Effettua la tua ricerca
More results...
“ Oggi è una nuova pagina della storia della Siria, dove sostituiamo l’ingiustizia con la giustizia… e la sofferenza con la misericordia”, ha dichiarato il presidente siriano Ahmad Sharaa (noto anche come Abū Muḥammad al-Jawlānī) al momento della firma del tanto atteso “Annuncio costituzionale”. Il testo dell’annuncio, composto in 44 articoli, è stato letto alla presenza di Sharaa nel palazzo presidenziale. Tra i vari punti, si stabilisce che la giurisprudenza islamica rimane una delle fonti del diritto, così come si conferma che l’Islam rimane la religione del capo di Stato. Nella dichiarazione si stabiliscono, inoltre, il rispetto dei diritti di libertà di opinione ed espressione, di pari opportunità tra tutti i cittadini, di garanzia delle specificità delle varie comunità siriane, del pieno rispetto dei diritti sociali, economici e politici delle donne. Subito è arrivato il comunicato dell’amministrazione guidata dai curdi nel nord-est della Siria che ha criticato la dichiarazione costituzionale, annunciata dal governo ad interim, affermando che non riflette le diversità del Paese.
Intanto Israele bombarda Damasco. L’obiettivo del raid sarebbe un centro di comando della Jihad islamica palestinese nella capitale siriana.
vigili del fuoco lavorano sul sito di un attacco missilistico israeliano a Damasco, in Siria (AP Photo/Omar Sanadiki)
La diversità di cui parla l’amministrazione curda è l’anima di questo Paese. E soprattutto bisogna capire come potranno convivere queste diversità.
La Siria, situata nel cuore del Medio Oriente, è sempre stata un crocevia di civiltà, culture e interessi internazionale strategici. La sua posizione geografica – confina con Turchia, Iraq, Giordania, Israele e Libano – l’ha resa un terreno di scontro tra poteri locali e influenze esterne. Il Paese governato con il pugno di ferro dalla famiglia Assad a partire da Hafez, salito al potere nel 1970 che consolidò il controllo attraverso una repressione brutale, come il massacro di Hama nel 1982 contro i Fratelli Musulmani, che causò decine di migliaia di morti, e un sistema di clientele che cooptava élite di diverse comunità.
Stessa metodologia ereditata dal figlio Bashar insediatosi nel 2000 alla morte del padre e che, se possibile, è stato più cruento, aumentando le attività illegali da cui la famiglia avrebbe tratto enormi benefici finanziari come per esempio il traffico di “captagon”, per tutti la “cocaina dei poveri” o “droga dell’Isis”, esplosa durante la guerra civile, trasformando il Paese in un narco-Stato. Si stima che la Siria producesse l’80% dell’offerta globale, con un giro d’affari annuo di miliardi di dollari (oltre 10 miliardi secondo alcune stime). Il regime, in particolare tramite la Quarta Divisione dell’esercito guidata dal fratello di Bashar, Maher al-Assad, usava i proventi per finanziare le sue operazioni, aggirando così le sanzioni internazionali. La droga veniva smerciata soprattutto verso l’Arabia Saudita e altri Paesi del Golfo, spesso nascosta in spedizioni di frutta, mobili o giocattoli.
Alla caduta del regime le nuove autorità siriane hanno sequestrato e distrutto enormi scorte di Captagon – come i 100 milioni di pillole bruciate a gennaio 2025 vicino a Latakia – per segnare una rottura con il passato e contrastare il narcotraffico. Tuttavia, le reti di contrabbando, radicate anche in Libano e Giordania, restano.
Le autorità siriane incendiano una grande scorta di droga con pillole di captagon (Afp)
Nel 2011, anno della Primavera Araba, le proteste pacifiche contro il regime sono state soffocate nel sangue, dando il via a una guerra civile che ha causato oltre mezzo milione di morti e milioni di sfollati. Sostenuto da Russia e Iran, Bashar ha usato armi chimiche e torture di massa per mantenere il potere. Crimini che hanno trovato nel Caesar Syria Civilian Protection Act, noto come Caesar Act, la loro definizione seguita da una legge statunitense entrata in vigore il 17 giugno 2020, firmata dal presidente Donald Trump nel dicembre 2019 come parte del National Defense Authorization Act (NDAA) per il 2020. Prende il nome da “Caesar”, un fotografo militare siriano che nel 2013 fuggì dalla Siria con oltre 53.000 immagini che documentavano torture e atrocità commesse dal regime contro prigionieri civili. L’obiettivo dichiarato della legge era di punire Assad e il suo governo per crimini di guerra e spingere verso una soluzione politica del conflitto siriano, in linea con la Risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e ha prodotto sanzioni, economiche, primarie e secondarie verso il regime: sanzioni che se pur prorogate fino al 2029 con la caduta di Assad sono state sospese.
Spigazione del Caesar Protection Act (credits @thenewarab)
Le presenze internazionali
La Russia, con la sua base a Tartus, unico porto russo nel Mediterraneo, e l’aeroporto militare di Hmeimim. Per Mosca determinanti per la sua presenza nell’area tanto da appoggiare, anche in cambio di gas e petrolio, incondizionatamente Bashar al Assad nella sua repressione della guerra civile, attraverso bombardamenti. Infatti secondo il Syrian Observatory for Human Rights (SOHR), entro aprile 2018 i raid russi avevano ucciso oltre 7.700 civili, di cui circa un quarto bambini, oltre a 4.749 combattenti ribelli e 4.893 membri dell’ISIS. Tra il 2015 e il 2019, si stima che le campagne aeree russe abbiano causato circa 18.150 morti, di cui 8.000 civili. Oltre ad avere avuto un ruolo fondamentale nella distruzione di Aleppo dove, specialmente durante l’offensiva del 2016, quando i bombardamenti russi e siriani hanno raso al suolo quartieri ribelli, colpendo infrastrutture civili come ospedali e scuole. Rapporti di organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International hanno definito molti di questi attacchi crimini di guerra per la loro natura indiscriminata e per l’uso deliberato di tattiche come il “double-tap” (doppio colpo per colpire soccorritori) e la distruzione di strutture sanitarie.
Guerra civile siriana – Aleppo 2016 (Getty)
L’Iran ha visto nella Siria un pilastro della sua “mezzaluna sciita”, un corridoio d’influenza che ha collegato Teheran a Hezbollah in Libano. Durante la guerra, Teheran ha fornito truppe, milizie (come i Pasdaran e combattenti afghani sciiti), armi e finanziamenti per tenere Assad al potere. L’obiettivo era strategico: mantenere una linea di rifornimento per Hezbollah e un avamposto contro Israele e Arabia Saudita. La presenza iraniana in Siria, però, ha spesso creato tensioni con la Russia, che preferiva un controllo più esclusivo su Damasco.
La Turchia di Erdoğan ha avuto un ruolo complesso: inizialmente ha sostenuto i ribelli anti-Assad (inclusi gruppi islamisti) per abbattere il regime e limitare l’autonomia curda al confine. Dopo il 2016, però, Ankara ha negoziato con Russia e Iran (tramite il processo di Astana) per stabilizzare zone d’influenza nel nord della Siria, come Idlib e Afrin, mirando a contenere i curdi del PYD/YPG, visti come un’estensione del PKK. La Turchia ha ospitato anche milioni di rifugiati siriani, usandoli come leva politica con l’UE.
Riad, insieme a Qatar ed Emirati, ha finanziato e armato gruppi ribelli sunniti per contrastare l’asse sciita Iran-Assad-Hezbollah. L’obiettivo era indebolire Teheran e installare un governo amico a Damasco. Tuttavia, dopo il 2015, il sostegno si è ridotto per divergenze tra i Paesi del Golfo e per il crescente peso di Russia e Iran.
Israele ha mantenuto una posizione pragmatica: non ha mai appoggiato apertamente Assad, ma ha tollerato il suo regime come un “male conosciuto” rispetto all’incognita di un governo islamista. Durante la guerra, ha condotto centinaia di raid aerei contro basi iraniane e convogli di Hezbollah in Siria, per impedire il trasferimento di armi avanzate al gruppo libanese. E con la caduta del regime Israele ha rafforzato la sua presenza nelle Alture del Golan, nella zona demilitarizzata (UNDOF) tra le due parti dopo la Guerra del Kippur e che nel 1981 Israele ha annesso unilateralmente. Per l’Onu è territorio siriano occupato. Ma dopo la caduta del regime, Israele ha più volte attaccato Damasco sempre per “annientare i gruppi jihadisti palestinesi”.
La Cina ha avuto un ruolo marginale, limitandosi a un sostegno politico ad Assad all’ONU (veto su risoluzioni contro Damasco) e a investimenti simbolici nella “Via della Seta”. Pechino mirava a mantenere relazioni con un governo stabile per futuri progetti economici, senza però impegnarsi militarmente.
Tartus naval base (© Satellite image ©2025 Maxar Technologies.)
I poteri locali e il quadro etnico religioso
La Siria è caratterizzata da una straordinaria diversità etnico religiosa:
Sunniti: maggioranza della popolazione (circa 74%), hanno guidato la ribellione contro il regime alawita di Assad, con gruppi come HTS in prima linea.
Alawiti: minoranza sciita (circa 10-12%), base del potere degli Assad, concentrati nelle aree costiere (Latakia, Tartus) deve negli ultimi giorni ci sono stati scontri tra le milizie dell’attuale governo e la minoranza con oltre mille morti. E oggi la minoranza teme ritorsioni e vendette.
Curdi: circa il 10% della popolazione, controllano il nord-est (Rojava) tramite le Forze Democratiche Siriane (SDF), sostenute dagli USA, ma osteggiate dalla Turchia e che hanno firmato un accordo con il nuovo governo siriano nato dopo la caduta di Assad.
Drusi: concentrati nel sud (Sweida), circa il 3%, hanno oscillato tra neutralità e opposizione al regime ed appoggiati apertamente da Israele. I drusi israeliani si definiscono spesso “arabi solo per lingua”, distinguendosi dai musulmani, mentre nel Golan prevale un’identità siriana. La loro posizione tra Israele e Siria è delicata: fedeli a Israele quando conviene, ma gelosi della propria autonomia culturale.
Cristiani: circa il 5-10% pre-conflitto (ridotti al 2-3% attuale dall’esodo durante la guerra civile) sparsi in varie città come Aleppo, Homs e Damasco, secondo alcuni protetti dal regime in cambio della lealtà incondizionata. Durante la guerra civile, molti cristiani hanno sostenuto Assad, vedendolo come baluardo contro gruppi jihadisti come l’ISIS e Jabhat al-Nusra, che hanno perseguitato le minoranze religiose.
A questi gruppi principale si aggiungono turcomanni, armeni e assiri che contribuiscono alla complessità etnica.
Ed è su questa scacchiera etnica, religiosa, internazionale che si giocano le mosse per la riunificazione del Paese. Le “Sirie” esistenti riusciranno ad unirsi e a superare veti incrociati, rancori, impulsi di vendetta? O ci troveremo di fronte ad una Siria divisa per zone di influenza così come è stato per l’Iraq post 2003 o per la Libia post Gheddafi con conflitti locali destinati a perdurare?
Violenti scontri a Latakia (Getty)
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link