Alganesh Fessah. Una eroina eritrea per i profughi

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La presidente della organizzazione “Ghandi Charity” in dialogo con gli universitari a Milano ha spiegato quanto sia importante oggi non lasciarsi contagiare dall’indifferenza. Da diversi anni continua a salvare vite dal Corno d’Africa – 750 persone solo nel Sinai – e anche a sostenere l’ingresso di studenti rifugiati dall’Etiopia in Italia perché possano finire gli studi ed essere integrati nella vita universitaria.

Ha radici eritree e decenni di residenza in Italia, la dottoressa Alganesh Fessah che pratica da anni la medicina ayurvedica e ha fondato a Milano l’organizzazione Ghandi Charity per la protezione e l’assistenza delle popolazioni migranti vulnerabili. L’hanno chiamata “doctor Alganesh” i migranti che hanno avuto la fortuna di incontrarla lungo la rotta. Il suo impegno a favore dei corridoi umanitari in Italia e Nord Africa, nei campi profughi lungo il confine tra Etiopia ed Eritrea, e il suo storico intervento per il rilascio dei prigionieri nella regione del Sinai in Egitto, oggi riporta l’attenzione sull’urgenza di allargare i corridoi umanitari e soccorrere le persone più vulnerabili in fuga da violenze, torture, commercio di organi. La sua preoccupazione più grande va ai giovani che non hanno futuro nei loro paesi in guerra, e sono facili prede di mercanti di vite umane. Eppure Alganesh crede molto nella loro voce, nella forza della speranza. «Vedo nei giovani la voglia di fare, di cambiare, di esprimersi e di manifestare per dire no alla guerra in Palestina, in Giordania… no a tutte le guerre. Perché – ricordate – che dove c’è una guerra, c’è traffico di esseri umani. Prima ancora delle armi. Io ne ho visti tanti di trafficanti, a distanza, li conosco bene».


Il mercato di organi in aumento

La sua storia, raccolta nel libro “Doctor Alganesh. Donna di speranza” scritto dal giornalista di Avvenire Paolo Lambruschi, è costellata di vite salvate ma anche di ricordi indelebili delle atrocità che avvengono tra Egitto, Etiopia ed Eritrea. E dai corpi più indifesi tra le persone in fuga, quelle delle madri.
«Una donna che mi ha segnato molto – ha raccontato con la voce rotta dalla commozione ai presenti – una donna incinta di 9 mesi che stava cercando di attraversare il confine. Le hanno sparato alle spalle. Metà corpo era in Egitto e la testa oltre la rete del confine in Eritrea. Il trafficante è scappato. Quando abbiamo sentito gli spari siamo usciti, abbiamo recuperato il corpo di questa donna e l’abbiamo fatta partorire, il bambino era vivo ma è nato con le braccia conserte. Tagliato il cordone ombelicale, ha aperto le braccia come se dicesse: “guarda quanto è crudele questo mondo!”».
È proprio per soccorrere donne e bambini che ha fondato la ONG perchè mentre il governo dell’Egitto sta cercando di affrontare il problema dei bambini soldato nella penisola del Sinai, Alganesh non si stanca di raccontare che in quella terra a confine tra Africa ed Asia, passaggio per fuggire da Etiopia, Sudan – e di recente anche da Gaza – i trafficanti hanno la meglio. Di fronte al flusso dei profughi in fuga, la prima richiesta dei trafficanti è «”Quante persone mi puoi vendere? quanti organi posso comprare?”. Un mercato quello degli organi che si sta espandendo terribilmente. Ci sono avvoltoi che si preparano, prima delle armi, per andare a prendere ragazzi e ragazze giovani perché più forti da sfruttare».
Ma di fronte alle atrocità che l’hanno portata a lasciare un lavoro in una multinazionale per dedicare la vita a soccorrere persone indifese ha spiegato chiaramente che oggi più che mai non ci si deve scoraggiare. E il suo sguardo determinato fa trapelare senza ombre questa scelta decisiva. «Nella vita io mi sono ispirata a mia madre che fin da quando eravamo piccoli ci diceva “se una persona è nel bisogno non girare la testa dall’altra parte perché anche a te potrebbe capitare di aver bisogno. Il mio mantra è infatti “ce la farò”: non posso che guardare in faccia la realtà e fare la mia parte. Non cadete nell’indifferenza».
Per questo è stata la voce dei bambini arruolati a forza in Eritrea e ha rischiato la vita per liberare i profughi del Corno d’Africa rapiti nei deserti del Sahara e del Sinai e imprigionati e torturati per venderli come merce.


Corridoi umanitari e universitari

«Finché i corridoi umanitari sono di pochi numeri dovremo trovare altre soluzioni per salvaguardare le persone fragili – denuncia Alganesh. I campi profughi sono ancora tantissimi e pieni zeppi di persone con gravi vulnerabilità. Basti pensare agli oltre 146mila profughi eritrei secondo i dati Unhcr scappati in Etiopia. Specie a quelli maggiormente in pericolo nella regione del Tigray, al confine più a nord dell’Etiopia. «Immaginate un giovane che non ha futuro, uno come voi che è bloccato da due governi. Il governo eritreo che li cerca per metterli in prigione o per ucciderli. Dall’altro il governo che li ospita. Se non hai uno sponsor dall’estero che può pagare per te non puoi studiare, non puoi lavorare. Nel campo profughi avviene come una morte lenta, non la auguro a nessuno. I suoni i profumi della tua casa, gli affetti. Ti manca tutto. Chiunque può entrare in un campo in Etiopia o in Libia e ingannare chi vive lì. Le persone nei campi sono in balìa di tutti, in pericolo in ogni momento».

Il 2024 è stato l’anno record di profughi. Oltre 200mila arrivi tra cui 46.200 minori arrivati in condizioni terribili. E per questo i corridoi umanitari sono una risposta essenziale che a detta dell’attivista eritrea vanno ampliati in Europa. Sono frutto di accordi tra Ministero dell’Interno e degli Esteri in Italia e UNHCR ma anche frutto di una sinergia con organizzazioni umanitarie ben radicate nei territori dalla Comunità di Sant’Egidio alla Caritas, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese, la Comunità Papa Giovanni XXIII. I governi garantiscono permessi di ingresso ai rifugiati in base ad un accordo europeo: vengono selezionati nei paesi di origine o di transito (Libano, Etiopia, Libia, ecc.), dando priorità a persone vulnerabili come famiglie fragili con bambini, anziani, malati e vittime di violenza. Una volta arrivati in Europa ricevono accoglienza, assistenza legale e percorsi di integrazione, inclusi corsi di lingua e supporto abitativo e lavorativo per un anno. Complessivamente con i corridoi umanitari, dal febbraio 2016, sono giunti in Europa circa 8mila rifugiati. 1.146 sono le persone accolte dalla Chiesa in Italia (di cui 400 minori) provenienti da Eritrea, Somalia, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Sudan, Siria, Iraq, Afghanistan, Yemen. A questi percorsi di aiuto si sono aggiunti dal 2019 anche i corridoi universitari che in sei anni, grazie alla collaborazione con Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Caritas Italiana, Diaconia Valdese, Centro Astalli- JRS Jesuit Refugee Service, Fondazione Finanza Etica, Gandhi Charity, Consorzio Communitas, hanno visto 42 università aderire al progetto. I corridoi universitari offrono oltre 250 borse di studio a rifugiati provenienti da diversi Paesi dell’Africa, tra i quali Etiopia, Uganda, Kenya, Niger, Camerun e altri.  

Alganesh è ormai un’eroina dalla parte delle donne anche in Etiopia. Grazie ad un accordo tra il governo italiano, la Conferenza episcopale italiana e la Comunità di Sant’Egidio, la sua ONG collabora con l’Ambasciata italiana di Addis Abeba, UHNCR ed altri organismi di volontariato e congregazioni religiose etiopi per permettere ai profughi provenienti dal Sud Sudan, Somalia ed Eritrea di arrivare salvi in Italia. «Raccogliamo tutti i profughi ad Addis Abeba, con le autorità locali e l’Unhcr. Spieghiamo cosa accadrà loro nel viaggio e una volta arrivati in Europa, diamo tutte le informazioni importanti per comprendere quali siano i loro diritti. Inoltre prepariamo tutta la documentazione per la loro partenza. La nostra priorità sono le madri, quelle incinte, senza marito, le donne più vulnerabili malate, le donne che hanno subìto violenze.

Io sono una donna eritrea, non posso lasciarle nelle mani dei trafficanti».

 

 



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