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Belfast, seconda metà degli anni ’90. Vernon Ringland, membro dello Youth Council of Northern Ireland – istituzione che promuove lo sviluppo delle politiche giovanili – ha ben chiara la necessità di rafforzare, nelle nuove generazioni, i legami relazionali e il senso di comunità, messi a dura prova dagli attentati e dalla tensione sociale degli anni precedenti. Si pone un duplice obiettivo, allora: mostrare ai ragazzi, ai cattolici e ai protestanti, che sono parte della stessa comunità, che promuovere il bene comune significa innanzitutto accettare la diversità e trasformarla in una possibilità di crescita per tutta la società. E per concretizzare il suo proposito, nel gennaio del 1999, con il supporto della Fondazione di Comunità Nordirlandese, crea la prima YouthBank, una «banca dei giovani per i giovani». Il meccanismo è semplice, ma di grande efficacia.
Grazie al sostegno di Fondazioni, Enti, Associazioni, la YouthBank mette a disposizione di un gruppo di giovani “YouthBankers” dei contributi per promuovere bandi e poi finanziare progetti di carattere sociale, culturale, artistico – presentati e poi realizzati da altrettanto giovani “YouthPlanners” – che abbiano come obiettivo comune quello di far crescere e migliorare le comunità locali. La prima iniziativa sostenuta dalla YouthBank di Belfast è un finanziamento di mille sterline per un corso di linguaggio dei segni. Il successo è tale che, in breve tempo, le YouthBanks si diffondono rapidamente prima nelle isole britanniche e poi nel resto del mondo. Oggi, la YouthBank International ha raggiunto 37 Paesi e ha dato vita a oltre 320 YouthBanks, che hanno già sostenuto più di 15mila progetti ed erogato più di 7 milioni di sterline. Una vera e propria rete globale che mira a coltivare una nuova generazione di cittadini attivi e impegnati e incoraggia i giovani, valorizzandone il talento e le capacità, a diventare agenti di cambiamento positivo nelle loro comunità.
In Italia, la prima YouthBank nasce nel 2007 a Como, su iniziativa della Fondazione Provinciale della Comunità Comasca, grazie al sostegno del Fondo De Orchi e a risorse di Fondazione Cariplo destinate al territorio della provincia di Como. Oggi, le esperienze attive in Italia sono diverse. Fra le principali, ci sono le YouthBanks che fanno riferimento alla Fondazione di Comunità di Mi-lano, alla Fondazione Mirafiori di Torino, alla Fondazione della Comunità di Monza e Brianza, alla Fondazione Comunitaria della Valle D’Aosta e alla Fondazione di Piacenza e Vigevano. E proprio come accade nelle Fondazioni di Comunità – nate 25 anni fa con lo scopo di migliorare la qualità della vita della comunità presso la quale sorgono – anche nelle YouthBanks l’attenzione si focalizza sulle necessità più vicine. « Il nostro obiettivo è quello di promuovere, anche fra i più giovani, la cultura del dono. Far capire loro il valore della generosità, che porta frutti e benefici non solo a chi ha più bisogno ma a tutta la comunità», sottolinea Angelo Porro, Presidente della Fondazione Provinciale Comunità Comasca.
«In un primo momento, era il Consiglio di amministrazione della Fondazione a valutare e poi a finanziare i progetti. Da una decina d’anni, però, tutto è nelle mani dei ragazzi, che hanno un’età compresa fra i 16 e i 25 anni. Dopo aver seguito un corso di formazione, agli YouthPlanners spetta il compito di presentare progetti che “intercettino” i bisogni della comunità in cui vivono. Le idee sono sempre tante: uno spazio da recuperare per incontrarsi e studiare insieme; un luogo dove poter coltivare la passione per la musica, l’arte, il teatro; un parco da riportare a nuova vita; un’associazione da sostenere».
«Tocca poi agli YouthBankers – prosegue Porro – analizzare i progetti e scegliere quali finanziare. Come Fondazione ogni anno mettiamo a disposizione 150.000 euro da destinare a progetti di utilità sociale, che però non vengono mai finanziati completamente. Una parte, seppur piccola, dei fondi necessari a coprire i costi, infatti, deve essere raccolta direttamente dai ragazzi. Perché vogliamo che non imparino solo a gestire il denaro a loro disposizione ma anche a fare fundraising sul territorio, coinvolgendo la comunità e quanti beneficeranno di ciò che verrà realizzato».
«Se volessimo usare una definizione “importante”, potremmo dire che puntiamo a creare i “filantropi del futuro” – aggiunge ancora Porro –. Si potrebbe anche dire, però, più semplicemente, che desideriamo far sì che anche i più giovani abbiano attenzione e sensibilità per ciò che sta loro attorno. Cominciare dai ragazzi a promuovere la cultura del dono, come dicevo all’inizio, per migliorare la qualità della vita della comunità di cui si è parte». Ed è proprio questa volontà di “restituire” quanto ricevuto che ha spinto Beatrice, studentessa universitaria di International Economics all’Università degli Studi di Milano Bicocca, ad avvicinarsi alla YouthBank Adda Martesana promossa da Fondazione di Comunità di Milano. «Provo affetto per il mio territorio e credo sia giusto imparare a prendersene cura sin da ragazzi. I luoghi dove sono cresciuta e dove ancora vivo mi hanno dato tanto. Poter in qualche modo ricambiare, “rendere indietro” tutto ciò che ho “assorbito” negli anni della mia formazione, e creare qualcosa di utile e positivo per la mia comunità, mi sembrava una bella opportunità da cogliere».
«C’era un’altra cosa, poi, in questo progetto, che mi interessava: imparare come gestire il denaro per fare del bene – continua Beatrice –. Una sorta di “sfida”, che mi permettesse di mettermi in gioco in una cosa solitamente appannaggio degli adulti. E ancora, la possibilità di conoscere altri ragazzi con esperienze e storie diverse dalla mia. Lavorare tutti insieme e confrontarci sulle nostre idee mi ha arricchito come persona e sono certa che questa esperienza mi sarà utile anche in futuro, perché mi ha insegnato il valore della collaborazione e della responsabilità».
«È stato bello raccogliere tanti progetti – sottolinea ancora Beatrice –. Uno, in particolare, mi aveva molto colpito, perché si proponeva di offrire un supporto ai ragazzi italiani di seconda generazione per interfacciarsi con il mondo universitario, dalla conoscenza delle facoltà alla gestione dei passaggi burocratici necessari all’iscrizione. Ho pensato che potesse davvero avere un impatto positivo e facilitare un po’ le cose agli studenti che aveva come target. Avrei voluto poter sostenere tutte le proposte ricevute… Seppur non facile, una scelta andava fatta però. E alla fine, insieme agli altri YouthBankers, ci siamo sentiti davvero orgogliosi di aver fatto sì che alcuni di quei progetti diventassero realtà».
Anche per Ohri, al primo anno di Design della Comunicazione al Politecnico di Milano, l’esperienza come YouthBankers è un’opportunità per fare qualcosa di concreto per Como, la città in cui vive. «Sono una persona molto attiva, mi piace mettermi in gioco nelle cose in cui credo e ho pensato subito che questo progetto fosse perfetto per me – racconta –. Ho partecipato al programma di formazione mentre ero ancora al liceo e poi è iniziato il mio “lavoro” come YouthBanker. Come prima cosa, devi capire quali sono i bisogni di chi ti sta accanto: dei tuoi coetanei certo, ma, più in generale, della tua comunità, dei suoi luoghi, dei suoi bambini, dei suoi anziani. Poi devi redigere un bando di priorità come riferimento per gli YouthPlanners per presentare i progetti, fra i quali poi dovrai sceglierne solo alcuni, basandoti su criteri concreti, ma anche sulla tua percezione della loro effettiva utilità e validità. E ancora, devi contribuire a raccogliere i fondi che renderanno quelle idee realtà e poi attribuirli a chi lavorerà perché ciò avvenga».
«In tutto questo percorso c’è responsabilità, fiducia e collaborazione – prosegue Ohri –. La responsabilità che comporta dover gestire del denaro nel modo giusto, senza sperperarlo ma riuscendo a valorizzarlo per dare voce e spazio a chi ne ha più bisogno. La fiducia che passa di persona in persona. Ci si deve fidare gli uni degli altri e credere, tutti insieme, in qualcosa che possa avere un impatto positivo e costruttivo sulla comunità. La collaborazione con tante persone, diverse da te, con cui condividi tempo e impegno. È un confronto che fa crescere davvero tanto».
«La civiltà è fatta di tante cose ma a mio parere la prima, in assoluto, è la relazione con gli altri. La capacità di essere disponibili, guardare a chi ci sta accanto, aiutarsi e sostenersi. Ed è proprio questo ciò che imparano i nostri ragazzi: aprirsi agli altri e all’impegno sociale – riprende Porro –. Lavorano insieme, pensano insieme, progettano insieme. Fanno l’esperienza, positiva, dello stare insieme per il bene comune, per costruire qualcosa non solo per sé, ma anche per gli altri».
«Sono giovani generosi, che sentono il bisogno di non chiudersi fra le pareti di casa ma di uscire nel mondo e di fare qualcosa di positivo, di portare nuova linfa alla loro comunità, di lasciare un segno che possa cambiare in meglio le cose – conclude Porro –. E sanno farlo con gioia ed entusiasmo, scoprendo anche il grande valore della solidarietà e della collaborazione fra generazioni, diverse ma unite da un obiettivo e da una visione comuni».
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