Elezioni Germania spartiacque Europa, partiti tradizionali tremano

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Manca un mese e mezzo esatto alle elezioni anticipate in Germania, che si terranno il prossimo 23 febbraio. La campagna elettorale non è ancora realmente decollata e nei circoli conservatori è suonato quasi come un avvertimento al candidato Friedrich Merz di darsi una svegliata. Il probabile futuro cancelliere ha perseguito una strategia di comunicazione in sordina durante le festività natalizie, sostenendo che i tedeschi non vogliano essere infastiditi dalla politica per le vacanze. I sondaggi accreditano la sua Unione cristiano-democratica al primo posto sopra il 30% dei consensi, ma a spaventare è la crescita di AfD, acronimo tedesco di Alternativa per la Germania e formazione dipinta dai più come “filo-nazista” e di “estrema destra”.

Elezioni in Germania, pesa crisi economica

Prima di Natale l’AfD di Alice Weidel, 45 anni, lesbica dichiarata e convivente con una produttrice cinematografica svizzera di origini cingalesi, ha ottenuto l’endorsement esplicito di Elon Musk su X: “Solo la AfD può salvare la Germania”. Tutti gli altri partiti non l’hanno presa bene, ma non c’è stata la levata di scudi che ci si aspettava. E questo la dice lunga sul clima quasi di rassegnazione dinnanzi all’avanzata dell’ultra-destra alla vigilia di queste elezioni in Germania.

I dati macroeconomici continuano a deporre contro il governo uscente del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz. Gli ordini dell’industria a novembre sono crollati del 5,4% su ottobre. E la produzione industriale non segna una crescita tendenziale dopo il mese di maggio del 2023. Il Pil tedesco dovrebbe essersi chiuso a -0,2% nel 2024 dopo il -0,3% nel 2023. La disoccupazione resta stabile in termini percentuali, ma cresce in valore assoluto a 2 milioni 870 mila unità, circa mezzo milione in più rispetto all’avvio della legislatura.

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Da Vienna terremoto per Berlino

Il comparto automotive è a pezzi. Non c’è solo Volkswagen e le altre case costruttrici che licenziano, ma un po’ tutta la filiera che risente della crisi di vendite.

E se l’economia va male, la sicurezza non va meglio. La stessa sinistra ha capito quanto il tema immigrazione sia diventato importante a queste elezioni in Germania e Scholz ha promesso “deportazioni di massa” in caso di vittoria. Ma la verità è che sta fallendo miseramente la politica delle frontiere aperte inaugurata nel 2015 dall’allora cancelliera cristiano-democratica Angela Merkel. E ciò peserà nel dibattito su Merz, che pur essendo stato un rivale interno di Mutti, ne rappresenta l’erede in termini partitici.

L’establishment tedesco è scosso dalla vittoria di Donald Trump, che a giorni sarà ufficialmente il nuovo presidente degli Stati Uniti. Sa di non avere più un amico alla Casa Bianca e che le esportazioni subiranno un probabile contraccolpo per via dei dazi minacciati dal tycoon. Come se non bastasse, nella vicina Austria è accaduto in questi giorni qualcosa che nessuno si aspettava. Herbert Hickl, leader di FPOe, Partito della Libertà, formazione dell’ultra-destra, è stato incaricato dal presidente di formare il nuovo governo. Aveva vinto le elezioni politiche con il 29% dei voti, ma il Partito Popolare aveva chiuso alle trattative. Ma non è stato in grado a sua volta di trovare partner per una maggioranza alternativa.

I punti-chiave del programma AfD

Se a Vienna arrivasse alla cancelleria Hickl, sarebbe la conferma anche per i tedeschi che l’AfD possa andare al governo. E in piena campagna elettorale. I propositi del partito di Weidel sono chiari: ritorno al nucleare, stretta all’immigrazione e ordine fiscale. Tutti temi, va detto, che fanno parte dell’armamentario programmatico della stessa CDU-CSU. Il problema è che i conservatori non risultano credibili a larghi settori dell’opinione pubblica, anche perché per governare avrebbero bisogno dei voti dell’SPD o dei Verdi, cioè di coloro che a parole dicono di combattere.

Stando ai sondaggi, l’AfD sarebbe sopra il 20% contro il 10,8% ottenuto nel 2021. Un raddoppio che sconquasserebbe gli equilibri politici consolidati a Berlino. L’ingresso in un governo guidato da Merz sarebbe per il momento escluso, ma all’indomani delle elezioni in Germania tutto può cambiare. Anche perché a Washington ci sarà un Trump molto meno incline a trattare con un esecutivo composto di ambientalisti e sinistra rispetto a uno in cui sia presente un partito esplicitamente favorevole alla sua politica. L’AfD è considerato “trumpiano” e per i detrattori sarebbe anche “filo-russo”.

Possibili cambiamenti in Europa

Va da sé che l’AfD al governo, pur eventualmente da junior partner dei conservatori, sarebbe una novità dirimente per tutta l’Europa. Anticiperebbe probabilmente un simile scenario anche a Parigi, dove il Rassemblement National di Marine Le Pen punta su nuove elezioni anticipate per prendersi il governo e subito dopo la presidenza, anche se non è improbabile che i due eventi avvengano contemporaneamente nel caso di dimissioni di Emmanuel Macron.

Cosa comporterebbe per l’Europa un governo nero-blu a Berlino? Sarebbe la fine dell’Unione Europea come l’abbiamo conosciuta. I tedeschi agirebbero per ridurre i poteri delle istituzioni comunitarie, non certo per espanderli ulteriormente. Diciamo pure addio agli Eurobond, all’unione bancaria, alle politiche ambientaliste propinate dall’Europarlamento nella scorsa legislatura e alle porte spalancate agli immigrati clandestini e ai profughi. Cambierebbero tutti i paradigmi a Bruxelles. I governi nazionali dovrebbero fare maggiore ordine nei rispettivi conti pubblici. Il lassismo fiscale degli anni passati cesserebbe. Il Sud Europa è avvertito. D’altra parte, capitoli come la transizione energetica e i relativi costi verrebbero soppiantati a favore di un’agenda più pragmatica e che contemplerebbe una politica comunitaria probabilmente più decisa nella difesa dei propri confini.

Elezioni in Germania spartiacque a Bruxelles

Le elezioni in Germania saranno un test decisivo per valutare dove andrà l’Europa nei prossimi anni. Lo smottamento a destra dell’elettorato è visibile praticamente ovunque.

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Con la fine della lunga era Merkel e il ritorno di Trump stanno venendo meno i governi delle larghe intese tra centro-destra e sinistra, che avevano retto le sorti di molti stati comunitari senza offrire soluzioni e prospettive chiare ai cittadini. Si va verso una politica più identitaria, in cui ci sarà meno spazio per pastrocchi ambigui e tesi ad arginare formazioni considerate minacciose verso lo status quo. E’ già accaduto timidamente a Bruxelles, dove nell’Europarlamento si è venuta a creare nei fatti una “maggioranza Venezuela”. Essa va dai popolari ai patrioti ed è alternativa a socialisti, liberali e Verdi.

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