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La determinazione con cui la Commissione europea procede verso il suo costoso piano di riarmo dovrà fare i conti anche con il mercato. Il progetto ReArm approvato giovedì prevede una spesa da 800 miliardi di euro, tutti da prendere in prestito: 150 miliardi di euro se li procurerà la Commissione europea, attraverso l’emissione di eurobond il cui incasso sarà girato agli Stati membri come credito agevolato vincolato all’acquisto di armi, mentre gli altri 650 miliardi di euro potranno chiederli in prestito direttamente i governi, grazie all’esclusione dai vincoli del patto di stabilità di spese militari per un importo fino all’1,5% del Pil. Probabilmente non sarà difficile trovare sui mercati dei capitali investitori disposti a finanziare la strategia militare europea. Certo: i governi dovranno essere generosi: occorrerà pagare interessi alti, perché per chi è in cerca di titoli di Stato quest’anno c’è davvero l’imbarazzo della scelta.
Partiamo già da una situazione delicata, perché negli ultimi vent’anni abbiamo sempre trovato un buon motivo per aumentare i debiti pubblici. Prima erano gli stimoli per rilanciare l’economia dopo la crisi finanziaria post-Lehman, poi c’è stata la pandemia da Covid-19, adesso le guerre. Risultato: il debito pubblico mondiale tra il 2007 e il 2024 è salito da meno del 30% a oltre il 95% del Pil. Solo lo scorso anno è aumentato di 4.500 miliardi di dollari, per raggiungere un totale di 95.300 miliardi calcola l’Institute of International Finance (Iif), che associando le principali banche, compagnie assicurative e fondi di investimento del mondo è una sorta di rappresentante dei grandi creditori dei governi. Ci sono «dinamiche pericolose» nel mercato dei debiti, avvertiva l’Iif nel report di fine febbraio.
Siamo davanti a una nuova ondata di debiti pubblici, confermano gli analisti dell’agenzia di rating S&P. In questo 2025, secondo le stime dell’agenzia, ogni mese saranno messi in vendita titoli di Stato a lunga scadenza per più di mille miliardi di dollari, 12.300 miliardi in un anno. Di questi, quasi 5mila miliardi saranno T-bond americani mentre oltre 2mila miliardi saranno titoli di Stato cinesi. I governi europei dovrebbero invece andare in cerca di 1.850 miliardi di dollari, appena meno dei 1.870 miliardi raccolti nel 2024. Certo, è un calo, ma è quasi il 60% in più di quando i governi europei avevano chiesto in prestito nel 2019, prima della pandemia. Il fabbisogno di denaro degli Stati una volta aumentato per motivi straordinari fa molta fatica a ridursi. Per i soli governi della zona euro il debito aggiuntivo previsto per quest’anno supererà i mille miliardi di euro (e la stima di S&P risale a prima della definizione del piano ReArm), con 353 miliardi di nuovo debito, al netto dei titoli emessi per rimborsare quelli che vanno in scadenza. L’Italia., che ha il quarto debito pubblico più grande del mondo in termini assoluti, è sempre protagonista, con emissioni previste per 380 miliardi di dollari, seguita dalla Francia (340 miliardi) e quindi dalla Germania (290 miliardi).
Ce n’è abbastanza per risvegliare i vecchi bond vigilantes, le figure evocate nell’ormai lontano 1983 da Ed Yardeni, allora giovane economista venuto da Yale e oggi alla guida di una società di consulenza finanziaria. Chi compra obbligazioni dei governi, spiegava Yardeni, ha il ruolo di “vigilante” sulla stabilità delle loro politiche fiscali: «Se le autorità fiscali e monetarie non regoleranno l’economia, lo faranno gli investitori». In parte sta già succedendo. Se ne sta accorgendo in particolare la Germania, storica patria della sobrietà fiscale: i piani di allentamento del debito del nuovo cancelliere Friedrich Merz la scorsa settimana hanno spinto il tasso dei bund decennali al 2,76%, con un balzo di 29 punti in un giorno solo, qualcosa che non si vedeva dai primi mesi della riunificazione. La Francia ha sperimentato quanto costa il lassismo fiscale già nei mesi passati, quando gli interessi degli Oat sono balzati in poche settimane dal 2,85% fin sopra al 3,50%, soglia oltre la quale si trovano anche adesso. L’Italia ha una certa abitudine a gestire tassi di interesse pesanti e nonostante i ripetuti tagli dei tassi da parte della Bce ora si trova a pagare interessi sui Btp decennali di poco inferiori al 4%. Concretamente, significa che per ogni miliardo di Btp a dieci anni emessi l’Italia si fa carico di una spesa in interessi di circa 400 milioni di euro i dieci anni.
Possiamo permettercelo, tutto questo nuovo debito? I tedeschi magari sì: con un debito pubblico al 62% del Pil la Germania ha ampio spazio fiscale. L’Italia, in compagnia della Francia e del Regno Unito e a differenza per esempio di Spagna, Portogallo e Grecia (nostri compagni di sventura ai tempi della crisi dell’euro) sta già lasciando crescere il debito pubblico in termini assoluti più di quanto aumenti il Pil: nel 2024, per esempio, il Pil è cresciuto di 62 miliardi, il debito di 98. Sono numeri che gli investitori hanno ben presenti.E sanno bene, come dicono le analisi di S&P, che l’83% dei titoli di debito pubblico sul mercato hanno un rating migliore del nostro punteggio BBB: quando i bond vigilantes si muovono, i Paesi come l’Italia hanno tutte le caratteristiche per essere tra i primi a pagarla. Conviene considerare anche questo, prima di imbarcarsi in progetti di riarmo tutt’altro che gratuiti.
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