“La cultura woke? Una religione, ma io sono agnostico”. L’intervista allo scrittore Tullio Avoledo: “L’elettrico a tutti i costi? Giusto per la Russia di Lenin”. E il romanzo “Come si uccide un gentiluomo”… – MOW

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Nel romanzo c’è un riferimento al passaggio della pandemia. Che per tutti noi è un’esperienza da cui è scaturito un abisso. Ciascuno di noi lo ha colmato a modo suo. Ma nella storia che s’intreccia dentro il romanzo si parla d’altro: in quei mesi possono essere successe cose che nessuno ha visto, e da qui nasce l’intrigo al centro della trama.

È stato un periodo in cui, probabilmente, sotto il nostro naso sono avvenute delle cose strane. Io ho sempre presente quella missione militare russa sponsorizzata dal governo del nostro presidente del Consiglio di allora. Ogni tanto ho un brivido retrospettivo pensando a quello che è successo in Italia, a chi ci ha guidati in quei momenti tremendi, ma non è che il resto del mondo fosse messo meglio. L’idea che sia un virus nato in qualche laboratorio l’ho sempre avuta. È stato un periodo in cui abbiamo subito delle cose limite, ai confini della realtà, episodi da Black Mirror. Io ho ancora negli occhi, e soprattutto ancora in mente, quel povero runner, come lo seguivano, lo filmavano e sembrava la caccia. Una di quelle cacce ai ricercati che le tv americane fanno vedere in diretta. Abbiamo vissuto delle cose incredibili e le abbiamo metabolizzate. Abbiamo imparato a fare la coda, una cosa che da noi non avveniva da 70 anni, a fare la coda per comprare il pane o il lievito, entrare uno per uno, irreggimentati. Mancava il pungolo elettrico o lo storditore, però per il resto abbiamo vissuto un periodo strano, molto strano. Poi il mondo poi ha ripreso a essere come prima e questo per me è stata una delusione. Pensavo che saremmo cambiati. Non migliorati, perché la razza umana non migliora. È il vino che migliora, semmai, con gli anni, e non tutto nemmeno. Però mi aspettavo qualcosa di più dall’umanità, invece abbiamo peggiorato le cose. Insomma, adesso l’importante è fatturare, produrre, riprendere, ma riprendere cosa?

Nei tuoi libri c’è molta Milano. Ma anche il tuo Friuli, come nel romanzo appena pubblicato.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Ho due figli che vivono a Milano per studio e per lavoro. Quindi è una città che devo per forza conoscere. Però è una città che presenta grandi contrasti. Per me le città sono sempre state divoratrici di esistenze e di valori, quindi non le amo. Mi sono trovato d’accordo col vecchio Muammar Gheddafi solo sul fatto dell’odio per le città e dell’esaltazione del deserto. Però mi andava che ci fosse un contrasto tra questo mondo caotico, frenetico, dove è normale ordinare un Glovo e far correre un povero pakistano o indiano per chilometri e chilometri, di corsa nel traffico nello smog per portarti la pizza o il sushi a casa. Mi andava di mettere il contrasto molto forte con una realtà edenica e idillica come quella del Friuli che descrivo, che esiste, non ho inventato. Non è uno Shangri-La o un mondo alternativo da un’altra parte di un portale fantasy, no. È proprio un mondo che esiste ancora e che è minacciato da pericoli ignobili. Io dico sempre che il Friuli ha in mano dei tesori, ma non riesce a innamorarsene. Quando penso che una pineta come quella di Lignano viene considerata dagli stessi abitanti di Lignano Sabbiadoro un qualcosa da bonificare, da estirpare, perché? Perché è sporca. Ma la natura è sporca, la natura non è ordinata, la natura non segue le linee rette, non prevede il giudizio. La natura è una cosa seria. Non sempre è piacevole, però è anche un polmone, è quello da cui veniamo. A molti vorrei far toccare la realtà. Tipo, gli passerei la pelle delle mani sulla corteccia di un pino marittimo, gli farei sentire l’odore della terra, magari gliela farei assaggiare. Perché stiamo cominciando a diventare esseri che vivono più nel virtuale che non nel reale, questo è. Era quello, è quello che succede anche il protagonista del mio libro. Arrivano lì, da questa Milano, da musica, auto elettriche, eccetera, e si trovano in un mondo dove ci si infanga le scarpe, dove la tua auto non va perché non sale in collina, dove chi ti guida, questa bellissima ragazza, ti dice quanto è meraviglioso fare la pipì nel bosco, sulle foglie. Cioè, Vittorio e Gloria scoprono un mondo che in realtà tutti dovremmo scoprire e amare. E di cui dovremmo avere anche paura, ogni tanto.

Dalle pagine del libro viene fuori un tema già cruciale in termini geopolitici: i conflitti per accaparrarsi la risorsa acqua.

Sono un friulano anomalo perché, oltre a bere altre cose, bevo anche tanta acqua e mi piace la qualità dell’acqua. Ho imparato, credo, da un gesto che è stato fatto da Nico Naldini, che era uno scrittore, poeta, cugino di Pierpaolo Pasolini, morto qualche anno fa, che non a caso poi ha voluto che le sue ceneri venissero disperse nel Tagliamento. Io l’ho visto a una cena bere un bicchier d’acqua come non avevo mai visto farlo a nessuno. L’ha preso nelle mani a coppa, l’ha portata alla bocca e l’ha sorseggiata con una lentezza che era quasi un gesto religioso, un gesto sacrale. Perché, mi ha detto, io vivo la gran parte del tempo in Tunisia e lì l’acqua potabile non è una cosa così garantita. Noi vediamo da tempo delle guerre in Africa, in Asia e anche in Sud America per il controllo dell’acqua. In Russia hanno distrutto i mari interni che erano di acqua potabile. Noi nel Friuli abbiamo fatto lo stesso e l’abbiamo fatto con le derivazioni per centraline elettriche. Non l’abbiamo fatto noi friulani. Quasi tutte le società che sfruttano l’acqua dei nostri fiumi hanno sede a Milano, a Verona, comunque fuori regione. C’è stato, qualche giorno fa, un mio amico di Facebook che mi manda un filmato e mi fa vedere il But, uno dei principali fiumi friulani, completamente a secco. Un disastro ecologico perché tutti i pesci sono morti. Un fiume seccato.

Come te lo spieghi?

Perché c’è qualcuno che a monte, girando una valvola, chiude. Spegne un fiume. Diciamo che in questo momento tutta l’acqua della mia regione è controllabile da centrali che non necessariamente hanno sede qui. Abbiamo dei sindaci che d’estate devono pregare le compagnie elettriche di dar loro un po’ d’acqua per dar da bere agli abitanti, altrimenti tocca rifornirli con l’autocisterna. E hanno fiumi e ruscelli che per migliaia e milioni di anni hanno avuto il loro corso naturale. Questa è una cosa terrificante. Ci sono delle guerre future e di una ha parlato molto diffusamente un mio amico giornalista, Marzio Mian, nel suo libro Guerra bianca. Lì spiega come lo scioglimento dei ghiacciai polari apre nuove rotte commerciali. E quindi quando Trump fa la sparata di dire “compriamo la Groenlandia” o “prendiamoci la Groenlandia”, la cosa prende senso. Il controllo di quelle zone dell’Islanda e della Groenlandia, di cui nessuno fino a pochi anni fa avrebbe pensato di farsene nulla, è diventato strategico. E l’acqua è una risorsa strategica purtroppo. Noi abbiamo dei laghi creati da queste derivazioni per centrali elettriche che sono apparentemente bellissimi. Sono laghi da cartolina, però sono morti. Non c’è fauna, non c’è niente. E questo è il futuro che qualcuno vorrebbe, contro cui io mi batto in tutti i modi possibili.





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