TREGUA RUSSIA-UCRAINA/ “Serve a congelare il conflitto, ecco i nodi da sciogliere per farla durare”

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Una tregua accettata (a parole) da Putin senza tanto entusiasmo, tanto da far sospettare che in realtà voglia continuare a combattere. I russi, d’altra parte, per chiudere la guerra in Ucraina hanno sempre chiesto una soluzione duratura, una nuova “architettura di sicurezza”, in particolare nei rapporti con la NATO. Il capo del Cremlino non ha detto no alla proposta di 30 giorni di tregua, ma ha fatto capire che si aspetta ben altro. Lo stesso Trump ha parlato di risposta russa promettente ma incompleta.



I contorni della vicenda, spiega Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale e dell’Unione Europea all’Università La Sapienza di Roma, sono per molti versi ancora da chiarire, con ambiguità anche da parte americana, ammiccando e poi minacciando le parti in causa, Ucraina e Russia. E sull’esito delle trattative pesa l’imprevedibilità del presidente USA.



Putin dice che la tregua di 30 giorni, proposta dagli USA e accettata da Kiev, può anche andare bene, ma deve condurre a una “pace duratura”. In realtà, sembra metterne in dubbio l’efficacia, chiedendosi se questi giorni non serviranno all’Ucraina per prendere fiato e riorganizzarsi. Il cessate il fuoco nasconde delle insidie?

Occorre premettere che non tutti i profili dell’accordo fra gli Stati Uniti e l’Ucraina relativi alla tregua sono stati resi pubblici. Di conseguenza, occorre essere prudenti nel dare valutazioni su una vicenda che ha subito continui e repentini cambi di scena. Un accordo sulla tregua fra Stati Uniti e Ucraina è certamente una buona notizia. La tregua potrebbe essere un primo passo per riallacciare un briciolo di fiducia reciproca fra i due belligeranti e avviare le trattative di pace. Ma evidentemente la Russia sospetta che la tregua sia parte di un più complesso accordo che ristabilisca l’alleanza fra gli Stati Uniti e l’Ucraina; un’alleanza che sembrava essere smarrita e sostituita da un avvicinamento fra Stati Uniti e Russia, forse anche teso a disarticolare l’alleanza fra Russia e Cina. Insomma, la partita è complessa e l’imprevedibilità delle condotte del presidente degli Stati Uniti non aiuta a decifrare la situazione.



Il presidente russo vuole sapere chi dovrà dare l’ordine di cessare le ostilità, chi dovrà rilevare eventuali violazioni della tregua. C’è bisogno di un organismo super partes? Chi dovrà gestire tutti questi aspetti?

Se la tregua sarà concordata dalle parti in conflitto, l’accordo dovrà prevedere una funzione di controllo del suo rispetto, sia essa svolta da commissioni paritetiche composte da personale dei due Stati belligeranti, oppure da organismi neutrali che riferiscano agli alti comandi militari. In caso contrario, sarebbe sufficiente un colpo di fucile partito per errore per rimettere tutto in discussione.

Il capo del Cremlino insiste su una soluzione duratura della crisi: anche la tregua può essere accettata, ma solo in un contesto che consideri una soluzione definitiva. Qual è l’architettura di sicurezza che può venire incontro alle richieste di Putin, su quali basi deve poggiare e che tipo di rapporti potrebbe disegnare fra Russia, USA, NATO ed Europa?

Se la Russia insistesse su questa richiesta, la tregua sarebbe molto improbabile, e forse tale richiesta tende proprio a renderla tale. La funzione della tregua dovrebbe essere tesa a raffreddare la tensione e ad avviare le trattative per una soluzione definitiva, che si prospetta molto difficile. Innanzitutto, nessuna delle parti vuole recedere dalle proprie posizioni di principio. Ma, poi, una soluzione, per essere definitiva, dovrà stabilire un assetto geopolitico accettabile per le parti e per i loro alleati. Non si tratta solo di questioni territoriali, peraltro molto difficili da dirimere. Essa deve bilanciare la pretesa di sicurezza dell’Ucraina con la pretesa della Russia di non avanzare ulteriormente i confini della NATO e dell’Unione Europea verso est.

C’è altro? 

Last but not least, una soluzione definitiva dovrà fare i conti con il diritto internazionale, il quale prevede che le acquisizioni territoriali ottenute con l’uso della forza sono illegittime e non possono essere riconosciute dagli Stati terzi. È chiaro che insistere preliminarmente sul rinvenimento di una situazione definitiva significa non voler cessare la guerra. La strada imboccata dagli Stati Uniti e dall’Ucraina potrebbe essere la via giusta per congelare la situazione bellica sulla linea del fronte. Si comincia da trenta giorni e poi, una volta avviato il contatto, si procede a lungo, forse molto a lungo, alla ricerca delle questioni che hanno causato la guerra e la stanno perpetuando.

Putin vuole vedersi riconoscere la Crimea e gli altri quattro territori di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Lugansk. Ha ribadito che bisogna tenere in considerazione la situazione sul campo e che anche nel Kursk i russi hanno isolato le truppe ucraine presenti. Il negoziato deve solo ratificare ciò che è avvenuto sul campo di battaglia?

Il negoziato per una soluzione definitiva non dovrebbe fotografare la situazione del fronte, per tutte le ragioni che ho indicato. Ma il congelamento della linea del fronte è un’opportunità da non perdere, proprio al fine di rinvenire situazioni creative per poter trattare sui problemi veri. Se la tregua preludesse, per esempio, a un’amministrazione internazionale temporanea su tali territori, magari solo propedeutica a un regime di autonomia che lasci impregiudicate le rispettive pretese di Russia e Ucraina, per tutto il tempo necessario a rinvenire un equilibrio geopolitico che metta d’accordo tutti gli attori in gioco, sarebbe un passo importante verso la pace.

Putin ha comunque ringraziato il presidente USA, con il quale dovrebbe avere una telefonata a breve, e ha incontrato l’inviato speciale della Casa Bianca, Steve Witkoff. La risposta russa non preclude la prosecuzione delle trattative? Come reagiranno gli americani e come possono tenere vivo il negoziato?

Gli Stati Uniti stanno tenendo una posizione ambigua, ammiccando a turno alle due parti e minacciandole a turno. Non saprei dire cosa vogliano effettivamente gli Stati Uniti, oltre, ovviamente, a mettere le mani sulle terre rare ucraine. Né è possibile anticipare le mosse future dell’Amministrazione Trump, la quale è sempre imperscrutabile. A me sembra che gli USA confidino nella propria potenza militare ed economica al fine di ottenere risultati sia in termini geopolitici sia in termini di apertura di mercati. Non siamo, quindi, ahimè, di fronte a un’amministrazione ispirata da principi e valori.

La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha definito provocatoria la proposta di peacekeeper europei. L’UE e l’Europa in generale continuano a rimanere fuori dalla stanza dei bottoni?

In una prospettiva obiettiva, occorre ammettere che la diffidenza russa verso gli Stati europei è giustificata. Accanto agli Stati Uniti, hanno sostenuto economicamente e militarmente l’Ucraina, ben al di là dello status di neutralità e sfiorando addirittura lo status di belligeranza.

Cosa può fare allora l’Europa?

Senza il sostegno europeo, l’Ucraina oggi si troverebbe a fronteggiare militarmente la Russia e a contrastare la pretesa, affiorata da parte degli Stati Uniti, di una cessione incondizionata dei territori occupati. Insomma, l’Unione ha avuto una funzione essenziale nel conflitto e ha una funzione essenziale nella fase delle trattative. Per questo motivo, l’Europa sta cercando di formare un braccio militare credibile che possa agire come deterrenza verso l’espansionismo russo, nonché come uno strumento di autoprotezione verso possibili derive autoritarie negli Stati Uniti. I primi passi dell’Amministrazione Trump costituiscono un monito verso chi pensa che gli Stati democratici siano immuni dalle tentazioni autoritarie.

(Paolo Rossetti)

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