- L’Italia è una delle economie più sostenibili del G20 e dell’Unione Europea. Nel 2023 l’intensità di emissioni dell’economia italiana è stata di 0,12 kg CO₂e per dollaro di PIL, quasi un terzo inferiore alla media del G20 (0,32 kg CO₂e/$). Nonostante sia la seconda manifattura dell’Unione Europea, l’Italia occupa solo il diciassettesimo posto per intensità di emissioni.
- L’intensità delle emissioni del comparto manifatturiero è calata del 17,1% tra il 2014 e il 2023 e risulta inferiore del 5,1% rispetto alla media dell’UE e tra le più basse d’Europa. Nonostante l’ampia diversificazione dell’industria italiana circa il 71,5% delle emissioni della manifattura italiana proviene da quattro settori principali: minerali non metalliferi (23,8%), derivati del petrolio (19,0%), prodotti chimici (14,9%) e metallurgia (13,8%). Questi settori rappresentano circa il 15% del valore aggiunto manifatturiero.
- Esiste un’Europa a due velocità” per quanto riguarda l’adozione delle pratiche circolari. Dove i paesi, appartenenti alla cosiddetta “Vecchia Unione” (Germania, Belgio, Paesi Bassi, Francia, Spagna e Italia) guidano la transizione. Questa disparità richiede maggiore coordinamento e supporto a livello europeo per garantire una transizione circolare omogenea.
- Uno dei punti di forza della circolarità del sistema industriale si può riscontrare nel basso uso di risorse per la produzione. L’economia italiana registra una produttività delle risorse di 3,6 €/kg, superando nettamente la media UE (2,2 €/kg). La produttività energetica è pari a 11,80 € per kilogrammo equivalente di petrolio (kgoe), superiore a Francia (10,23) e Spagna (9,94).
- Siamo inoltre fra i leader europei nella gestione dei rifiuti: nel 2022, il paese ha riciclato il 53,3% dei rifiuti urbani, superando la media UE del 49,1%. Settori chiave come il riciclo degli imballaggi in plastica (54,6%), vetro (80,8%) e metalli (78,0%) mostrano performance superiori alla media europea.
- Il valore aggiunto dell’economia circolare rappresenta il 2,7% del totale in Italia, superiore alla media UE (2,3%) e maggiore anche degli altri grandi paesi europei. Alti anche i risvolti occupazionali, con oltre 613 mila addetti nel settore.
- Nonostante le ottime performance, l’Italia dovrebbe aumentare la sua capacità di innovazione. Difatti, il numero di brevetti legati al riciclo e all’economia circolare (0,36 brevetti per milione di abitanti) è inferiore a quello di Germania, Francia e Spagna. Per stimolare una crescita sostenibile e competitiva, occorrono politiche mirate, piani per aumentare gli investimenti e maggiore collaborazione pubblico-privato.
1. Sostenibilità dell’economia italiana
L’Italia è una delle economie più sostenibili del G20 e dell’Unione Europea. Nel 2023, l’intensità delle emissioni di gas serra (GHG) dell’Italia è stata pari a 0,12 kg di CO₂ equivalente per dollaro di PIL (kg CO₂e/$). Questo valore è nettamente inferiore alla media del G20 di 0,32 (Grafico 1), evidenziando un’efficienza superiore di quasi tre volte. Soltanto la Francia e il Regno Unito fanno registrare valori più bassi, entrambi a 0,10 kg CO₂e/$. Anche al di fuori dell’Europa, l’efficienza italiana risulta evidente. Gli Stati Uniti, pur essendo una delle economie più avanzate del mondo, mostrano un’intensità di 0,24 kg CO₂e/$. Ancora più distanti sono le economie emergenti: la Cina raggiunge 0,51, mentre il Sudafrica registra addirittura 0,61.
La manifattura italiana rappresenta un esempio particolarmente virtuoso di performance ambientale. L’intensità delle emissioni del comparto manifatturiero è calata del 17,1% tra il 2014 e il 2023 e risulta inferiore del 5,1% rispetto alla media dell’UE e tra le più basse d’Europa. Nonostante sia la seconda manifattura dell’Unione Europea, l’Italia occupa solo il diciassettesimo posto per intensità di emissioni (meglio di noi solo la Germania, se si contano solo i grandi paesi manifatturieri).
L’impegno nella riduzione degli sprechi, la scarsità di materie prime e l’ottimizzazione delle risorse anche in risposta allo shock energetico del 2022, hanno permesso al sistema industriale italiano di ridurre le emissioni in modo sostanziale. Nonostante l’ampia diversificazione dell’industria italiana, nel 2023, circa il 71,5% delle emissioni della manifattura italiana proviene da quattro settori: minerali non metalliferi (23,8%), derivati del petrolio (19,0%), prodotti chimici (14,9%) e metallurgia (13,8%). Questi settori rappresentano circa il 15% del valore aggiunto manifatturiero (Grafico 2).
Un confronto con altre grandi economie europee – Germania, Francia e Spagna – offre un quadro chiaro delle performance italiane in alcuni dei settori più emissivi (Tabella A).
Nel settore della metallurgia, l’Italia si distingue per una maggiore riduzione dell’’intensità emissiva con una variazione media annua dal 2008 al 2022 di circa il 3,6%, molto più bassa rispetto alla Francia (-1,0) mentre Spagna e Germania fanno registrare addirittura un aumento (rispettivamente +0,4 e +2,2). Performance anche positive si registrano nel settore dei minerali non metalliferi (-3,8) e della chimica (-1,2).
2. La circolarità come opportunità di sviluppo
L’economia circolare rappresenta una risposta strategica alla crescente carenza di risorse naturali e agli elevati impatti ambientali legati al modello economico lineare tradizionale, basato sullo schema “estrarre, produrre, usare e scartare”. In questo contesto, l’economia circolare punta a chiudere i cicli di vita dei prodotti, estendendone la durata e minimizzando i rifiuti attraverso pratiche come il riciclo, il riuso e la rigenerazione dei materiali.
L’importanza dell’economia circolare è ormai riconosciuta a livello globale, anche per limitare il rischio di overshoot dei limiti planetari, ovvero il superamento della capacità della Terra di rigenerare le risorse consumate. È necessario quindi accelerare la transizione da modello lineare a modello circolare per garantire la sostenibilità a lungo termine.
L’Unione Europea si è posta in prima linea con iniziative come il Green Deal Europeo e il Piano d’Azione per l’Economia Circolare, che mirano a rendere l’Europa climaticamente neutra entro il 2050 e a sviluppare un’economia a basse emissioni e ad alta efficienza nell’uso delle risorse. Il piano d’azione include misure legislative e incentivi per sostenere la transizione verso un’economia circolare e competitiva, e pone l’accento sul riuso e il riciclo dei materiali, sulla progettazione ecocompatibile e sulla promozione di modelli di business circolari.
L’Italia, che si colloca tra i leader europei e mondiali nell’adozione di pratiche circolari , ha avviato una serie di iniziative per ridurre la dipendenza dalle materie prime vergini e promuovere l’uso efficiente delle risorse. Un altro aspetto fondamentale riguarda il ruolo dell’economia circolare nel migliorare la resilienza economica, soprattutto in tempi di crisi. Alcuni studi sottolineano come una transizione verso la circolarità possa ridurre la dipendenza dalle catene di approvvigionamento globali e mitigare i rischi legati alla volatilità dei prezzi delle materie prime. In particolare, alcuni settori a più alta intensità di utilizzo di materiali potrebbero beneficiare enormemente dall’adozione di pratiche circolari, non solo in termini di riduzione dell’impatto ambientale, ma anche attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro e modelli di business più sostenibili.
Nonostante i progressi importanti intrapresi in Italia e in Europa, alcuni studi evidenziano che esiste ancora una “Europa a due velocità” per quanto riguarda l’adozione delle pratiche circolari.
Difatti, i paesi, appartenenti alla cosiddetta “Vecchia Unione” (Germania, Belgio, Paesi Bassi, Francia, Spagna e Italia) guidano la transizione. Poiché caratterizzati da un alto livello di sviluppo economico, hanno iniziato a sperimentare prima di altri le problematiche legate all’eccessiva produzione di rifiuti, all’esaurimento delle risorse e all’inquinamento e hanno quindi adottato misure per mitigare questi problemi. Al contrario i Paesi dell’Europa orientale e centrale presentano ritardi significativi, principalmente a causa delle diverse strategie economiche adottate e dai differenti livelli di sviluppo socioeconomico.
In Italia, in particolare, la pratica di economia circolare largamente più utilizzata è il riciclo. Alcuni studi dimostrano che circa il 39% delle aziende utilizza materiali riciclati, specialmente nel settore manifatturiero . Queste aziende adottano pratiche circolari come l’uso di materiali derivati da scarti industriali o da fasi post-consumo. Molte aziende, specialmente le piccole imprese non-profit, sono impegnate in attività di riutilizzo, riparazione e rigenerazione, come la raccolta e la distribuzione di cibo in eccesso o il recupero di scarti di produzione.
3. Ridurre l’uso dei materiali per la produzione
Uno dei punti di forza della circolarità del sistema industriale si può riscontrare nel basso uso di risorse per la produzione. Sicuramente influenzato anche dalla scarsa presenza di materie prime sul territorio, e quindi da un’elevata dipendenza dalle importazioni, il nostro sistema manifatturiero ha sviluppato un utilizzo più efficiente del materiale necessario per produrre. L’Italia registra una produttività delle risorse pari a 3,6 euro per kg (Grafico 3), superando nettamente la media europea di 2,2 euro per kg e risultando più efficiente di Paesi come Germania (3,0), Spagna (3,1) e Francia (3,2).
Un effetto importante di questi comportamenti è il decoupling (disaccoppiamento) tra la crescita economica e il consumo di risorse. Negli ultimi 20 anni il PIL reale italiano è cresciuto dello 0,2% in media all’anno, mentre il consumo interno di materiali è diminuito di oltre il 2,5%, segnalando quindi un disaccoppiamento assoluto. Questo fenomeno si è verificato in molti Paesi europei, ma l’Italia ha registrato uno dei migliori progressi in termini di riduzione dell’uso di risorse rispetto alla crescita economica. Si nota una tendenza rilevante nella riduzione degli sprechi anche fra le PMI. Secondo uno studio della Commissione europea, circa il 79% delle PMI italiane ha intrapreso azioni per ridurre gli sprechi e migliorare l’efficienza delle risorse, ben al di sopra della media europea (66%).
Questo miglioramento significativo della produttività delle risorse è legato anche alla produttività energetica, dove l’Italia è fra i primi posti nel panorama europeo, il migliore se si contano solo i grandi paesi manifatturieri. Nel 2023, la produttività energetica italiana ha raggiunto 11,80 euro per chilogrammo equivalente di petrolio (€/kgoe), superando la media UE di 9,84. Negli ultimi 20 anni la produttività energetica in Italia è aumentata del 36%. Ciò significa che le imprese italiane hanno migliorato notevolmente il loro processo produttivo, per renderlo sempre meno energy intensive. Queste azioni sono ancora più rilevanti nel contesto attuale dove le imprese europee, a fine 2023, pagavano prezzi del gas naturale 5 volte superiori agli USA (2,54 €/mmbtu contro i 13,11 in UE, media 2023) e prezzi dell’energia elettrica del 158% superiori. Le imprese italiane sono ulteriormente svantaggiate, difatti, la loro maggiore produttività energetica compensa parzialmente il prezzo maggiore che esse pagano per l’elettricità rispetto agli altri grandi paesi europei: +34,7% rispetto a quelle spagnole, +15,1% alle francesi e +7,3% a quelle tedesche.
4. L’importanza della gestione del rifiuto
La gestione dei rifiuti è un pilastro fondamentale del modello di economia circolare, contribuendo a ridurre la pressione sull’ambiente attraverso il riciclo e il riuso dei materiali. L’Italia, nel 2022, ha prodotto 3.212 kilogrammi di rifiuti per abitante, un valore significativamente più basso della media UE (4.991), della Francia (5.076) e della Germania (4.604) ma superiore a quello della Spagna (2.480).
Oltre a una produzione tutto sommato contenuta di rifiuti, il nostro paese si distingue nel panorama europeo per una solida performance nel riciclo di materiale, con il 53,3% del totale di rifiuti urbani che viene riciclato contro il 49,1 della media UE.
Negli ultimi anni, l’Italia ha consolidato la sua posizione fra i leader nel riciclo degli imballaggi all’interno dell’Unione Europea (Grafico 4), superando spesso le medie europee in varie categorie di materiali. Nel 2022, l’Italia ha riciclato complessivamente circa il 71,9% dei suoi rifiuti da imballaggio, ben al di sopra della media UE del 65,4%, posizionandosi come uno dei paesi più virtuosi in questo ambito. Questa performance è notevole se comparata con le altre grandi economie europee: la Spagna ha un tasso di riciclo del 69,4%, la Germania del 68,5, mentre la Francia si attesta al 67,2%.
L’infrastruttura di riciclo italiana gestisce in modo efficiente una vasta gamma di materiali, tra cui carta, plastica, metalli, vetro e legno, con tassi di recupero elevati in ogni categoria, a riprova dell’impegno del Paese verso la circolarità.
- Carta e cartone Il sistema di riciclo della carta e del cartone in Italia è supportato da un’infrastruttura ben sviluppata. Con circa 5,3 milioni di tonnellate di imballaggi di carta e cartone immesse al consumo, l’Italia ha istituito una rete di riciclo avanzata, con un tasso di riciclo pari all’80%, poco sotto la media UE dell’83,2%.
- Plastica: L’Italia produce circa 2,3 milioni di tonnellate di imballaggi in plastica e bioplastica ogni anno. La plastica rappresenta uno dei materiali più difficili da riciclare, principalmente a causa dei problemi di contaminazione e della complessità della selezione dei diversi tipi di plastica. Nonostante queste sfide, l’Italia ha compiuto progressi significativi, con un tasso di riciclo annuale per gli imballaggi in plastica del 54,6% il più alto fra i paesi UE e ben al di sopra della media UE del 40,7%.
- Vetro: Il vetro si presta particolarmente bene al riciclo poiché può essere lavorato ripetutamente senza perdita di qualità; l’Italia ha un tasso di riciclo dell’80,8%, al di sopra della media UE del 75,6%. Gli imballaggi in vetro, grazie alla sua durabilità e riciclabilità, hanno molteplici usi come nei settori alimentare, delle bevande e farmaceutico e in Italia, nel 2022, ne sono stati prodotti circa 2,8 milioni di tonnellate.
- Metalli: Anche per questi imballaggi, che comprendono sia materiali ferrosi che non ferrosi, il nostro paese presenta un tasso di riciclo di circa il 78,0%, superiore a quello UE (76,9%). La produzione italiana di imballaggi in metallo raggiunge circa 600mila tonnellate all’anno, la maggior parte in alluminio (519mila) e in misura inferiore acciaio (82mila).
- Legno: Gli imballaggi in legno, ampiamente utilizzati nei settori manifatturiero, edile e logistico italiani, riflettono l’approccio circolare forte del paese nei processi industriali. L’Italia produce circa 3,4 milioni di tonnellate di imballaggi in legno ogni anno, di cui circa il 62,8% viene riciclato, una percentuale che è quasi il doppio della media del continente (34,2), terza in UE dopo la Danimarca (87,8%) e la Spagna (80,1).
Le materie prime seconde sono quindi fondamentali per una transizione efficace verso un’economia circolare, poiché permettono ai materiali riciclati di reinserirsi nel ciclo produttivo, riducendo la dipendenza dalle materie prime vergini, di cui il nostro paese non è ricco. L’Italia ha registrato notevoli progressi nell’utilizzo di materie prime seconde, aumentando la quota di materiale riciclato reimmesso nell’economia, quasi raddoppiandolo tra 2010 e 2023 (dall’11,6% al 20,8%). Un dato molto sopra la media europea (11,8).
L’Europa ha un leggero saldo negativo con i paesi extra-Ue per quanto riguarda il commercio di materie prime seconde. Nel 2023, l’import europeo era di circa 39,8 milioni di tonnellate, contro un export di circa 39,3. Negli ultimi anni l’Italia ha avuto un export netto costantemente negativo con una notevole differenza a seconda dei materiali. In particolare, è esportatrice netta (extra-UE) di carta e cartone (+1,7 milione di tonnellate) e di plastica (+33mila), mentre è importatrice di metalli ferrosi (-347mila tonnellate.), e in maniera più contenuta di legno (-30mila tonnellate.). Per quanto riguarda invece i metalli non ferrosi si ha un saldo positivo di circa 66mila tonnellate mentre per il vetro un saldo negativo di 114mila tonnellate.
5. L’impatto economico della circolarità
Come evidenziato in precedenza, misurare il valore aggiunto (VA) generato dall’economia circolare non è un esercizio semplice, visti i numerosi aspetti del processo produttivo coinvolti e che permeano molti settori dell’economia. Le rilevazioni Eurostat permettono però di dare una fotografia abbastanza completa, seppur conservativa. Infatti, restringendo l’analisi solamente ai settori che sono direttamente coinvolti nell’economia circolare, quindi quelli del riciclo, riuso, riparazioni, noleggio e leasing, il valore aggiunto prodotto da queste attività è più alto in Italia (2,7% del valore aggiunto totale nel 2021, 43,6 miliardi di euro) rispetto alla media europea che si ferma al 2,3% e maggiore anche degli altri grandi paesi europei (Grafico 5). Il settore inoltre appare particolarmente in espansione negli ultimi anni. Tra il 2017 e il 2021, anni di non particolare dinamismo vista la crisi pandemica, il VA è cresciuto in Italia, in media, del 3,6% l’anno, rispetto all’1,2 dell’intera economia. Una dinamica simile si vede anche nella media europea, seppure con differenziali di crescita più contenuti. L’economia circolare rappresenta quindi un “settore” che corre di più, grazie anche agli investimenti importanti da parte delle aziende. Negli ultimi dieci anni di dati disponibili (2012-2021), gli investimenti privati nell’economia circolare in Italia sono poco più che raddoppiati (+50,8%), rispetto ad un aumento del 18,5% in UE.
L’Italia è il secondo fra i grandi paesi ad aver maggiormente incrementato gli investimenti, secondo solo alla Germania (+61,2%) e davanti a Spagna (+46,4) e Francia (+2,3).
Quest’accelerazione del settore ha portato anche a significativi positivi impatti occupazionali. In Europa gli occupati legati a settori dell’EC sono circa 4,3 milioni, con una crescita del 5,1% fra il 2017 e il 2021. In Italia oltre 613mila (+3,6%), pari al 2,4% del totale occupati. Il settore del riciclo, del riuso e della riparazione rappresenta una parte importante di questa occupazione, evidenziando il potenziale dell’economia circolare nel creare posti di lavoro locali e sostenibili.
Tuttavia, rimangono invece passi avanti da fare sul lato dell’innovazione. Guardando ai brevetti depositati legati al riciclo o alle materie prime seconde, l’Italia è ultima fra i grandi paesi europei con 0,36 brevetti ogni milione di abitanti, dietro Francia (0,40), Spagna (0,45) e Germania (0,55).
6. Quali invece i possibili impatti negativi e come superarli
L’economia circolare è spesso descritta come una soluzione intrinsecamente sostenibile, poiché mira a chiudere i cicli di vita dei prodotti e dei materiali, riducendo la necessità di nuove materie prime vergini. Tuttavia, alcuni studi hanno sollevato preoccupazioni circa la possibilità di un effetto rimbalzo (rebound), fenomeno che può ridurre o addirittura annullare i benefici ambientali attesi. Questo concetto è particolarmente rilevante quando la maggiore efficienza derivante dalle pratiche circolari induce ad un incremento nella produzione e nel consumo complessivo. Una delle ragioni principali di questo effetto è la sostituibilità insufficiente dei beni secondari rispetto a quelli primari. I materiali riciclati tendono a perdere qualità durante il processo di riciclaggio, rendendoli meno competitivi per determinati utilizzi. Allo stesso modo, prodotti ricondizionati, come smartphone o elettrodomestici, spesso non competono nello stesso mercato dei beni nuovi, ma vengono destinati a segmenti diversi, come i mercati emergenti. Questo significa che i beni riciclati o ricondizionati non sostituiscono realmente i beni primari, lasciando intatta la domanda per nuovi prodotti.
L’effetto rimbalzo si manifesta anche attraverso dinamiche di prezzo. I beni secondari, per attrarre i consumatori, sono generalmente venduti a un prezzo inferiore rispetto ai beni nuovi. Questo abbassamento dei prezzi può stimolare un aumento della domanda e, in alcuni casi, incoraggiare un maggiore utilizzo di risorse, invece di ridurlo. Inoltre, l’aumento dell’offerta di beni secondari può far scendere ulteriormente i prezzi di mercato, facendo diventare i consumatori o le imprese relativamente più ricche (“effetto reddito”) e quindi questi acquisteranno più beni (secondari e non). D’altro canto, sarà presente anche un effetto sostituzione, laddove, se i beni secondari sono buoni sostituti di quelli primari avverrà un aumento del consumo e quindi della produzione di questi stessi.
Secondo studi recenti per evitare l’effetto rimbalzo, è cruciale che le politiche di economia circolare si concentrino non solo sul riutilizzo dei materiali, ma anche sulla produzione di beni secondari che siano veri sostituti dei beni primari, garantendo che operino in mercati dove la domanda è meno sensibile ai prezzi. Esistono diverse strategie efficaci, tra cui l’implementazione di meccanismi di rilevamento precoce. Identificare i potenziali effetti di rimbalzo nelle prime fasi di progettazione e implementazione può aiutare a ridurre o eliminare questi effetti prima che abbiano un impatto significativo.
Inoltre, le politiche ambientali mirate possono svolgere un ruolo chiave nel mitigare il rimbalzo, specialmente se progettate per promuovere un cambiamento strutturale nei comportamenti dei consumatori e nella produzione, piuttosto che concentrarsi solo su interventi a breve termine. Anche lo sviluppo di ricerca e sviluppo sostenibili può contribuire a ridurre gli impatti negativi del rimbalzo, promuovendo innovazioni che non aumentano il consumo di risorse, ma piuttosto incoraggiano cambiamenti a lungo termine nelle pratiche produttive e nei comportamenti dei consumatori. Ad esempio, innovazioni nel design ecologico o nella produzione a bassa intensità energetica possono contribuire a ridurre l’uso di risorse e l’impatto ambientale complessivo.
Appare inoltre di fondamentale importanza motivare la popolazione per auspicare il successo a lungo termine di queste strategie. Coinvolgere attivamente i consumatori nel processo di transizione verso l’economia circolare, promuovendo la consapevolezza e modificando i comportamenti di consumo, è essenziale per evitare che, una volta conclusi gli incentivi o le restrizioni, si ritorni ai modelli di consumo lineari e meno sostenibili. Il coinvolgimento della popolazione garantisce che i cambiamenti siano duraturi e radicati nelle abitudini quotidiane.
7. Strumenti e politiche fiscali per promuovere la circolarità
L’adozione di strumenti fiscali e di supporto alle imprese e ai consumatori è fondamentale per accelerare la transizione verso l’economia circolare. Tra gli strumenti più efficaci utilizzati in Italia e in altri Paesi avanzati vi sono incentivi fiscali e tasse su materiali vergini, progettati per ridurre l’uso delle risorse primarie e favorire l’adozione di materie prime secondarie.
Appare necessario incentivare l’acquisto di prodotti realizzati con materiali rigenerati, dotati di specifiche certificazioni e/o marchi collettivi, attraverso la riduzione dell’aliquota IVA al 5%, unitamente al rafforzamento del Green Public Procurement (GPP) e gli acquisti verdi da parte delle PA. Parimenti, appare utile prevedere incentivi a fondo perduto affinché le PMI non direttamente obbligate ma facenti parte della catena di fornitura delle imprese assoggettate alla nuova disciplina EFRAG/CRSD possano sostenere i costi di adeguamento agli standard della imminente normativa.
Le politiche fiscali, tuttavia, non sono sufficienti da sole. Ad esempio, la diffusione di modelli di business circolari, che si concentrano sulla fornitura di servizi anziché sulla vendita di prodotti, incoraggia il riutilizzo e la manutenzione, prolungando il ciclo di vita dei beni. Un altro fattore determinante è l’adozione di innovazioni tecnologiche. Tecnologie emergenti come l’Internet of Things (IoT) e la digitalizzazione consentono di monitorare e ottimizzare il recupero dei materiali, migliorando la gestione delle risorse. Infine, il successo dell’economia circolare dipende dall’adozione di un quadro normativo coerente, con politiche che incoraggiano l’uso efficiente delle risorse e la riduzione delle emissioni di carbonio.
La transizione verso un’economia circolare in Italia è già in corso, ma ci sono ancora sfide da affrontare. L’adozione di strumenti più mirati può accelerare il processo, incentivando l’uso di materie prime seconde e riducendo la dipendenza da quelle vergini. Inoltre, la collaborazione tra pubblico e privato e l’adozione di modelli di business circolari sono fondamentali per sfruttare appieno il potenziale economico e ambientale dell’economia circolare. La sfida per l’Italia sarà integrare questi strumenti in modo coerente all’interno delle strategie nazionali ed europee, promuovendo una crescita economica sostenibile e competitiva.
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