Democrazia digitale e l’illusione di una partecipazione collettiva

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Ci muoviamo in un universo digitale che promette connessioni senza confini, ma spesso costruisce mura invisibili. È un mondo di “bolle”, dove l’algoritmo non solo seleziona per noi, ma ci trasforma in spettatori passivi di una realtà distorta. La democrazia digitale, che avrebbe dovuto ampliare gli orizzonti, rischia di rinchiuderci in gabbie ideologiche. Vittorio Sconci, psichiatra, ci invita a riflettere su come questo fenomeno stia trasformando la nostra capacità critica e la stessa partecipazione democratica.


Come influisce il fenomeno delle “bolle informative” sulla psiche e sul comportamento degli individui?

Si sta passando inconsapevolmente dalla “bolla informativa” che è sempre stata la rappresentazione plastica dello stato autoritario alle “bolle informative” che inizialmente, in maniera frettolosa, sono state considerate un’espressione di una Democrazia sempre più spesso impegnata nella ricerca di nuove forme di partecipazione popolare. Non ultima la proposta di piattaforme web che alcuni boriosi e scriteriati consideravano il mezzo per riproporre modalità illogiche di democrazia diretta. Autentiche bolle di sapone scoppiate insieme alla presunzione di sostituire secoli di storia con immagini distorte di un populismo che non ha niente a che fare con parole come libertà e democrazia. Nel frattempo si sono moltiplicate le “bolle informative” e sono aumentati a dismisura i seguaci di ciascuna bolla. E purtroppo la definizione di seguaci dà una immagine fedele di gruppi sempre più organizzati che si riconoscono soltanto nelle informazioni di proprio gradimento e rifiutano aprioristicamente le altre. Questo comportamento ormai diffusissimo riduce la possibilità del confronto e spinge sempre di più verso un atteggiamento settario che esasperando i toni evita l’ascolto dell’altro e certamente non fa un bel regalo alla dialettica democratica. Se poi si pensa ai soliti e noiosi dibattiti televisivi si può facilmente immaginare quante bolle entrino nelle nostre case proprio da parte di chi, mi riferisco soprattutto ai giornalisti, dovrebbe insegnarci la bellezza della diversità.

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In che modo le dinamiche delle piattaforme social possono alterare la percezione della realtà collettiva?

Penso che la identificazione in un gruppo e nella sua ideologia rappresenti un meccanismo potente per riempire i propri vuoti psicologici e culturali che da soli, senza compensi, porterebbero a riflessioni autodistruttive con facili epiloghi depressivi. L’appartenenza ad un gruppo rinforza, disinibisce e spinge a fare affermazioni e mettere in atto comportamenti che la persona da sola non riuscirebbe mai a compiere con tanta facilità. Di fatto si stanno formando tante “curve nord o sud” che invece di calcio si occupano di politica o di fenomeni sociali. Una grossonalità culturale priva di conoscenze approfondite, di abitudine allo studio ed al rispetto di un concetto complesso della quotidianità. Ulteriore squallore si ritrova nell’espressione di giudizi superficiali su persone e cose non conosciute e sostenute da generalizzazioni molto pericolose per la nostra tenuta democratica. Basti pensare alla squalifica sistematica e diffusa di una classe politica che ha fatto diventare l’Italia una delle più grandi potenze economiche mondiali o il furore mediatico utilizzato per la demonizzazione dell’avversario grazie alle solite bolle usate a piene mani dai movimenti qualunquistici che hanno inciso pesantemente su questa abitudine alla adiposità intellettuale. In sostanza la enormità delle attuali informazioni non ha fatto altro che amplificare vecchi vizi o scappatoie identificative sempre presenti nelle varie fasi della nostra storia.

Quali strumenti psicologici potrebbero aiutare le persone a riconoscere i limiti delle bolle informative?

Non esiste una soluzione che possa risolvere il problema perché le parti in causa sono molteplici e le responsabilità sono ubiquitarie. Mi limito a dare delle indicazioni che potrebbero rispondere in parte quantomeno alla individuazione di criticità ormai troppo acclarate. Penso sia dovere di ognuno di noi rispettare e far rispettare le nostre Istituzioni. Il Parlamento, la Scuola, la Giustizia, le Alte cariche dello Stato, l’Ordine pubblico debbono rappresentare per tutti un dono esclusivo che quotidianamente ci fa la nostra grande Democrazia Occidentale. Inoltre nelle case, oltre il televisore, non dovrebbe mancare una piccola biblioteca che rappresenti l’universalità del sapere a fronte della semplice quotidianità. Lo studio visto come strumento di crescita e non come obbligo burocratico. Una famiglia orgogliosa delle proprie regole ma rispettosa e disponibile nei confronti delle altrettanto valide regole sociali. Dobbiamo tutti abituarci alle differenze quali risorsa indispensabile alla nostra crescita e non come campi minati per le nostre instabili sicurezze. Anche l’insegnamento scolastico può e deve diventare metodo di confronto e non di scontro tra famiglia e corpo docente. Si deve affermare la modestia come elemento di forza e non di debolezza. Un po’ di tutte queste cose messe insieme, potrebbero essere di aiuto allo scoppio di qualche bolla inutile e dannosa.

Quanto incide l’isolamento sociale digitale sul benessere mentale e sulla partecipazione democratica?

Ho sempre affermato la similitudine tra social e autovetture: non possiamo farne a meno ma il loro cattivo uso può fare danni incalcolabili. La nostra vita è stata resa più semplice e produttiva grazie ad una quantità di informazioni inimmaginabile sino a qualche tempo fa’. La modernità sta aprendo varchi di conoscenza infiniti che sarà gioco forza utilizzare per dare la possibilità di vivere meglio a noi ed ai milioni di uomini che vivono ancora nella più assoluta povertà. Quindi c’è bisogno di nuove relazioni, nuove comunicazioni, nuove conoscenze che utilizzino la nostra capacità di introdursi in una società sempre nuova e stupendamente caratterizzata da rapporti sociali interdisciplinari. E tutto ciò è il contrario del ritiro autistico dietro il video di un computer. L’isolamento è sempre esistito ed i social rappresentano l’espressione moderna di un male datato che, ora, ha un mezzo in più per la sua rappresentazione. Certo, si può nascondere facilmente una sofferenza “compensata” dall’idea fallace di essere il centro di un mondo che non c’è, ci si può convincere della appropriatezza delle proprie convinzioni, ma sicuramente si starà ai margini di un Mondo che va avanti lo stesso.

Esistono correlazioni tra il rafforzamento delle bolle informative e l’aumento di patologie psicologiche, come ansia o depressione?

Come ho già detto, il ritiro psicologico all’interno dei social è compensativo, evita di confrontarsi con la realtà e discoprire le proprie inadempienze. Quindi paradossalmente copre problemi che diversamente potrebbero più facilmente venire a galla. Pertanto ritengo che non si tratti di un problema di patologia ma di modo di essere nel mondo che evita il confronto e di certo non è molto funzionale allo sviluppo della Democrazia. Ma soprattutto fa un grave danno a sé restringendo idee, interessi e passioni senza i quali si rischia di procurare gravi bolle ma, questa volta, detto il cervello.


In un’epoca dove il digitale plasma la società, riconoscere e rompere le bolle informative non è solo un atto di consapevolezza individuale, ma un passo indispensabile per salvaguardare il dialogo democratico e il benessere collettivo. Tornare alla complessità, alla diversità, all’ascolto reciproco: questa, forse, è la nostra unica via di fuga.



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