Il trattamento retributivo durante le ferie

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Per evitare che il prestatore di lavoro sia dissuaso dall’esercizio del diritto alle ferie, è necessario che nel relativo trattamento economico siano incluse tutte le voci e le indennità che compongono la retribuzione ordinaria che siano correlate all’esecuzione delle mansioni e allo status professionale e personale del dipendente.

 

La vicenda processuale

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In adesione all’interpretazione offerta dalla giurisprudenza comunitaria, anche in sede di legittimità, dopo 2 gradi conformi di merito, si è ritenuto che la retribuzione dovuta nel periodo di fruizione delle ferie annuali debba comprendere qualsiasi importo pecuniario che si colleghi con l’esecuzione delle mansioni e con lo status del lavoratore, in modo da evitare che questi sia indotto a rinunciare al riposo annuale per non subire decurtazioni del proprio trattamento economico.

Sia la Corte d’Appello di Napoli, sia, in precedenza, il Tribunale di Benevento[1], in accoglimento della domanda proposta dal dipendente, avevano censurato la condotta della datrice di lavoro che non aveva erogato, in relazione ai periodi di ferie, una retribuzione equiparabile a quella corrisposta nei periodi di servizio, avendo omesso di considerare l’indennità perequativa/compensativa e il ticket mensa, condannando, dunque, l’azienda al pagamento delle relative differenze retributive. Con ordinanza n. 25840/2024, la Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento in parola, approfondendo la nozione di retribuzione feriale.

In applicazione della nozione c.d. “europea” di retribuzione, con l’espressione “ferie annuali retribuite”, di cui all’articolo 7, Direttiva 2003/88/CE, si intende che, per la durata delle ferie annuali, dev’essere mantenuta la retribuzione ordinaria, in misura tale da garantire al lavoratore condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l’attività lavorativa.

 

Il diritto alle ferie retribuite: la normativa in sintesi

Il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite è sancito dalla Costituzione (articolo 36, comma 3) e regolamentato dal codice civile (articolo 2109), nonché dal D.Lgs. 66/2003 (novellato dal D.Lgs. 213/2004), che ha dato attuazione alle Direttive 94/104/CE e 2000/34/CE.

In particolare, ai sensi dell’articolo 2109, cod. civ., il prestatore di lavoro ha diritto, oltre che a un giorno di riposo ogni settimana, a un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo.

Detto periodo è stabilito dall’imprenditore, dandone preventiva informazione al dipendente, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro, e la sua durata è indicata dalla legge, dagli usi o secondo equità. Ai sensi del D.Lgs. 66/2003, non può essere inferiore a 4 settimane annue, che devono essere fruite a periodi di 2 settimane, se possibile consecutive, entro l’anno di maturazione, e altre 2 settimane entro i 18 mesi dalla fine dell’anno di maturazione. Alla contrattazione collettiva è concessa la facoltà di derogare, aumentando i giorni di ferie annuali. Salvo diverse disposizioni dei Ccnl, le ferie maturano anche durante i periodi di assenza (per esempio per maternità, congedo matrimoniale, malattia).

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L’articolo 36, Costituzione, stabilisce espressamente che le ferie “devono essere retribuite”, ma non prevede alcuna indicazione in ordine al sistema di computo della retribuzione feriale, che resta affidato alla contrattazione collettiva e all’interpretazione giurisprudenziale.

I contratti collettivi disciplinano le modalità di retribuzione delle ferie in relazione alla base di calcolo per determinare il trattamento economico giornaliero, individuando le voci che lo compongono, costituite normalmente dai c.d. elementi fissi (ad esempio, paga base, minimo tabellare e indennità di contingenza, superminimi individuali e collettivi, scatti di anzianità), avendo a riferimento il mese di fruizione delle ferie, non quello di maturazione.

Il pagamento delle ferie riguarda le ferie fruite, mentre non è consentito sostituire le ferie non fruite con il pagamento di un’indennità, alla luce del principio costituzionale della loro irrinunciabilità, essendo destinate al recupero psico-fisico del lavoratore[2]. Di conseguenza, l’indennità sostitutiva delle ferie non godute è concessa normalmente solo alla conclusione del rapporto di lavoro[3].

La retribuzione percepita durante le ferie è imponibile ai fini previdenziali e per il calcolo del Tfr.

 

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La retribuzione feriale

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Nel silenzio della legge, che impone laconicamente soltanto che il periodo annuale di ferie sia retribuito, e nella variabilità della disciplina collettiva, foriera di reiterati dubbi esegetici e applicativi, la nozione di retribuzione da erogare durante le ferie è stata progressivamente elaborata e chiarita dalla giurisprudenza, sulla scorta della fondamentale influenza dell’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia UE.

Acclarato che nel periodo feriale il lavoratore ha diritto a una retribuzione uguale a quella che avrebbe percepito se avesse lavorato, è stato giudicato nullo, per violazione dell’articolo 36, Costituzione, ogni patto individuale o collettivo che preveda un trattamento deteriore[4].

Costituisce, dunque, orientamento consolidato che la locuzione “ferie annuali retribuite” inerisca a una nozione di trattamento economico che deve tenere conto di tutti gli emolumenti erogati a tale titolo in esecuzione della prestazione lavorativa, tale da garantire al prestatore un livello retributivo sostanzialmente equivalente a quello applicato nei periodi di espletamento delle mansioni.

Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo, che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza” (così, da ultimo, CGUE 13 gennaio 2022, causa C-514/20).

I principi in parola sono stati ampiamente recepiti e declinati dal giudice di legittimità, che in più occasioni ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’articolo 7, Direttiva 2003/88/CE (con la quale sono state codificate, per motivi di chiarezza, le prescrizioni minime concernenti anche le ferie contenute nella Direttiva 93/104/CE del Consiglio del 23 novembre 1993), per come interpretata dalla Corte di Giustizia UE, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore.

 

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L’onnicomprensività o meno della retribuzione feriale

La mancata inclusione di tutte le voci retributive nel compenso per le ferie non viola il disposto dell’articolo 36, comma 1, Costituzione, circa la giusta retribuzione, non essendo presente nel nostro ordinamento un principio generale e inderogabile di onnicomprensività della retribuzione, competendo all’autonomia collettiva di stabilire quale sia il trattamento economico da includere nel perimetro dell’articolo 36, Costituzione, nonché di valorizzare un dato emolumento ai fini del computo del Tfr ovvero, ciò che rileva nella presente disamina, della retribuzione per ferie.

I singoli elementi della retribuzione, in tanto, possono costituire base di calcolo per la retribuzione del periodo feriale, in quanto ciò sia prescritto, in assenza di previsioni legislative, dalla contrattazione collettiva, che può liberamente far riferimento alla retribuzione normale o ordinaria o di fatto o globale di fatto.

Per le ipotesi non espressamente contemplate dalla contrattazione collettiva, la giurisprudenza è dovuta intervenire per stabilire, caso per caso, se determinate voci vadano ricomprese nel trattamento retributivo spettante al dipendente in costanza di ferie, alla luce della sussistenza, o meno, di una connessione funzionale tra l’elemento retributivo rivendicato e l’espletamento delle mansioni affidate[5].

Si è così giudicato che, dalla base di calcolo della retribuzione delle giornate di ferie godute, sono esclusi i compensi di natura occasionale, mentre vanno inclusi i compensi rientranti nelle mansioni ordinarie (tra cui, ad esempio, l’indennità di “assenza dalla residenza”, l’indennità di “scorte vetture eccedenti” e l’indennità per “vendita titoli di viaggio” del capotreno[6]).

Ancora, è la stessa pronuncia in esame a ricordare che, proprio in applicazione della nozione c.d. europea di retribuzione, nell’ambito del personale navigante dipendente da compagnia aerea, si è chiarito che nel calcolo del compenso dovuto al lavoratore nel periodo minimo di ferie annuali di 4 settimane si deve tenere conto degli importi erogati a titolo di indennità di volo integrativa, stabilendo, dunque, l’illegittimità della disposizione collettiva (articolo 10, Ccnl Trasporto aereo – sezione personale navigante tecnico) nella parte in cui la esclude, in contrasto con l’articolo 4, D.Lgs. 185/2005 (Decreto di attuazione della Direttiva 2000/79/CE relativa all’Accordo europeo sull’organizzazione dell’orario di lavoro del personale di volo dell’aviazione civile), interpretando detta disposizione proprio alla luce del diritto europeo, che impone di riconoscere al lavoratore navigante in ferie una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie, in misura tale da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l’attività lavorativa[7].

Quanto alle maggiorazioni per lavoro notturno, esse sono state escluse dalla retribuzione feriale, anche se il lavoro è prestato secondo regolari turni periodici, salvo diversa previsione nel contratto collettivo o individuale. In particolare, non è sufficiente la constatazione della normalità della prestazione notturna in turni periodici e dell’erogazione della relativa indennità, in quanto occorre che la contrattazione collettiva faccia riferimento, al fine considerato, alla retribuzione normale (o “ordinaria” o “di fatto” o “globale di fatto”)[8].

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La Corte di Cassazione ha poi ammesso il computo del lavoro straordinario prestato con continuità ai fini della quantificazione della retribuzione spettante durante le ferie solo qualora la contrattazione collettiva faccia riferimento alla nozione di “retribuzione globale di fatto”, che consiste in tutti gli elementi retributivi percepiti nel tempo (compreso lo straordinario). In mancanza del riferimento alla retribuzione globale di fatto, lo straordinario fisso forfetizzato va escluso dal calcolo delle ferie[9].

 

Quali sono le voci retributive effettivamente correlate all’esecuzione delle mansioni?

La pronuncia in esame conferma, dunque, un paradigma interpretativo consolidato, in continuità con la precedente sentenza n. 19991/2024[10]: la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali comprende qualsiasi importo pecuniario che si ponga in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore.

In particolare, la Suprema Corte ha valutato la possibilità di includere nella retribuzione feriale 2 specifici emolumenti percepiti da un dipendente dell’Ente Autonomo Volturno Srl – società operante nel settore del trasporto pubblico su gomma, ferro e funivia, della Regione Campania – vale a dire l’indennità perequativa/compensativa e il ticket mensa.

Nel contestare la valorizzazione di dette voci nel trattamento retributivo da corrispondere durante le ferie, la datrice di lavoro aveva rilevato che si trattava di indennità che conglobavano pregressi compensi erogati in ragione della qualifica dei lavoratori (tra cui l’indennità di disagio macchinisti, l’indennità di disagio conduttori, l’indennità di disagio capitreno, l’indennità di disagio addetti alla manutenzione), alcuni dei quali riconosciuti soltanto in occasione dello svolgimento delle mansioni con valore di rimborso spese (indennità chilometrica), comunque legati a effettive prestazioni rese e, pertanto, assimilabili alle indennità saltuarie e variabili di cui all’articolo 9 del Ccnl applicabile alla fattispecie (del 12 marzo 1980), ovvero conseguenti alle occasionali e oggettive modalità organizzative del servizio di TPL.

Viceversa, la Suprema Corte ha considerato che l’indennità perequativa/compensativa, introdotta per il personale EAV da un accordo regionale del 15 dicembre 2011[11], è conteggiata sia con riferimento ai giorni di presenza del singolo lavoratore, sia valorizzando – come media – i periodi di assenza su base annua, sulla scorta di “valori teorici previsti dalla turnazione annua o dalla effettiva presenza media annua calcolata con i valori economici in vigore alla sottoscrizione dell’accordo regionale”.

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La Corte d’Appello di Napoli, nel motivare l’inclusione di tale indennità nel computo della retribuzione feriale, giacché “quantificata in considerazione di valori non collegati all’effettiva presenza del singolo lavoratore, prevista in misura fissa, pensionabile e calcolabile ai fini del TFR”, l’aveva, pertanto, giudicata

“senza dubbio collegata all’esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro, sicché rientra a pieno titolo nella retribuzione da corrispondere anche nei periodi di ferie, secondo principi invalsi nella giurisprudenza euro-comunitaria”.

L’interpretazione della contrattazione collettiva resa dai giudici di merito[12] appare, quindi, conforme alle finalità perseguite dal diritto dell’Unione Europea nella verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle medesime, legata alla pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita.

Per altro verso, la Corte di Cassazione, seppur non articolando sul tema specifiche argomentazioni, ha confermato l’illegittimità di accordi collettivi che escludono dal trattamento retributivo feriale determinati emolumenti che, per loro natura, sono corrisposti solo in caso di presenza o poiché strettamente correlati all’esecuzione della prestazione lavorativa, tra cui i buoni pasto.

La loro inclusione nella nozione di retribuzione feriale lascia desumere che vadano intese come indennità rientranti a pieno titolo nel sinallagma contrattuale, quali voci retributive corrisposte in misura fissa per ogni giornata, volte a remunerare – in via ordinaria, onnicomprensiva e indipendente dal numero di ore lavorate e/o da particolari condizioni di tempo o di luogo o di peculiare disagio – tutti gli incomodi derivanti dall’espletamento delle mansioni proprie dei dipendenti, oltre a essere condizionate al mero possesso dei profili professionali e parametri indicati al momento della sottoscrizione dell’accordo regionale.

Sennonché, giova ricordare che i c.d. ticket mensa sono soggetti a peculiari agevolazioni fiscali e non rientrano nel reddito da lavoro dipendente, ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera c), Tuir[13], di talché è lecito interrogarsi se effettivamente il buono pasto – che non viene riconosciuto indistintamente a tutto il personale, né può dirsi correlato allo status personale e professionale del dipendente – sia effettivamente funzionale o meno alle mansioni specifiche del lavoratore, presupposto sinora richiesto dalla giurisprudenza ai fini dell’inclusione dell’emolumento retributivo nella nozione della retribuzione feriale.

La giurisprudenza di legittimità è univoca nell’escludere la natura retributiva dei buoni pasto, trattandosi di un’agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, al fine di conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore.

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A tale riguardo, l’arresto in esame, sotto il profilo che qui interessa, pare porsi in contrasto con gli orientamenti interpretativi della consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di buono mensa, non esprimendo, peraltro, alcuna motivazione in proposito, neppure in via incidentale. E, invero, il ticket è conformemente giudicato funzionalmente correlato all’esigenza di consumazione del pasto e riconosciuto laddove la prestazione lavorativa sia resa in un orario che ricomprenda il relativo arco temporale, non costituendo, perciò, un elemento della retribuzione, bensì un’agevolazione di carattere assistenziale, correlato da un nesso meramente occasionale con il rapporto di lavoro[14].

Sul punto, l’Agenzia delle entrate ha precisato che: “La ratio sottesa a tale regime fiscale di favore è ispirata dalla volontà del legislatore di detassare le erogazioni ai dipendenti che si ricollegano alla necessità del datore di lavoro di provvedere alle esigenze alimentari del personale che durante l’orario di lavoro deve consumare il pasto” (circolare Mef n. 326/E/1997, § 2.2.3, risoluzione n. 118/E/2006, nonché, da ultimo, risposta a interpello n. 956-2631/E/2020).

Nel merito, i ticket restaurant sono qualificati come “prestazioni sostitutive del servizio di mensa”, per le quali è previsto, per legge, un importo massimo giornaliero di non imponibilità, da calcolarsi con riferimento “a ciascun giorno lavorativo”, oltre il quale dette prestazioni concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente (circolare Mef n. 326/E/1997, § 2.2.3). In riferimento alla “giornata lavorativa”, il datore di lavoro può scegliere in base alle proprie esigenze organizzative e all’attività svolta come erogare il pasto ai dipendenti, secondo le modalità stabilite dalla norma fiscale (mensa aziendale, ticket restaurant, indennità monetaria sostitutiva), con la precisazione che tali modalità non sono cumulabili per la “medesima giornata lavorativa” (circolare Mef n. 326/E/1997, § 2.2.3).

La disciplina agevolata, fiscale e contributiva, applicabile al buono pasto conferma, dunque, la sua natura prettamente assistenziale, in linea con l’orientamento giurisprudenziale che ne esclude la natura retributiva.

In assenza di specifica motivazione sul punto, l’ordinanza in commento ha suscitato ampi dissensi circa l’inclusione dei ticket mensa nel trattamento retributivo feriale, ciò che comporterebbe la valorizzazione del buono pasto nel reddito imponibile a ogni effetto fiscale e contributivo (sia per il datore di lavoro sia per il dipendente, che non fruirebbe della detassazione), non potendo, peraltro, riconoscersi, nel nostro ordinamento, efficacia vincolante alle pronunce di legittimità al di fuori del processo cui ineriscono.

 

[1] Si tratta delle sentenze n. 1351 del 2 dicembre 2021 del Tribunale di Benevento, e n. 553 del 13 febbraio 2023 della Corte d’Appello di Napoli.

[2] Il godimento delle ferie costituisce un obbligo contrattuale del datore di lavoro e, quindi, spetta a quest’ultimo provare, ai sensi dell’articolo 2697, comma 2, cod. civ., l’adempimento o l’offerta di adempimento (Cassazione, n. 15652/2018).

[3] Sul punto, con la recente ordinanza n. 17643/2023, la Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: “La prescrizione del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro, salvo che il datore di lavoro non dimostri che il diritto alle ferie ed ai riposi settimanali è stato perso dal medesimo lavoratore perché egli non ne ha goduto nonostante l’invito ad usufruirne; siffatto invito deve essere formulato in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie ed i riposi siano ancora idonei ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui sono finalizzati, e deve contenere l’avviso che, in ipotesi di mancato godimento, tali ferie e riposi andranno persi al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato”.

[4] Cassazione, n. 14955/2000.

[5] Così Cassazione, n. 13425/2019, n. 37589/2021 e n. 18160/2023.

[6] Così, di recente, Tribunale di Milano, 4 maggio 2023, giudice Porcelli.

[7] Così Cassazione, n. 20216/2022.

[8] Con conseguente esclusione dell’indennità di lavoro notturno prestato in turni periodici prestabiliti dai dipendenti di Poste Italiane Spa., si veda Cassazione, n. 23422/2004, conforme a n. 4508/2003.

[9] Con pronuncia a SS.UU. n. 1075/1984, la Corte aveva ha affermato che, in tema di lavoro straordinario, il fatto che esso sia prestato in maniera fissa e continuativa non è sufficiente a trasformare la natura della prestazione lavorativa resa oltre l’orario normale in prestazione ordinaria, a meno che si provi l’esistenza di una specifica volontà delle parti intesa ad ampliare l’orario normale di lavoro conglobandovi lo straordinario fisso e continuativo, nonché a trasformare il relativo compenso in retribuzione ordinaria utile ai fini del calcolo delle spettanze la cui quantificazione debba essere effettuata con riferimento a essa. Più recentemente, la clausola dell’articolo 86, Ccnl Servizi fiduciari, che prevede una nozione restrittiva di retribuzione utile ai fini delle ferie, con esclusione di determinate voci legate al lavoro notturno o straordinario, è stata giudicata legittima solo se il lavoro notturno o straordinario rappresenta una mera modalità di esecuzione della prestazione, che potrebbe, cioè, venire meno in qualsiasi momento, e non invece allorché costituisca un tratto tipico e ontologicamente intrinseco al rapporto di lavoro (Cassazione, n. 28320/2023).

[10] Anche in questo caso, confermando la decisione dei 2 gradi di merito, la Suprema Corte ha stabilito la rilevanza, nel computo della retribuzione feriale, di 2 emolumenti, costituiti dalla c.d. indennità di utilizzazione professionale e dall’indennità per assenza della residenza, da includersi, pertanto, nel trattamento economico durante le ferie, poiché immediatamente collegati alle mansioni tipiche del dipendente (macchinista), la prima essendo destinata a compensare il disagio dell’attività derivante dal non avere una sede fissa di lavoro e dall’essere continuamente in movimento, lontano dalla sede formale di lavoro, la seconda perché ordinariamente corrisposta per i periodi di lavoro e incidente sul trattamento economico mensile.

[11] L’accordo regionale del 15 dicembre 2011 era finalizzato a riprogrammare le politiche del lavoro nel comparto dei trasporti pubblici locali, onde sostenere la concorrenza, garantire maggiore efficienza, contenere i costi ed evitare il ricorso a licenziamenti collettivi, individuando per i lavoratori in servizio alla data della stipula la struttura della retribuzione (nella componente fissa e variabile); all’articolo 3 si è così prevista un’indennità perequativa/compensativa, erogata a decorrere dall’1° gennaio 2012, diretta a garantire il mantenimento delle condizioni economiche in atto per il personale in servizio, quale emolumento fisso e pensionabile, calibrato in ragione delle mansioni e/o della presenza.

[12] Con riferimento alla questione che qui occupa, il Tribunale di Benevento esprime da tempo un orientamento coerente e stabile (si vedano sentenze n. 2063/2022, n. 553/2023, 555/2023, n. 1766/2023, n. 1768/2023, n. 1783/2023, n. 2346/2023, n. 4312/2023, n. 4444/2023, n. 103/2024 e n. 166/2024), avallato dalla giurisprudenza maggioritaria della Corte d’Appello di Napoli.

[13] Il collegamento tra l’erogazione del buoni pasto e la giornata lavorativa è riscontrabile nella citata disciplina fiscale e previdenziale di favore, che dispone la non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente per le prestazioni sostitutive dei servizi di mensa, entro determinati limiti (articolo 51, comma 2, lettera c), Tuir).

[14] Si veda Cassazione, n. 31137/2019, n. 21440/2024, n. 16135/2020 n. 14388/2016, n. 13841/2015 e n. 14290/2012.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro



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