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L’altro giorno si sono chiuse le “due sessioni” dell’Assemblea nazionale del popolo e della Conferenza politica consultiva del popolo cinese. Dalla settimana di lavoro delle riunioni plenarie annuali del parlamento di Pechino e dell’organismo consultivo delle diverse categorie sociali sono emersi tre messaggi fondamentali.
Anzitutto la Cina – con la guerra commerciale all’orizzonte – punterà più che mai tutto sullo sviluppo socioeconomico, aumentando il rapporto deficit Pil per incentivare i settori hi-tech, le relazioni con il Sud del mondo e cercando di fornire un welfare migliore alla popolazione.
In questo stesso ambito rientra il secondo (non in ordine di importanza) obiettivo: ridare fiducia al settore privato, danneggiato negli ultimi anni dalla pandemia e dal crollo del mercato immobiliare, oltre che dal giro di vite governativo del 2021-2013 contro la “espansione disordinata del capitale”.
Terzo – e anche in questo caso non meno importante degli altri due – la Cina punta a mostrarsi e a proporsi come contraltare al protezionismo e alla politica muscolare promossi dagli Stati Uniti di Donald Trump. Rispetto a questa strategia il Sud globale è essenziale, ma Pechino fa appello anche all’Unione Europea, che con i suoi grandi paesi esportatori (Germania, Italia) ha, in questo senso, lo stesso interesse della Cina a combattere il protezionismo.
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Prima gli ultimi discorsi dall’inedito tono conciliante della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, poi la proposta di rimozione delle limitazioni al dialogo con la Cina da parte della presidente del Parlamento, Roberta Metsola, infine la cancellazione di quei divieti, che avevano “congelato” le relazioni degli eurodeputati con la Cina.
Agatha Christie diceva che «un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». In questo caso, provano che – dopo i dazi contro l’UE e l’idea di un disimpegno parziale dalla sicurezza del Vecchio continente palesati da Donald Trump – Bruxelles ha iniziato a guardare a Pechino con maggiore simpatia. E così il Parlamento di Strasburgo – l’organismo comunitario che più degli altri negli ultimi anni ha criticato la Cina – la settimana scorsa ha confermato che sono state cancellate le restrizioni agli incontri tra i parlamentari Ue e funzionari cinesi in vigore da aprile 2023.
Le linee guida depennate stabilivano che «le controparti ufficiali (parlamentari) non saranno invitate a visitare il Parlamento europeo» e che non ci saranno “missioni ufficiali” in Cina finché le sanzioni rimarranno in vigore, «a meno che la missione non includa almeno un membro» che sia stato sanzionato. Inoltre, disponevano che i contatti bilaterali tra funzionari fossero «limitati ai titolari di cariche e che i servizi del parlamento» ne venissero informati». Idem per gli incontri nei forum multilaterali.
Le contro-sanzioni a cui si faceva riferimento nelle raccomandazioni per i parlamentari Ue sono quelle varate da Pechino immediatamente dopo l’approvazione, il 22 marzo 2021, delle sanzioni Ue nei confronti di «entità e individui accusati di violazione dei diritti umani nel Xinjiang». In conseguenza di quel botta e risposta, da quel giorno era stato congelato l’accordo Comprehensive Agreement on Invetment (Cai) a lungo negoziato tra le parti.
Il rinnovato dialogo tra parlamentari e funzionari potrebbe aprire la strada alla revoca delle sanzioni reciproche e, dunque, alla ripresa delle discussioni sul Cai.
Il Trump II ha convinto anche Ursula von der Leyen a guardare a oriente, all’India anzitutto, ma anche alla Cina. Dal palco del World Economic Forum di Davos, il 21 gennaio scorso (il giorno successivo all’insediamento del presidente repubblicano), la presidente della Commissione ha dichiarato:
Credo che dovremmo anche impegnarci per ottenere vantaggi reciproci nel nostro dialogo con la Cina. Quando la Cina è entrata a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio 25 anni fa, l’impatto delle crescenti esportazioni cinesi è stato definito “shock cinese”.
Oggi, alcuni parlano di un secondo shock cinese, a causa dell’eccesso di capacità produttiva favorita dallo Stato. Ovviamente, a questo dobbiamo rispondere. Misure commerciali difensive vengono adottate in tutto il mondo, anche nel Sud del mondo, come risposta alle distorsioni del mercato cinese. Questo è anche il motivo per cui l’Europa ha adottato misure, ad esempio sulle auto elettriche.
Allo stesso tempo, ho sempre sottolineato che siamo pronti a continuare le nostre discussioni. E continueremo a ridurre i rischi della nostra economia. Molti credono, anche in Cina, che sarebbe nell’interesse a lungo termine della Cina gestire in modo più responsabile i suoi squilibri economici. Questa è anche la nostra opinione. E credo che dobbiamo impegnarci in modo costruttivo con la Cina, per trovare soluzioni nel nostro reciproco interesse.
Il 2025 segna 50 anni di relazioni diplomatiche della nostra unione con la Cina. Lo vedo come un‘opportunità per impegnarci e approfondire la nostra relazione con la Cina e, ove possibile, anche per espandere i nostri legami commerciali e di investimento. È tempo di perseguire una relazione più equilibrata con la Cina, in uno spirito di equità e reciprocità.
Nella conferenza stampa a margine dell’Assemblea nazionale del popolo (vedi sotto) il ministro degli esteri, Wang Yi, – a proposito dei dazi addizionali imposti dalla Commissione sulle auto elettriche cinesi – ha affermato che la Cina crede che le due parti abbiano la “capacità e la saggezza” per risolvere i problemi mediante consultazioni. Wang ha aggiunto che Pechino e Bruxelles dovrebbero approfondire il dialogo strategico e la fiducia reciproca e che la Cina crede che l’Europa potrà diventare un partner di fiducia.
Lo stesso Wang il 14 febbraio scorso, durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, aveva dichiarato che «La Cina ha sempre visto l’Europa come un polo importante nel mondo multipolare. Le due parti sono partner, non rivali. La Cina è disposta a lavorare con la parte europea per approfondire la comunicazione strategica e la cooperazione reciprocamente vantaggiosa».
In quella occasione il ministro degli esteri di Pechino aveva sottolineato, incontrando l’alta rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas, il sostegno della Cina a un “ruolo importante” nel negoziato sull’Ucraina per l’Ue, che Trump ha invece escluso, avviando colloqui preliminari a due Usa-Russia.
William Matthews, Senior Research Fellow nel programma Asia-Pacifico di Chatham House, ha suggerito che l’Europa coinvolga la Cina per garantire che l’Ucraina abbia voce nei negoziati.
Ciò non significherebbe allinearsi con Pechino, ma piuttosto provare a utilizzarne il ruolo di “contrappeso” rispetto alle politiche trumpiane. Insomma a Bruxelles si considera tra le varie ipotesi anche quella di “servirsi” della Cina come leva, per lanciare a Washington il messaggio che ignorare gli interessi europei ha delle conseguenze.
* da Rassegna Cina, newsletter del Centro Studi sulla Cina Contemporanea
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