Processo telematico e pochi giudici, ma Nordio vuol riaprire i tribunalini

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Nel paese dei mille campanili, sta per riaccendersi lo scontro tra campanili giudiziari. La questione della cosiddetta geografia giudiziaria è annosa e lo spartiacque – l’annus horribilis per molti – è stato il 2012. Ministra della Giustizia era Paola Severino, il governo in carica di Mario Monti. Quello della spending review, la cui falce calò anche sui tribunali con una riforma che «accorpò e ridusse» 31 tribunali e procure da nord a sud e soppresse tutte e 220 le sezioni distaccate di tribunale. Una rivoluzione dalle ricadute pesanti sui territori: giustificata dalla necessità di ridurre uffici con una mole di lavoro non sufficiente a giustificarne l’attività, a costo però di sacrificare la giustizia di prossimità. Con l’effetto indiretto ulteriore di impoverire anche gli avvocati che improvvisamente si sono ritrovati senza un tribunale nella città in cui avevano lo studio.

Oggi, il governo ha in mente una parziale restaurazione che in gergo viene descritta come la «riapertura dei tribunalini». Come ogni scelta in ambito giudiziario, la riforma ha sostenitori e avversari prima ancora che il ddl sia stato presentato e nasconde anche ragioni politiche.

Quali sedi

Che il governo abbia in cantiere un disegno di legge in questo senso è certo. L’intenzione non è ovviamente quella di riaprire i battenti di tutti i tribunali chiusi dalla riforma Severino, ma solo alcune sedi «mirate e funzionali», viene spiegato da via Arenula. A confermarlo sono stati sia il ministro Nordio che il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro che il 9 gennaio scorso ha detto in Senato che «arriverà un disegno di legge che prevede una revisione di quella che riteniamo politicamente essere stata l’infausta stagione della revisione della geografia giudiziaria, con la riapertura di alcune sedi soppresse». Con l’obiettivo di «riaccendere luci di legalità sul territorio, offrendo un servizio più vicino al cittadino».

La dichiarazione è arrivata in seguito a una interrogazione sulle prospettive di riapertura della sede politicamente forse più nevralgica in questo momento: il tribunale di Bassano del Grappa, cittadina in provincia di Vicenza che ha avuto una sua sede fino al 2012 e poi è finita accorpata al capoluogo. Oggi, sopra Bassano corre la superstrada Pedemontana Veneta – opera infrastrutturale costata svariati miliardi di euro – che ha aumentato il traffico commerciale della zona collegando le province di Vicenza e Treviso. Per questo il governatore veneto Luca Zaia ha agito in sinergia coi suoi conterranei al ministero della Giustizia (veneti sono il ministro Carlo Nordio e anche il sottosegretario Andrea Ostellari) per fare un ulteriore regalo alla sua terra, con la riapertura del tribunale di Bassano. Ribattezzato tribunale della Pedemontana, servirebbe il bacino a cavallo tra l’Alta Padovana, il Trevigiano e l’Alto Vicentino, più ampio rispetto al vecchio tribunale bassanese e destinato a coprire una area con una altissima produttività economica.

Che la decisione sia di fatto presa lo testimonia la reazione di giubilo di Zaia che ha «espresso la gratitudine del Veneto» e del segretario leghista Matteo Salvini che ha rivendicato la paternità dell’iniziativa, definendo «il nuovo tribunale della Pedemontana un risultato fortemente voluto dalla Lega» e «un’altra promessa con i veneti che abbiamo mantenuto». Veneti che al più tardi nei primi mesi del 2026 andranno al voto per eleggere il successore di Zaia.

Passato oltre un mese, il ddl non ha ancora visto la luce ma ci sono state ulteriori conferme da fonti governative che gli uffici siano al lavoro sul fronte ministeriale e anche su quello parlamentare, visto che ha completato i lavori una commissione ristretta sulla geografia giudiziaria. Ancora incerto dentro la maggioranza se l’iniziativa sarà del governo o del parlamento, il testo dovrebbe arrivare dopo la metà di marzo e non riguarderà solo Bassano, ma anche altre sedi.

Le mobilitazioni sotterranee infatti sono state moltissime, per perorare la causa di altri tribunali soppressi. All’ordine del giorno c’è anche la riapertura di un tribunale calabrese: «Sarà preso nella massima considerazione il ripristino, in Calabria, del circondario di Rossano o l’istituzione di un nuovo tribunale nella medesima area territoriale del Comune di Corigliano-Rossano, in provincia di Cosenza», ha infatti assicurato in gennaio Delmastro. In discussione, inoltre, c’è anche la riapertura di un ufficio giudiziario in Puglia e uno in Piemonte. Dovrebbero essere salvati, dopo l’ennesima proroga nel decreto Milleproroghe (confermata anche quest’anno), anche gli uffici giudiziari abruzzesi di Avezzano, Lanciano, Sulmona e Vasto e delle isole minori, che sono da anni appesi all’incertezza che ora la maggioranza vorrebbe sciogliere.

Favorevoli e contrari

L’interrogativo, come sempre, però, è uno solo: dove si trovano i soldi? Secondo fonti ministeriali ci dovrebbero essere delle risorse da spendere per la riforma, così da scongiurare l’ennesima riforma della giustizia a costo zero. Tuttavia non sarà facile perché, come ha dimostrato la legge di Bilancio, le risorse sono poche se non nulle. E, come sempre quando si tratta di riforme che toccano interessi territoriali, lo scontro tra favorevoli e contrari è pronto ad accendersi e rischia di essere trasversale anche a livello politico.

Da una parte ci sono i magistrati, prevalentemente contrari. Il perché lo aveva spiegato su Domani l’ex procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, quando l’ipotesi delle riaperture era stata avanzata: «Oggi abbiamo 158 tribunali: 58 sono mini-tribunali con meno di 20 magistrati, di questi 12 sono micro-tribunali con meno di 10 magistrati. E’ stato calcolato che tribunali con meno di 20 magistrati non sono in grado di garantire efficienza, ed entrano in crisi quando sopravvengono emergenze». Anche la corrente conservatrice di Magistratura indipendente è contraria: «Creerebbe sacche di inefficienza», le piccole realtà andrebbero «accorpate, creando uffici giudiziari di maggiori dimensioni e semplificando al massimo il sistema di funzionamento degli uffici».

In particolare la questione veneta ha acceso gli animi anche tra gli avvocati: i presidenti degli ordini Padova, Francesco Rossi, Vicenza, Alessandro Moscatelli e Treviso, Diego Casonato, hanno espresso la loro contrarietà al nuovo tribunale: «I tribunali di dimensioni estremamente ridotte sono i luoghi in cui più frequentemente si manifesta l’autoreferenzialità e il protagonismo», hanno scritto. L’avvocatura diffusa, che gravita su Bassano e Cittadella per esempio e deve spostarsi a Vicenza o Padova, è invece favorevole e considera innovativa la visione di ritrovare un ufficio giudiziario di prossimità che copra un’area con una grande produttività economica. «Necessario per una popolazione di 500mila abitanti che tocca tre province», ha detto il sindaco di Bassano, Nicola Finco, la cui amministrazione ha speso 12 milioni di euro per riattivare lo stabile già esistente e metterne a disposizione altri quattro a supporto. Un sospiro di sollievo lo tirerebbero anche gli avvocati abruzzesi, da anni appesi alle proroghe.
Quel che è certo è che, rispetto al 2012 in cui la soppressione delle piccole sedi è avvenuta, molte cose sono cambiate. Una su tutte la digitalizzazione del processo, che nel civile è ormai rodata e con un rito sempre più cartolarizzato e invece nel penale è ferma al palo dei malfunzionamenti dell’applicativo ministeriale App. Tradotto, secondo i contrari alle riaperture: la giustizia degli uffici fisici starebbe progressivamente diventando sempre meno centrale e le poche risorse a disposizione andrebbero spese diversamente.

Un altro dato oggettivo è che, nonostante gli annunci ministeriali e la promessa di una completa copertura entro il 2026, ad oggi la magistratura è ancora sotto organico di circa il 20 per cento. Dunque spostare giudici e pm da uffici già in debito di personale in altre sedi di nuova apertura non farebbe altro che mostrare che la coperta è troppo corta. Senza contare che oggi la giustizia va sempre più nella direzione di creare sezioni specializzate e non giudici tuttofare. Il futuro, secondo i detrattori della riforma, sono infatti le specializzazioni che garantiscono efficienza e qualità più di una generica giustizia di prossimità fatta di piccoli uffici in debito di personale. Questa, del resto, era stata anche la tesi della ministra Severino nel 2012, quando aveva spiegato che «si è cercato un punto di equilibrio per assicurare la copertura dell’amministrazione della giustizia sull’intero territorio».

Paradossalmente, la questione apre divisioni anche nella maggioranza tra gli esperti di giustizia. Il partito più convinto della necessità è la Lega, che da tempi non sospetti vorrebbe ragionare anche della redistribuzione delle Corti d’Appello: la Sicilia ne ha ben quattro, il Veneto solo l’ingolfatissima Venezia, con Verona che reclama un tribunale di secondo grado. «La giustizia di prossimità è fondamentale soprattutto per il settore civile, è una esigenza per i cittadini. Inoltre, così si ridurrà l’ingolfamento degli uffici più grandi», è il ragionamento. Resistenze, invece, si incontrano soprattutto in Forza Italia, dove Pierantonio Zanettin – avvocato veneto – è contrario al tribunale della Pedemontana, che ha definito «un tribunalino nato morto e ammazzerebbe anche contemporaneamente il tribunale di Vicenza». Insomma, quando il ddl approderà in parlamento, l’effetto sarà quello di un nuovo big bang che agiterà anche il centrodestra.

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