento per la Francia che sogna un ritorno all’epoca pre-rivoluzionaria, dove Dio è garante dell’ordine, ognuno sta al suo posto, gli immigrati non esistono e gli omosessuali si nascondono. È così che il ricchissimo industriale del cemento Hubert Lambert nel 1976 gli lascia in eredità il suo impero e la dimora di Montretout: «Voglio che tu abbia i mezzi finanziari per non dipendere mai da nessuno. So che userai questa libertà per difendere le idee nazionali», gli dice prima di morire. Jean-Marie Le Pen non lo ha mai tradito. A costo di diventare un imbarazzo persino per la figlia e i compagni di partito, che gli devono molto.

Lo strappo definitivo con la figlia Marine dieci anni fa, nel 2015, quando alla radio Jean-Marie Le Pen ha confermato che per lui «le camere a gas sono un dettaglio nella storia della Seconda guerra mondiale» (dichiarazione rilasciata per la prima volta il 13 settembre 1987, e ribadita serenamente per quasi trent’anni). 

All’epoca, secondo il Canard enchaîné, la figlia Marine ha reagito dietro le quinte con poco aplomb: «Quell’uomo ha deciso di farmi dannare fino all’ultimo giorno» e «mio padre è tagliato per avere responsabilità politiche come io per essere ballerina al Crazy Horse».

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Ma il peggio è arrivato con l’intervista successiva rilasciata da Le Pen al settimanale Rivarol. Già la scelta della testata è eloquente, perché più volte condannata per negazionismo, fondata nel 1951 da ex collaborazionisti fedeli a Pétain e alla tradizione antisemita dell’estrema destra francese. A Rivarol nel 2005 Le Pen disse che «l’occupazione tedesca non è stata particolarmente inumana», dimenticando forse i treni per Auschwitz partiti da Drancy e altre atrocità.

Comunque, anche nel 2015 Jean-Marie Le Pen appare in forma. Ecco un florilegio dall’intervista a Rivarol: «Non ho mai considerato il maresciallo Pétain come un traditore»; «Cominciano a stufarmi con questa storia della République! Io capisco che si possa mettere in discussione la democrazia, che la si combatta»; «Siamo governati a tutti i livelli dagli immigrati e dai figli di immigrati; qual è l’attaccamento reale di Valls alla Francia? (il premier è nato a Barcellona, ndr); poi, sugli omosessuali all’interno del Front National, «hanno la tendenza a raggrupparsi anche se si detestano, formano una comunità»; infine, una difesa dell’«Europa boreale e del mondo bianco».

Una specie di sabotaggio scientifico dell’opera intrapresa dalla figlia Marine a partire dal 2011, ovvero sdoganare il Front National e renderlo una forza politica credibile e presentabile, tagliando i ponti con il passato antisemita e razzista.

La reazione fu molto dura: «Jean-Marie Le Pen sembra essere entrato in una vera spirale tra strategia della terra bruciata e suicidio politico — dichiarò la figlia e ormai presidente del Fn —. L’ho informato che mi opporrò, in occasione della riunione del prossimo 17 aprile, alla sua candidatura alla guida della regione Provence-Alpes-Côte d’Azur nelle elezioni di dicembre». 

Pochi mesi dopo, l’espulsione definitiva dal partito, che servì a Marine Le Pen e al suo allora icompagno Louis Aliot per sbarazzarsi una volta per tutte di un uomo anacronistico e incontrollabile, dal quale aspettarsi in ogni momento una battuta magari su un «naso da ebreo» (capitò al congresso di Tours, contro un giornalista).

Dopo l’espulsione dal partito, Jean-Marie Le Pen ha perso ogni potere reale, rimanendo un punto di riferimento politico e affettivo più per la nipote Marion Maréchal che per la figlia Marine. 

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Il Corriere lo intervistò nell’aprile del 2016, incontrandolo nel suo maniero di Montretout, una imponente casa in mattoni rossi, in stile un po’ retro un po’ «Psycho», circondata da un parco immenso. 

Un tempo Montretout era il cuore del clan Le Pen: ci abitavano padre e figlie, e qualche metro più in basso nel «Paquebot» c’era la sede del partito. Poi il Front National si trasferì a Nanterre. Il patriarca ha continuato a usarlo come ufficio e poi come abitazione dopo la lite con la figlia Marine e l’espulsione dal FN. Arredi stile Impero, velluti affaticati, muri scrostati. Al piano terra, un grande ritratto di Le Pen in divisa da ufficiale. Poi busti e statuette di Giovanna d’Arco ovunque, e modellini di velieri, omaggio alle origini bretoni e marinare. I quei giorni Jean-Marie Le Pen era stato di nuovo condannato per le frasi sulle camere a gas «dettaglio della Storia», e per il sospetto che avesse portato soldi nei paradisi fiscali.

Lei ha ripetuto la frase sulle camere a gas, per questo sua figlia Marine Le Pen l’ha estromessa dal partito da lei fondato, e poco fa per quella frase è stato di nuovo condannato. Non è pentito?, gli fu chiesto «Io sono un uomo libero. Vogliono che abbassi lo sguardo? Non io, non alla mia età», rispose. E ancora: ce l’hanno con lei, o è lei che se le va a cercare? «È un mondo in decomposizione, che se la fa addosso mentre i barbari non sono alle porte, sono già entrati. E se questo mondo ha solo me come nemico sono lusingato, meglio della Legion d’onore che ormai danno a tutti. Io sono fiero della mia croce al valore militare, non chiedo altro. Del resto è così che gli americani si sono sbarazzati di Al Capone, non sono riusciti a incastrarlo per i crimini commessi, allora lo hanno condannato per evasione fiscale». 

Non si starà mica paragonando ad Al Capone? «Io come Alfonso? No no, per carità. Assomiglia molto di più ai miei avversari».

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7 gennaio 2025 ( modifica il 7 gennaio 2025 | 14:46)

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