“Le toghe che sbagliano restano impunite, perché non interviene la Corte dei Conti?”

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Un’enciclopedia del malaffare. Così Vinicio D’Ambrosio definisce il suo ultimo libro “La giustizia in Italia. Il Sistema Molise”, un volume in cui il saggista campobassano – partendo dagli intrecci tra politica e magistratura – evidenzia come l’esempio della piccola Regione possa essere metafora dell’intero sistema giudiziario nazionale. Senza troppi fronzoli, in questa intervista, D’Ambrosio punta il dito contro gli errori di pm e polizia giudiziaria per poi affermare di aver riposto le proprie speranze nella separazione delle carriere.

D’Ambrosio, lei ha analizzato la situazione giudiziaria del Molise: una Regione tanto piccola quanto ingarbugliata, vero?
«Nel mio libro parlo di come, a fronte di centinaia di colletti bianchi imputati, di inquirenti, di testimoni e di migliaia di ore di intercettazioni telefoniche e ambientali, ci sia stato soltanto un condannato. Poi, solo assoluzioni e soprattutto proscioglimenti e tantissime prescrizioni. In 25 anni in Molise sono stati spesi centinaia di milioni di euro per processi che non hanno portato a nulla. Anzi, certe inchieste, mal imbastite, hanno paradossalmente consentito a tanti personaggi politici di sopravvivere. Tutto questo ha creato un clima tale per cui è difficile che oggi qualcuno denunci delle irregolarità se poi il risultato è zero, anzi zero assoluto, come recita il capitolo in cui traccio la statistica giudiziaria. Non c’è stata a mio avviso la volontà di assolvere e favorire alcuni imputati o di ostacolarne altri: credo che ci sia stata più che altro incompetenza degli inquirenti. Nel libro io affermo che per alcune di queste inchieste io posseggo, nel mio archivio personale, più documentazione probatoria di quella acquisita dai pm e dalla polizia giudiziaria».

Dalla lettura del suo volume, viene fuori una certa amarezza: lei sottolinea come certi magistrati siano stati promossi nonostante gli scarsi risultati.
«Enzo Tortora affermò che in Italia tre categorie di persone non rispondono dei loro misfatti: i bambini, i pazzi e i magistrati. Questo si è rivelato vero anche nel caso molisano, con magistrati che hanno fatto carriera. In Molise certe cose sono molto più evidenti perché siamo una Regione molto piccola: ci sono 3 procure e ciascuna lavora su meno di 100mila abitanti. Per questo dovrebbero svolgersi delle indagini più accurate e invece succede il contrario. In un passaggio del libro racconto di un’intercettazione che registra un magistrato che si rivolge alla sua amante e dice “domani ho un’udienza ma non guardo le carte da un anno”. Questo dovrebbe essere sintomatico della scarsa voglia di lavorare di alcuni magistrati. In un contesto come il Molise, poi, la politica e la magistratura hanno intessuto rapporti di tipo amicale con la stampa: non è un caso che alcuni giornali siano conniventi con il potere e che io venga premiato e considerato soltanto fuori Regione».

Oggi si parla di riforma della giustizia. Crede che possa limitare lo strapotere delle correnti?
«Io ho un’opinione molto netta: sono per la separazione delle carriere. E addirittura, come direbbe l’avvocato Franco Coppi, sono per la separazione delle persone. Bisogna separare i magistrati intelligenti da quelli che non lo sono: una persona capace sa come deve comportarsi sia da giudice che da pm. Purtroppo, quando ci sono magistrati incapaci, sono guai. E poi ci deve essere una responsabilità civile: il medico che sbaglia un’operazione viene condannato alla pari di un sindaco che sbaglia una delibera. A un giudice che sbaglia una sentenza e a un pm che sbaglia un’indagine invece non succede niente. È inconcepibile che a fronte di milioni di euro rimborsati dallo Stato italiano a cittadini dichiarati successivamente innocenti, magari dopo un periodo in carcere, non ci sia un intervento della Corte dei Conti per il risarcimento di quanto sborsato dallo Stato».

Con il tempo, i cittadini hanno perso fiducia sia nella politica sia nella magistratura. Ma c’è differenza: con il voto i cittadini possono cambiare l’ordine della politica, ma non possono cambiare la magistratura…
«Io credo che la politica a livello nazionale non abbia un comportamento coerente nei confronti della magistratura: sono tutti garantisti a parole, finché non vengono toccati direttamente. A corrente alternata, una volta dicono “abbasso la magistratura” e un’altra affermano di avere fiducia nei giudici. Rispetto ai tempi di Mani Pulite, la percentuale di coloro che credono nella magistratura secondo me è calata moltissimo. Nel mio libro non esprimo certo pareri lusinghieri ma non ci sono attacchi, sono tutte critiche argomentate. Altrimenti avrei ricevuto smentite e querele. La magistratura è diventata un corpo a sé stante: non risponde degli errori, anche quando se ne rende conto; inoltre, se sosteniamo che i politici non sono più quelli di un tempo o sosteniamo che la scuola non lavora più come una volta, non vedo perché non possiamo sostenere che anche i magistrati sono in declino. Per me il superamento dell’esame per l’ingresso in magistratura non rende i magistrati superuomini».

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